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Essere trans: com’era alla fine del ‘900? Com’è adesso?

Fin da bambino, senza che me lo dicesse nessuno, ho sempre pensato che “trans”* fosse una parolaccia. Se si cercava la parola su Google, uscivano solo notizie su sex workers*, su ladri, su illegalità. Tutto ciò per me era male, quindi avevo associato “transgender” con qualcosa di male. Eravamo bambini senza alcun tipo di educazione, come potevamo pensare diversamente? Nessuna rappresentazione, da nessuna parte. Un mondo che non riguarda “i cittadini per bene”.

Crescendo ho avuto la fortuna di sapere che le persone trans non hanno a che fare con il male. Negli anni ‘60 è maturato il concetto della “donna trans prostituta” perché questo era l’unico modo che avevano per sopravvivere. Molte venivano arrestate dalla polizia perché “la loro espressione di genere non era conforme con il loro sesso biologico”, le istituzioni diventavano ciechi e sordi davanti a loro, lasciandoli in una completa oppressione sistematica. 

Nel 1979 un gruppo di donne entra in una piscina, indosso un costume tipicamente maschile, lasciando il seno scoperto. Era la prima protesta del Movimento Transgender Italiano, contro uno Stato che non riconosceva la loro identità femminile. In quell’estate nacque anche il Movimento Identità Trans (MIT), attualmente la più antica associazione LGBT+ italiana. Queste proteste si diffondono tramite mass media per tutto il paese e portano all’approvazione della legge 164 nel 1982, la quale prevede il lunghissimo iter che le persone trans affrontano tutt’ora ogni giorno: “attestazione psicologica di disforia di genere, TOS (Terapia Ormonale Sostitutiva), interventi chirurgici di riassegnazione del sesso, cambio dei documenti all’anagrafe.” 

Nonostante questo sia un grandissimo passo avanti per la comunità trans, alla quale per la prima volta vengono riconosciuti dei diritti fondamentali, esso è ancora strettamente legato al binario, alla “riassegnazione”, al riallineamento. Alle persone piace usare tante parole diverse per descrivere una persona trans, ma essa non è nient’altro che una persona che non si identifica con il sesso biologico assegnato alla nascita e perciò può scegliere, tramite una terapia di transizione, di riallinearsi fisicamente, non alla binarietà dei generi, quindi non con il genere maschile ed il genere femminile, ma alla sua identità mentale. Tutto questo però arriverà solo dopo, lasciando le persone che transizionano in quegli anni essere sterilizzate per poter cambiare i documenti. Sembra atroce come pensiero, no?

Nel 2015, fortunatamente, la Corte Costituzionale ha stabilito che per cambiare i documenti adesso non serve più sottoporsi alle operazioni chirurgiche. 

Da una parte questo può essere gratificante ed aiutare molte persone, dall’altra ha statisticamente incrementato i crimini d’odio verso le persone trans. Sono stati registrati casi di persone che si sono rifiutate di dare lavoro o anche affittare case a persone la cui espressione di genere non era conforme con quello che era scritto sulla carta d’identità. 

Questo purtroppo è un problema culturale che era molto radicato alla fine del novecento, ma di cui non si parlava e quindi era più facile fare finta che non esistesse. Ovviamente, attraverso i social media, la rappresentazione è cresciuta ed adesso bene o male quasi tutti sanno chi è una persona trans. Quello che non è cambiato è la discriminazione sistematica, la transfobia, che queste persone ricevono. Esempi lampanti possono essere Maria Paola Gaglione, fidanzata di Ciro Migliore, uccisa a Napoli dal fratello che non supportava la sua relazione con un uomo trans. La signora Gianna, donna trans morta a 49 anni a gennaio nella sua abitazione, completamente sola, i cui parenti hanno continuato a chiamarla al maschile nei manifesti pubblici e sulla lapide. Poi Brandon Teena, giovane ragazzo trans di appena 21 anni stuprato ed ucciso a colpi d’arma da fuoco in Nebraska, USA. Sull’epitaffio? “Sister, friend and daughter” (Sorella, amica e figlia).

Le condizioni dei detenuti trans in carcere non sono favorevoli, soprattutto per le donne trans: esse sono separate dagli altri detenuti poiché vengono inseriti in base al sesso biologico, non al genere di appartenenza, subiscono molestie sessuali e non hanno controlli medici specifici per la somministrazione degli ormoni che, secondo l’ordinanza del 13 luglio 2011 non attengono a mere “scelte personali” del detenuto, ma al diritto soggettivo alla salute, la cui tutela può essere azionata avanti al giudice di sorveglianza a norma degli artt. 14 ter, 69 Legge 26 luglio 1975, n. 354; il detenuto che, essendo affetto da disturbo dell’identità di genere, abbia intrapreso prima della carcerazione una terapia ormonale ha diritto alla sua somministrazione a cura dell’amministrazione penitenziaria e con spesa a carico del servizio sanitario nazionale”.

Nonostante questa ordinanza non è ancora stato attuato un piano effettivo ed efficace che possa risolvere questi problemi e, secondo i dati, il non ricevere questa terapia porta al suicidio ed all’autolesionismo una persona su quattro. 

Che cosa si può fare? Innanzitutto, ascoltare le persone trans, le loro testimonianze, e supportare le loro battaglie. Educare i propri figli al rispetto e soprattutto alla libertà, senza riempirli di stereotipi e preconcetti. Per fare ciò, dobbiamo anche noi spogliarci di essi. 

1 persona trans su 5 rimane senza casa e si rifugia nei centri specializzati all’accoglienza, la maggior parte sono giovani. I giovani trans hanno più probabilità di suicidarsi o compiere autolesionismo rispetto altri ragazzi della loro età.

Ottobre 2019, gli italiani ci fanno sapere che il 46% di loro non vorrebbe che il proprio figlio avesse relazioni con una persona trans. Solo il 43% è interessato al riconoscimento legale dell’identità di genere e solo il 37% è favorevole all’ammissione di un terzo genere nei documenti, come già accade nello stato della California.

L’Italia è al primo posto in Europa per omicidi di persone trans; nel 2020, in soli tre mesi, sono scomparse 5 donne trans. Tra il 2008 ed il 2016 vengono registrati 36 casi di omicidio di persone trans. Nessuno ne parla. Perché? Perché la maggior parte sono sex workers, straniere e qualche volta anche senza permesso di soggiorno.

Io sono transgender, sono un figlio, un fratello, un nipote, un cugino ed un amico.

Ho scelto di parlare di questo argomento perché mi riguarda, riguarda la mia società e riguarda il sentimento di indesideratezza che ci si incolla sugli occhi ogni giorno, quando leggiamo, sentiamo o parliamo con qualcuno. Costruirsi la pellaccia non era necessario, ma era obbligatorio. Questo è un inno alla rabbia, ma anche al cambiamento.

Julian Milo Magrelli 3F

DIZIONARIO e PRECISAZIONI:

Trans: definizione alla riga 25, “una persona che non si identifica con il sesso biologico assegnato alla nascita e perciò può scegliere, tramite una terapia di transizione, di riallinearsi fisicamente, non alla binarietà dei generi, quindi non con il genere maschile ed il genere femminile, ma alla sua identità mentale.” Precisazione: con la parola “trans” intendo tutte le persone che cadono sotto questo ombrello, incluse quindi le persone non binarie.

Sex workers: persona che lavora nel mondo del sesso.

SITOGRAFIA DI APPROFONDIMENTO:

Transessualità

MIT italia

Trans, la Cassazione: non occorre operarsi per cambiare sesso all’anagrafe

Brandon Teena

Gianna

Le persone trans in Italia: tra diritti negati e nuovi passi.

Le condizioni delle persone trans in carcere

SIAMO PRIMI IN EUROPA PER OMICIDI DI PERSONE TRANS, MA L’ITALIA SI RIFIUTA DI RICONOSCERE LA SUA TRANSFOBIA