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GENESI E DIFFUSIONE DEL NAZIONALSOCIALISMO NELLA GERMANIA DEGLI ANNI TRENTA: COM’È STATO POSSIBILE?

di Giulio Sgrò, 3ACL

Una domanda che mi pongo spesso è la seguente: com’è stato possibile che decine di milioni di persone siano state disposte a tollerare la salita al potere di un personaggio come Adolf Hitler, il quale inneggiava all’odio e alla violenza, arrivando a perpetrare gli orrori dello sterminio ? Dov’era finita la loro umanità? Come mai in molti tollerarono o addirittura supportarono pienamente l’ideologia nazionalsocialista fin dalla sua nascita?

Ho svolto una breve ricerca e, nel mio piccolo, mi sono sforzato di cercare una risposta.

Innanzitutto è di fondamentale importanza tener conto del contesto storico in cui questi fatti si sono sviluppati. Al termine della Prima Guerra Mondiale l’Impero tedesco era una nazione spossata ma non totalmente sconfitta: l’esercito tedesco si trovava ancora in Francia e continuava a combattere ordinatamente mentre il popolo tedesco, seppur stanco, credeva ancora che si potesse vincere la guerra o che comunque si potesse ottenere una pace onorevole; infine, lo stesso territorio tedesco non era stato toccato dai combattimenti, le fabbriche erano ancora funzionanti e i civili conducevano una vita più o meno normale. Perciò, quando ai soldati venne ordinato di lasciare il fronte e fu annunciato loro che la guerra era stata persa, in molti accolsero davvero male la notizia, come se tutti gli sforzi compiuti e le centinaia di migliaia di morti fossero stati vani a causa delle azioni  di altri, di coloro che in patria avevano creato disordini e spinto perché la guerra finisse: nacque così il mito della Dolchstoßlegende, “la pugnalata alle spalle”. 

Immediatamente dopo la sconfitta si verificarono diverse rivolte di stampo marxista che miravano alla creazione di uno stato comunista sul modello dell’appena nata Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (nucleo della futura URSS), queste rivolte portarono all’abdicazione sia dell’Imperatore Guglielmo II sia di diversi altri regnanti (l’impero tedesco allora era composto da diversi regni con a capo l’ex re di Prussia) e alla creazione della Repubblica di Weimar. Solo in un secondo momento, le rivolte furono duramente represse dall’esercito e da una milizia paramilitare detta “Freikorps” formata da ex soldati che non riuscivano a reinserirsi nella vita civile e da ex soldati che vedevano in quei rivoltosi comunisti il motivo della recente sconfitta, altrimenti inspiegabile ai loro occhi. Questa serie di rivolte e repressioni continuarono fino al 1921 ma nello stesso periodo diversi altri eventi minarono la già precaria stabilità del nuovo stato: nel 1919, con il trattato di Versailles, l’Intesa e i suoi alleati privarono l’ormai ex impero dell’esercito, delle colonie oltremare, di alcuni territori di confine e obbligarono la neonata Repubblica all’enorme pagamento dei danni e delle spese di guerra (il pagamento era così grande che, nonostante diverse riduzioni fatte negli anni, fu completato solamente nel 2010, più di novant’anni dopo la fine della Grande guerra). Questa insormontabile serie di difficoltà spinse il governo tedesco a dichiarare la bancarotta nel 1923 e, come risposta, Francia e Belgio occuparono la Ruhr, cuore economico della Germania, ritenendola equivalente a parte della somma che la Germania avrebbe dovuto versare. Negli anni successivi la situazione parve riprendersi leggermente ma la crisi economica mondiale del 1929 e la successiva Grande depressione portarono inflazione, disoccupazione e povertà a livelli mai visti prima. 

Dopo quasi vent’anni di sofferenze la popolazione era arrivata allo stremo sia fisicamente che psicologicamente, era stanchissima e voleva più di ogni altra cosa tornare ad una qualità di vita che, nell’anteguerra, era molto alta rispetto alla media dell’epoca.

L’idea della Dolchstoßlegende, che incolpava comunisti ed ebrei della sconfitta subita, la grande costernazione e il risentimento connesso, generati dalle punizioni stabilite nel trattato di Versailles, si diffusero sempre di più all’interno della popolazione, specie nelle fasce medio-basse, e nelle fila dell’esercito; mentre la paura dei comunisti spaventava a morte gli industriali. Tutti questi fattori favorirono grandemente il diffondersi dell’ideologia nazionalsocialista che in parte fece propri questi sentimenti già molto diffusi tra i tedeschi, diventandone quasi una cassa di risonanza, e in parte aggiunse elementi dottrinali propri che ebbero facile diffusione poiché sfruttavano la frustrazione e la rabbia accumulata dal popolo nel corso degli anni.

Queste idee furono così apprezzate che quando Hitler venne nominato cancelliere, nel 1933, il NSDAP (Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) aveva il maggior numero di seggi in parlamento e aveva il più largo seguito di elettori (circa il 43% degli elettori, quando ancora i comunisti non erano stati espulsi dal governo).

Perciò le idee naziste ebbero una solida base su cui crescere e successivamente conquistarono sempre più persone: chi appunto venne convinto da quanto affermava la dottrina hitleriana, chi decise di affiliarsi al partito per motivi economici o di opportunismo (in modo da accaparrarsi i favori della nuova élite dominante), e chi infine venne convinto dai risultati che il  nuovo governo ottenne, una volta salito al potere. In pochissimi anni Hitler, diventato ormai una figura di riferimento come fino a pochi anni prima lo erano stati re e imperatori, ridusse enormemente il livello di povertà e disoccupazione (portandolo vicino allo zero), la qualità di vita aumentò, le fabbriche tornarono funzionanti ed efficienti e si aumentò addirittura il livello di industrializzazione e produttività rispetto al periodo precedente alla Prima guerra mondiale. Si smise di pagare i debiti di guerra a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, furono riannessi i territori della Ruhr e alcuni tra quelli persi dopo il trattato di Versailles; le proteste e i disordini furono completamente sedati (anche se con metodi non proprio civili, ma questo pareva non importare alla gente) e, in generale, la Germania tornò ad essere uno degli stati più potenti del mondo.

Per molti tedeschi, specie se di condizione economica non molto agiata o con un livello di istruzione medio-basso, non fu difficile credere che le teorie naziste (le quali affermavano che i problemi della Germania erano stati causati da quella parte di popolazione comprendente ebrei, comunisti, rom ecc…) fossero fondate.

Agli occhi di un tedesco, Hitler era davvero riuscito a rendere nuovamente grande la Germania a prezzo di “poche epurazioni” (se considerate rispetto al totale dei cittadini) e quindi, per il popolo, il Fuhrer poteva davvero avere ragione a dire che eliminando la parte di popolo “dannosa” la situazione generale sarebbe migliorata. Quindi, perché i tedeschi non avrebbero dovuto sostenere un leader che, assumendo la forma di salvatore della patria, “aveva riempito loro la pancia”, aveva parzialmente rimediato all’umiliazione subita quindici anni prima e aveva reso nuovamente la Germania una grande potenza?

A tutto ciò credo si debbano aggiungere anche altri due fattori: se fino ad ora ho descritto il motivo per cui l’ascesa di Hitler e il suo consolidamento del potere non vennero ostacolati, ritengo che ci siano altri motivi che spinsero la popolazione tedesca a non intervenire davanti alle ripugnanti discriminazioni che colpirono uomini e donne fino a poco tempo prima ben integrate all’interno della società tedesca.

In quell’epoca vennero calpestati i diritti fondamentali dell’individuo per come li conosciamo oggi anche a causa di pregiudizi allora estremamente radicati: moltissime persone (non solo in Germania) ritenevano che esistessero razze di uomini inferiori ad altre; popoli come quello ebraico erano da secoli visti con ostilità e spesso subivano discriminazioni e violenze (si pensi ai Pogrom nell’Europa orientale) senza che le stesse destassero troppo stupore o indignazione. Il comunismo era temuto e combattuto in moltissimi stati mentre l’omosessualità in Germania costituiva un reato e rimase tale persino per diversi anni anche dopo la seconda guerra mondiale (fu depenalizzata in Germania est solo nel 1968, nell’Ovest un anno dopo). 

Le violenze subite da molte persone furono tollerate, se non addirittura sostenute, dato che la mentalità dell’epoca sostanzialmente le accettava senza problemi. La stessa violenza, al contrario di oggi, dove invece è ripudiata da tutte le persone civili, era considerata come una cosa tutto sommato naturale, soprattutto dopo che milioni di uomini avevano visto con i propri occhi i massacri della Grande Guerra ed erano ormai assuefatti alla barbarie.

Va infine preso in considerazione l’influenza ed il controllo totale che il regime aveva sulla popolazione. Mai nella storia si è riusciti ad esercitare un controllo così profondo nella vita di un popolo: la propaganda e le idee naziste penetrarono così tanto nelle menti dei tedeschi quasi fosse un lavaggio del cervello. 

Campi di concentramento e di sterminio vennero tenuti comunque nascosti a gran parte della popolazione; la gente, pur sospettando la sorte capitata a tutte quelle famiglie che da un giorno all’altro sparivano, non immaginò certo che venissero inflitti quegli orrori di fatto perpetrati nei lager.

Il famoso discorso secondo il quale “si è colpevoli delle proprie azioni anche se si stavano soltanto eseguendo degli ordini” secondo me è vero solo in parte: francamente dubito che tutti i soldati o coloro che furono coinvolti nello sterminio fossero dei mostri sadici che uccidevano senza problemi tutti coloro che si trovavano davanti, credo sia sbagliato generalizzare così tanto. Ovviamente ci sono stati quelli convinti che i cosiddetti “subumani” andassero eliminati e che spesso li trucidavano nei modi più barbari ma la maggior parte di essi è stata gente normalissima (che quasi sempre dopo la guerra condusse una vita normalissima) che compì quel tipo di gesti per paura delle ritorsioni che avrebbe potuto subire in caso si fosse rifiutata di farli, oppure che li commise perché ci vedeva una via per avere successo nel proprio lavoro o che semplicemente era condizionata a tal punto dall’ambiente circostante che non riusciva ad astenersi dall’eseguire gli ordini o dall’emulare ciò che facevano i suoi commilitoni.

A sostegno di questo credo sia significativo l’esperimento che lo psicologo statunitense Stanley Milgram condusse a New York nel 1961. In quell’anno si tenne a Gerusalemme il famoso processo al criminale di guerra Adolf Eichmann, responsabile della pianificazione della soluzione finale contro gli ebrei. Eichmann, durante il processo in Israele, sorprese il mondo poiché diede di sé l’immagine di una persona assolutamente comune (e non il sadico che l’opinione pubblica si aspettava), che si era affiliata al partito nazista solo perché ci vedeva un’occasione di profitto e prestigio e che, in buona sostanza, commise ogni orrore soltanto perché gli fu ordinato così.

A seguito di queste rivelazioni Milgram si pose il seguente interrogativo: “È davvero possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?” e per rispondere al quesito organizzò l’esperimento che l’avrebbe fatto diventare celebre. Milgram pubblicò un bando su un giornale locale dove diceva di star cercando partecipanti per condurre, dietro ricompensa, un esperimento sulla memoria e sull’apprendimento al quale risposero 40 volontari di età compresa tra i 20 e i 50 anni, con lavori  diversi, differenti livelli di istruzione e appartenenti a varie etnie e ceti sociali.

Ai partecipanti fu chiesto di entrare a turno, uno alla volta, in una stanza vuota, nella quale un uomo con un camice bianco (indossato per conferirgli maggiore autorità) disse loro che sarebbe stato il supervisore al quale il partecipante avrebbe dovuto obbedire e mostrò alle cavie quanto avrebbero dovuto fare: nella stanza erano presenti anche una sedia, sulla quale era legato un complice del supervisore, e un quadro di controllo di un generatore elettrico, collegato all’uomo sulla sedia; la cavia avrebbe dovuto porre all’uomo sulla sedia una serie di quesiti e, per ogni risposta sbagliata della “vittima”, avrebbe dovuto infliggere una scarica elettrica che dopo ogni risposta sbagliata sarebbe aumentata di intensità.

Il quadro di controllo presentava trenta diversi interruttori, ognuno con sotto una scritta recante sotto il livello di pericolosità della scossa (da leggera a molto pericolosa, con un “XXX” al posto dell’ultima scritta), che azionavano scosse da 15 a 450 volt. Ovviamente il generatore non era in grado di generare fino a 450 volt ma la vittima, che avrebbe dovuto sbagliare di proposito le risposte ai quesiti, percepiva comunque scosse fino a 45 volt, così da rendere più realistico il tutto. L’esperimento sarebbe continuato fino a quando la cavia non avrebbe smesso di colpire la vittima con le scosse a seguito delle domande sbagliate e, in caso essa non si fosse affatto fermata, la vittima avrebbe dovuto fingere di morire una volta arrivati a 330 volt.

Diverse cavie protestarono a lungo verbalmente, mostrando segni di tensione e nervosismo alla vista delle sofferenze che generavano nella vittima, ma a questa reazione il supervisore si limitava a rispondere in modo fermo e pacato “l’esperimento richiede che lei continui”, “è assolutamente indispensabile che lei continui”, “non ha altra scelta, deve proseguire”. Questo generò risultati sorprendenti: furono infatti testati quattro livelli di distanza tra cavia e vittima, nel primo la cavia  non poteva osservare né ascoltare i lamenti della vittima; nel secondo poteva ascoltare ma non osservare la vittima; nel terzo poteva ascoltare e osservare la vittima; nel quarto, per infliggere la punizione, doveva afferrare il braccio della vittima e spingerlo su una piastra elettrificata. Nel primo livello di distanza, il 65% dei soggetti andò avanti sino alla scossa più forte; nel secondo livello il 62,5%; nel terzo livello il 40%; nel quarto livello il 30%. 

Il risultato del test sorprese profondamente Milgram, che infatti non si aspettava affatto un risultato così alto né si aspettava di dimostrare che, per quanto le intenzioni delle cavie fossero buone,  sarebbe bastato che il supervisore richiamasse la cavia al suo dovere per convincerla a smettere di protestare e a continuare con l’esperimento. 

Questo test, ripetuto più e più volte negli anni successivi ma sempre con lo stesso risultato, credo possa essere considerato come una prova del fatto che anche gli uomini più buoni, se sottoposti agli ordini di un’autorità considerata legittima, finiscono ad eseguire gli ordini senza sentirsi  moralmente responsabili delle proprie azioni, ma semplici esecutori dei voleri della stessa autorità esterna. Lo stato in cui cadono i soggetti quando compiono queste azioni è detto “eteronomico” ed è determinato  da tre fattori:

  • percezione di legittimità dell’autorità (nel caso in questione lo sperimentatore incarnava l’autorevolezza della scienza mentre nella Germania degli anni ‘30/’40 l’autorità del Partito era per forza di cose vista come legittima e assoluta)
  • adesione al sistema di autorità (l’educazione all’obbedienza fa parte dei processi di socializzazione,  inoltre nel Terzo Reich i soggetti dovevano per forza aderire al sistema di autorità, che altrimenti li avrebbe eliminati a loro volta)
  • le pressioni sociali (disobbedire allo sperimentatore avrebbe significato metterne in discussione le qualità oppure rompere l’accordo fatto con lui e, nella Germania di allora, il disobbedire avrebbe significato morte certa).

Coloro che che cadono in questo stato eteronomico diventano “agenti” e si sentono appunto liberi di agire senza limite alcuno (tanto non si ritengono responsabili di ciò che fanno) e addirittura sentono l’obbligo di realizzare quanto viene loro ordinato poiché le norme sociali che regolano la vita comunitaria umana spingono il soggetto ad agire per non rovinare i rapporti instaurati con quella che considera l’autorità. 

Così si può tranquillamente affermare che qualunque persona, indipendentemente dalla propria cultura o etica, sia facilmente influenzabile e che possa essere spinta a credere che azioni terribili siano normali, se non giuste, soltanto a causa dell’influenza dell’ambiente in cui vivono.

Queste credo siano le ragioni (o alcune delle ragioni) per cui il nazismo si è diffuso così tanto all’interno della popolazione tedesca; perciò non credo che si possa definire colpevole di aver tollerato lo sviluppo e la presa di potere dell’ideologia nazionalsocialista ma piuttosto schiava dell’ignoranza e della serie di avvenimenti che la colpì in quel determinato periodo storico.