Marina Abramovic e la sua rivoluzione artistica

Marina Abramovic è sicuramente quella che tra tutti gli artisti affrontati mi ha colpito di più. Avevo già sentito parlare di lei in precedenza: sapevo che utilizzava il proprio corpo come mezzo artistico e che le sue opere consistessero in delle performances, ma non avevo mai approfondito l’argomento. Avevo le idee molto confuse al riguardo: addirittura credevo fosse una sorta di ballerina, o che per “body art” si intendesse la pittura del proprio corpo. Mai mi sarei immaginato cosa realmente fa Marina Abramovic, e questa ingenuità ha contribuito ad amplificare ancor di più il mio stupore davanti a un’artista così fuori dagli schemi, ai limiti dell’accettabile azzarderei.

La concezione che ha Marina Abramovic della “body art” è semplice: lei vuole, tramite le sue performances, testare i limiti a cui il corpo umano può spingersi, e il mezzo più efficace, secondo lei, per fare ciò è il dolore. È proprio nell’esperienza della sopportazione e del dolore, infatti, che questi limiti si concretizzano. Ciò avviene, ad esempio, nella performance intitolata “Rhythm 5”, in cui Marina compie una serie di azioni autolesive fino a perdere completamente conoscenza ed essere soccorsa dal pubblico. In un’intervista l’artista descrive così lo scopo e la causa di questa performance: “Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c’è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.”  Ciò che ha voluto testare Marina può sembrare ad un primo approccio completamente fuori di testa e insensato, e ammetto che anche io l’ho pensato, ma ragionandoci ho capito che il suo scopo era ben più profondo: lei voleva andare oltre i limiti del mondo fisico, e il modo più diretto per farlo è stato quello di portare allo stremo il proprio corpo fino a perdere conoscenza e sfondare così la barriera della dimensione materiale.

Un’altra performance che mi ha parecchio colpito è “Rhythm 0”. Nel corso della rappresentazione avviene uno scambio di ruoli, in cui l’avanzamento della performance non è più nelle mani dell’artista ma viene affidato interamente al pubblico, che poteva infierire in qualsiasi modo sul corpo di Marina, completamente inerme, utilizzando vari oggetti forniti da lei stessa. È stato veramente affascinante per me vedere i diversi comportamenti adottati dagli spettatori e scoprire a che livello di ferocia e brutalità può giungere l’essere umano se lasciato completamente libero e senza freni. 

La questione del rapporto tra artista e spettatore viene poi ripresa da Marina molti anni dopo, nel 2010, quando organizza al Moma di New York la performance “The artist is present”, che prevedeva lei seduta nell’atrio del museo mentre guardava gli spettatori, invitati a sedersi di fronte. In questo modo non vi è più un’opera a fare da tramite tra l’artista e lo spettatore, ma il rapporto tra i due è diretto. Durante questa performance vi è un momento molto toccante, in cui tra gli spettatori appare un uomo che fa bagnare gli occhi di Marina. Quest’uomo è Ulay, suo storico compagno, con cui Marina ha fatto diverse performances insieme, tra le quali una che mi ha lasciato completamente senza parole per quanto fosse estrema e senza controllo. La performance si chiama “Rest energy”, durante la quale lei brandisce un arco rivolto verso di sé mentre Ulay ne tende la corda puntando una freccia verso il cuore della donna. La freccia poteva scappare dalle mani del compagno da un momento all’altro, ma nonostante ciò i due sono rimasti impassibili per tutta la durata della rappresentazione.

In conclusione, posso dire che la figura e l’arte di Marina Abramovic hanno suscitato grande attrazione verso di me. In aggiunta ai vari significati delle opere che ho citato sopra (ma ce ne sarebbero molte altre ancora), mi ha colpito soprattutto come lei abbia deciso di donare il suo intero corpo, la sua vita, nel vero senso della parola, all’arte e ad una ricerca finalizzata al rompere le barriere che limitano l’azione umana e allo sperimentare le varie reazioni, emozioni e comportamenti che l’essere umano può avere di fronte ad una determinata situazione. E tutto questo lo ha realizzato col solo utilizzo del proprio corpo! Per questi motivi io considero la sua opera rivoluzionaria e ricca di spunti che possono ispirare e far riflettere.

Niccolo’ Amodeo 4C cl