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BASKET. DALLA VALTELLINA A MANTOVA, INSEGUENDO IL SOGNO DELLA SERIE A

di Giulio Sgrò, 3ACL*

La storia di un ragazzo di 16 anni che decide di trasferirsi da solo a più di 250 chilometri da casa per realizzare il proprio sogno di diventare un giocatore di basket professionista.

Tommaso Motalli è nato il 21 maggio 2004 a Teglio, in provincia di Sondrio, ed è un grande appassionato di pallacanestro fin da piccolo. Dopo aver giocato per anni nella squadra del suo paese, a settembre 2020 ha deciso di accettare la proposta degli Stings di Mantova, squadra della Serie A2 tra le più prestigiose d’Italia.

Point guard di 1 metro e 88 centimetri, dopo essere arrivato nella città virgiliana per giocare con la giovanile U18 in eccellenza (il campionato giovanile più importante) è stato anche scelto per giocare in Serie C gold (la quarta serie italiana di pallacanestro) con Sustenente, una squadra satellite degli Stings in cui i  più promettenti ragazzi delle giovanili possono fare un po’ di esperienza anche con i “senior”. Infine, è stato anche aggregato alla prima squadra che, come già detto, è partecipante della seconda massima categoria del basket italiano.

Prima di trasferirsi a Mantova, comunque, Motalli ha avuto modo di partecipare a esperienze di altissimo livello, giocando alcune partite con squadre come Lecco e Olimpia Milano e, grazie agli ottimi risultati raggiunti in queste occasioni, ottenendo per anni inviti da parte di società come Cantù e Bergamo, prima di accettare la chiamata di Mantova.

In questa intervista ci racconta la strada che ha dovuto percorrere per arrivare a questi livelli.

Per giocare a questi livelli di sicuro il talento non basta, credo che sia necessaria anche una particolare mentalità…è così? Come si fa, partendo dal basso, ad arrivare in una squadra come Mantova?

Non è solo questione di talento. Pochi nascono con un talento tale da diventare fenomeni e questo non è il mio caso. Ci sono tante altre cose che contano tra cui una buona dose di fortuna. Io sono stato fortunato perché i miei genitori mi hanno sempre sostenuto e seguito in questa mia passione. Inoltre ho avuto allenatori appassionati che mi hanno aiutato in tutto. Poi ovviamente è questione di mentalità: è fondamentale. Se tu credi veramente in qualcosa la puoi realizzare. Io ora sfrutto ogni mio momento libero per migliorarmi, anche se potrei fare altro, cerco di arrivare sempre un’ora prima ad allenamento e mi fermo anche un’ora dopo per esercitarmi nel tiro e in altri fondamentali. Anche quando ero a Teglio non appena potevo approfittavo della palestra libera, del campetto o del canestro sotto casa per migliorare il mio gioco. Questo è sicuramente fondamentale.

Che cosa ti spinge a dare sempre il massimo? Da dove nasce questa passione che ti spinge a dare sempre il 100%?

Il mio sport preferito da piccolo era il calcio, ci ho giocato fin da piccolo ma non mi appassionava veramente e mi ero un po’ stufato. Mi sono quindi concentrato sul basket, anche se fino alla fine delle elementari è stato più che altro un divertimento. La scintilla è scoppiata quando vidi una partita di Serie A in tv. Mi ricordo ancora tutto, era Cantù-Reggio Emilia, da lì mi sono appassionato e ho iniziato a seguire assiduamente sia il campionato italiano che la NBA. Poi, anche l’esempio di alcune figure sportive, mi ha sempre spinto a dare il massimo: il mio idolo è Roger Federer, ha avuto una carriera incredibile e a quarant’anni continua a giocare ad altissimo livello. Nella pallacanestro, invece, per me giocatori come Luka Doncic e Lebron James sono delle grandissime fonti di ispirazione: il primo, pur non avendo un fisico eccezionale, è molto intelligente e ha uno stile di gioco che mi fa impazzire, mentre il secondo è un esempio per la sua incredibile mentalità che lo spinge a lavorare sempre di più e a cercare di migliorarsi partita dopo partita, anche a 36 anni.

Quando ti è arrivata la proposta da Mantova hai accettato subito oppure è stata una scelta difficile? Ora che ti sei trasferito da alcuni mesi come ti trovi? Ambientarsi è stato difficile?

Mantova mi ha contattato l’estate scorsa e in realtà non è stata una scelta per niente difficile difficile, giocare in una squadra di così alto livello è sempre stato il mio sogno. Poi ovviamente non è così facile vivere completamente da solo in una città nuova, nella quale non conosci nessuno. In particolare sto un po’ soffrendo il fatto di aver cambiato indirizzo scolastico, sono infatti passato dal liceo scientifico-sportivo all’indirizzo scienze applicate e il dover imparare da zero delle materie nuove mi crea dei problemi perché non è sempre facile conciliare gli impegni sportivi con quelli di scuola. Ho allenamenti e sessioni di pesi ogni giorno che quindi mi occupano diverse ore del pomeriggio oltre che tutta la sera; sono molto pesanti poiché devi sempre dimostrare ai tuoi allenatori di essere in grado di giocare a questi livelli e di meritarti un posto in squadra, perciò si finisce ad accumulare molta fatica e studio arretrato… Tuttavia sono pronto ad affrontare anche questi problemi e ad uscirne il più presto possibile, non sono mai stato uno che si arrende alla prima difficoltà e sono certo che riuscirò a superarle.

Purtroppo i tuoi progetti per quest’anno saranno stati, almeno in parte, fermati dal Covid. Come hai affrontato questo imprevisto e che progetti hai per il futuro dopo aver visto com’è l’ambiente?

Sono arrivato a Mantova perché volevo dimostrare a me stesso di essere in grado di giocare a questi livelli, cosa che non è per niente facile; purtroppo a causa del Covid ho dovuto mettere da parte temporaneamente miei progetti. In questo momento continuo ad allenarmi con l’Under 18, la serie C e la serie A, sperando che ci permettano di riprendere i campionati il prima possibile. Voglio continuare questa bellissima esperienza e migliorarmi ogni giorno perché non vedo per me stesso un futuro senza pallacanestro, amo questo sport e so che farà sempre parte della mia vita.

Ora giochi al massimo livello della pallacanestro giovanile italiana e non è una cosa da tutti. Hai avuto delle difficoltà nel tuo percorso? Come hai fatto ad arrivare dove sei ora?

Io come ho detto prima sono stato un ragazzo molto fortunato sotto alcuni punti di vista perché ho sempre avuto ottimi allenatori e dei genitori che mi hanno sempre appoggiato, purtroppo però crescere in un posto come la Valtellina non ti aiuta a esprimere il meglio di te in questo sport perché vivendo in provincia di Sondrio non puoi avere le stesse opportunità di un ragazzo di Milano. Non per colpa di qualcuno in particolare, ma perché vivere in un posto così “isolato” non ti dà modo di confrontarti con squadre, ragazzi e allenatori di un certo livello. Per farti un esempio, quando sei piccolo, anche se ti arrivano chiamate da parte di società importanti, come è capitato a me, sono stato costretto a rifiutarle perché sia io che i miei genitori ci rendevamo conto che andare via da casa per vivere da solo in una foresteria a quell’età non era la scelta giusta da fare. Se invece fossi nato a Milano, fin da piccolo, avrei avuto molte squadre in cui scegliere di giocare senza avere le complicazioni dei trasporti e in questo modo avrei sempre potuto migliorarmi, facendo meno sforzi di quelli che ho dovuto invece fare vivendo in un paesino di montagna come Teglio, dove sei costretto a “stare nel tuo mondo”, con tutte le limitazioni che ne derivano e devi accontentarti, nel bene e nel male, di quello che c’è. Ora invece gioco con e contro ragazzi che hanno avuto una formazione cestistica differente, quasi “professionale”, e sono sempre assistito da gente molto qualificata, quindi è molto più facile migliorare tutti aspetti del mio gioco, se fossi rimasto a Teglio sarebbe stato impossibile farlo. 

Credi che arrivare a giocare ad un certo livello sia una cosa teoricamente possibile a tutti?

Se tu cerchi sempre di impegnarti al massimo in quello che fai, dei risultati comunque li ottieni, a prescindere dalle difficoltà che ti possono capitare. Poi capisco benissimo che non si riesce sempre a dare il 100%, non siamo dei robot e ci sono dei periodi in cui si fa fatica ad esprimersi al meglio delle proprie capacità, ma credo che l’importante sia cercare di superare questi momenti e non pensare ai propri limiti, soltanto a provare a superarli.

*L’intervista è del 22 gennaio