La filosofia di Arancia Meccanica

“Arancia meccanica”, film del 1971 e diretto dal monumentale Stanley Kubrick, è una delle pellicole più importanti della storia del cinema. Tratto dall’omonimo libro Anthony Burgess, narra le vicende di Alex DeLarge, giovane ragazzo inglese che, insieme ai suoi 3 drughi, compie atti criminali. Stupri, furti e risse sono solo alcune delle terribili azioni che i 4 giovani commettono. In seguito ad un femminicidio che Alex effettuerà, egli verrà arrestato e condannato a 14 anni di carcere. Passati due anni, il ragazzo viene a conoscenza di un’iniziativa del nuovo governo: un imputato potrà essere scarcerato se sottoposto ad un percorso di rieducazione, denominato “Trattamento Ludovico”. Questo corso di riabilitazione consiste nell’assistere a filmati brutali e misogini, aventi come sottofondo musicale la Nona Sinfonia di Beethoven, sinfonia che Alex venera. Da questo percorso, ne uscirà un Alex totalmente danneggiato: egli infatti sarà da una parte “guarito” (non commetterà mai più un crimine), ma dall’altra vi è un uomo debole, indifeso, mentalmente instabile. La domanda che il film porge allo spettatore è dunque questa: chi è il cattivo? Lo Stato o un criminale? La risposta a queste domande possiamo trarle da alcune scene presenti nel film. La prima, e forse una delle più disturbanti, è presente nella seconda metà del film. Alex è guarito, ma è stato cacciato di casa dai suoi genitori e quindi vaga per la città in cerca di un posto in cui appartarsi. Alex viene notato da due poliziotti che si rivelano essere due dei suoi vecchi fedeli drughi, Dim e Georgie. Per vendetta, i due lo portano in un bosco, dove immergono la testa di Alex in una vasca per oltre un minuto e lo percuotono con il manganello. La genialità di Kubrick sta proprio in questo: prima che Alex si sottoponesse alla terapia, le scene in cui compiva crimini erano mostrate sempre con una certa ironia, quasi come a voler fare divertire lo spettatore. La scena in cui viene malmenato dai due drughi invece è molto più disturbante: questo perché a compiere il crimine sono due poliziotti, e la vittima appare totalmente indifesa non per via della sua poca forza fisica, bensì per la sua debolezza psicologica. Questo film, e in particolare questa scena, vuole sottolineare l’ipocrisia del potere statale che condanna la violenza, ma ne fa uso per autoperpetuarsi. Nella pellicola, troviamo un’altra scena in cui si evince questa finalità stilistica: in una sala satura di ministri e autorità politiche pronti ad assistere al buon funzionamento della terapia, un attore umilia e maltratta Alex, il quale è sopraffatto dai sensi di nausea ogni volta che tenta di reagire. In seguito, entra in scena una giovane donna completamente nuda; Alex si avvicina a lei per poterla violentare, ma è ancora una volta vinto dai sensi di nausea e di angoscia. Una volta finita la visione, ci si chiede quale sia la finalità della pellicola. Kubrick vuole condannare la violenza o desidera condannare il modo in cui viene usata? E soprattutto, fa una distinzione tra chi la usa (Stato e cittadini) o sono tutti sullo stesso livello sociale e giuridico? La critica non riesce a dare una risposta certa; ci sono migliaia di ipotesi. Quando un’opera suscita in colui che la osserva decine di interrogativi, essa può essere definita “capolavoro”: possiamo dire lo stesso di “Arancia meccanica”.

Giampaolo Lucci 4D