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¡Viva la vida! di Pino Cacucci. Recensione di Joyce Mapulanga

Recensione libro : ¡Viva la vida! di Pino Cacucci
Joyce Mapulanga 3C

“La pioggia…
Sono nata nella pioggia.
Sono cresciuta sotto la pioggia.

Una pioggia fitta, sottile…una pioggia di lacrime. Una pioggia continua nell’anima e

nel corpo.

Sono nata con lo scroscio della pioggia battente.

E la Morte, la Pelona, mi ha subito sorriso, danzando intorno al mio letto.
Ho vissuto da sepolta ancora in vita, prigioniera di un corpo che agognava la morte e si

aggrappava alla vita.

Molte volte sono stata sigillata dentro bare di ferro e gesso, ma… io resistevo, ascoltavo

il mio respiro e maledicevo il lerciume del mio corpo devastato.
Ho imparato nella pioggia a sopravvivere: alla barbarie di una vita spezzata, a me

stessa dolorante e, infine, a Diego.

Diego è come la mia vita: un lento avvelenamento senza fine, tra gioie di sublime

intensità e abissi di angosciosa disperazione.
Eppure…amo la vita quanto amo Diego”

Inizia così il monologo di Frida Kahlo “Viva la Vida” proposto da Pino Cacucci. E’ un monologo crudo e diretto, che espone con estrema franchezza le tante sfumature della sensibilità umana viste dagli occhi di una donna del 1900 Una sensibilità che è bella appunto perché permette di sentirsi vivi, indipendentemente dallo stato fisico… che riesce a dare un senso perfino a un’esistenza tormentata come la sua
Dal monologo, infatti, traspare un forte senso di amore per la vita, una vita bella perché sentita, malgrado l’evidente degrado della società Cacucci evidenzia soprattutto l’incredibile forza dell’artista, una donna determinata e figlia della rivoluzione messicana, che come la pioggia sembra inarrestabile di fronte alle difficoltà della vita.

“Ho lanciato quell’urlo che non poteva uscire dalla gola di una moribonda, un urlo di rabbia,un urlo di amore per la vita che non volevo abbandonare a diciott’anni, ho urlato il mio “Viva la vida!” e la Pelona (la morte), assordata, è rimasta stupefatta almeno quanto i vivi che mi si accalcavano attorno.”

La sua agonia ebbe inizio all’età 18 anni. All’uscita da scuola, Frida salì su un autobus per far ritorno a casa, rimanendo però vittima di un incidente causato dal veicolo su cui viaggiava ed un tram. L’incidente ebbe delle conseguenze gravissime per Frida: da allora iniziò ad avere un rapporto quasi di forzata dipendenza con il suo corpo, come una prigione senza possibilità di evasione.
Questo dolore, però, stimolò un forte atteggiamento introspettivo in lei che la portò ad avvicinarsi alla pittura, come riflessione di se stessi, e poi di conseguenza all’amore. L’amore, per l’appunto, fu una delle delusioni più grandi nella vita di Frida Kahlo, il marito Diego Rivera fu il protagonista continui tradimenti, ai quali Frida rispondeva spesso con numerosi rapporti extraconiugali che, però, non placavano il suo tormento.
Quello che la tormentava infatti, non era tanto l’assenza della magia all’interno del suo matrimonio, ma più che altro l’immenso dolore dell’impossibilità di una bramatissima maternità.
Seppure questa sia una lettura particolarmente straziante è come se le pagine del libro fossero impregnate di un forte desiderio di libertà e di speranza, una personalità completamente slegata dagli ideali sociali del tempo, che con un certo sarcasmo riesce addirittura a manifestare il proprio senso di inadeguatezza Un libro molto impegnativo, ma che sicuramente cambia le prospettive di vita.

Joyce Mapulanga, III C