I lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale

Per confezionale un paio di Timberland, vendute in Europa a 150 euro, nella città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro. Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione malattia, rischia l’intossicazione e vive sotto l’oppressione di padroni-aguzzini.
La fabbrica dello “scandalo Timberland” si trova nella ricca regione meridionale del Guangdong, il cuore della potenza industriale cinese, la zona da cui ebbe inizio un quarto di secolo fa la conversione accelerata della Cina al capitalismo. Le testimonianze dirette sui terribili abusi perpetrati dietro i muri di quella fabbrica sono state raccolte dall’associazione umanitaria China Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e le violazioni dei diritti dei lavoratori, e di fronte a queste rivelazioni il quartier generale della multinazionale ha dovuto fare mea culpa. I problemi relativi alle condizioni di lavoro però non sono emersi durante le regolari ispezioni che la Timberland fa alle sue fabbriche cinesi (due volte l’anno), né risultano dai rapporti del suo rappresentante permanente nell’azienda.
Sono state necessarie, infatti le testimonianze disperate che gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari, rischiando tra l’altro il licenziamento e la perdita del salario se le loro identità vengono scoperte.
Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, le forme delle mani cambiano completamente a causa del troppo lavoro, salari che bastono appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze tossiche, una strage di incidenti sul lavoro e strupri; questo è quello che ogni giorno i ragazzini cinesi devono subire per tutta la vita, perché? Non hanno scelta.

Sofia Leonardi, III M