‘Il gatto in noi’: una tenera carezza per i cuori

Se devo essere sincera, non c’è stata compagna più fidata durante questi ultimi frustranti mesi che la mia gatta, la quale resterà qui anonima. Angustiata, almeno se non più di me, dalla forzata presenza prolungata di altri umani in uno spazio ristretto come la nostra abitazione, questa perennemente infastidita gattina, ha fortunatamente deciso di non scappare e di affrontare con noi la pandemia, il lockdown e la DAD. Ed io, che non avevo molti altri contatti, non ho sprecato un minuto, passando con lei molti dei miei lunghi pomeriggi, forse a discapito dell’animale. Era ovvio, quindi, che scoprissi questo libro e che lo leggessi con la voracità con cui è avvenuto, aiutata anche dalla sua breve lunghezza e dal particolare stile di scrittura: non aspettatevi infatti, qualora decideste di leggerlo, una storia tradizionale con un inizio e una fine, quanto piuttosto una raccolta di aneddoti e pensieri, che descrivono l’intimo rapporto che intercorre tra l’autore e i gatti.

“Il gatto in noi” di William Burroughs è, quindi, un libro che non richiede apparentemente un grande impegno da parte di noi lettori, ma che sicuramente è in grado di coinvolgere emotivamente tutti gli amanti dei gatti. Gatti di ogni tipo o specie, gatti rossi o persiani, gatti cresciuti in abitazione umane e gatti randagi, tutti i felini che compaiono in quest’opera sono descritti con delicatezza e cura, tanto da arrivare ad essere definiti da Burroughs come «compagni psichici» o piccoli dei del focolare, una definizione che io sento molto vicina. Esseri antichi, con un’intima conoscenza arcana e misteriosa, secondo l’autore, queste creature sono Guardiani, che scelgono di proteggere o di accompagnare un determinato umano per tutta la vita o solo per un certo periodo di tempo, supportandolo con la propria presenza: non hanno nulla da invidiare ai cani, che, anzi, la voce narrante probabilmente un po’ disprezza.

Si tratta, insomma, di una tenera carezza per i cuori degli amanti dei gatti, ma non sarebbe giusto ridurre solo a questo il libro: le riflessioni e gli episodi di vita narrati, infatti, sono sempre raccontati con una naturale e genuina profondità, probabilmente derivante dallo stretto rapporto che l’autore ha intessuto con i suoi compagni felini nel corso della propria vita. Inoltre il tono, per quanto dolce e piano o malinconico e nostalgico a seconda del tema, può risultare a tratti inquieto e inquietante, quasi a rimandare alla doppia essenza, anche arcaica e potente, che Burroughs destina ai gatti.

In conclusione, consiglio questo libro a chiunque sia amante dei particolari animali a cui è dedicato; lo consiglio a chi abbia un qualsiasi animale e magari si potrà ritrovare tra alcune di queste pagine, nonostante il suo compagno peloso non sia il protagonista; e, infine, consiglio il libretto a coloro che, al contrario, si professano non amanti dei gatti o che addirittura li disprezzano: magari cambieranno idea, o magari avranno letto 95 ragioni in più, una per ogni pagina dell’opera, a sostegno della loro tesi.

 

Di Emma Baudone