Il colore del corpo eretico: Egon Schiele e Caravaggio

Premessa:

“Perché scrivere un articolo del genere? Cosa dovrebbe avvicinare Egon Schiele e Caravaggio? Sono incredibilmente diversi!” qualcuno di voi è libero di averlo pensato leggendo il titolo. Ma ecco la mia risposta: ciò che accumuna Egon Schiele e Caravaggio è il colore, la luce, la sensualità e traumaticità del corpo.
In questo mio articolo farò un’analisi tra questi due artisti, sperando di interessare e portare a una riflessione intima e profonda il lettore.

ANALISI: IL COLORE DEL CORPO ERETICO

Sia Caravaggio che Schiele sono due artisti che nascono dal colore. Un colore che sembra pulsare tra le carni dei corpi da loro rappresentati, rendendoli i veri protagonisti, potenti, profondamente sensuali e drammatici. È un colore realistico, che mira a darci la sensazione di veridicità dei corpi: un colore carnale. Il rosso per entrambi è il colore primario, il colore che conferisce la vita: il rosso sulle orecchie, sulle guance, sulle labbra, sulle tempie, sugli occhi quasi a voler evidenziare il passaggio del sangue dentro la carne. Una carne sensuale, umana, una carne viva che causò scandalo (in entrambe le diverse epoche in cui vissero Caravaggio e Schiele) perché giudicata fortemente provocatoria e “peccaminosa”. La chiesa si oppose a Caravaggio mentre, secoli dopo, il moralismo borghese si oppose a Schiele. Uno scandalo che quasi sempre sfocia nell’ipocrisia: la chiesa criticò aspramente alcune opere di Caravaggio, eppure il vaticano possiede alcuni dei più famosi dipinti dell’artista. Schiele venne accusato di pornografia, ma nonostante questo è riuscito ad imporsi e a mostrare il suo talento nelle mostre.
A fare scandalo era soprattutto il raffigurare un’anima troppo umana, un’anima umana che non poteva essere quella della madre del Cristo, un’anima troppo sensuale per appartenere a un ragazzo del popolo con un canestro di frutta fino ad arrivare a un’anima ritratta nuda, dai tratti violenti e spigolosi, che con il solo sguardo provocatorio sapeva mettere a disagio.
Un’anima espressa con forza feroce dallo sguardo: sono sguardi che invitano a toccare il corpo, invitano a toccare l’umano, essendo l’umano la vera essenza del divino: un corpo eretico. È incredibile come sia Schiele che Caravaggio descrivano l’intera persona attraverso lo sguardo: guardando un loro personaggio ritratto, che sia una donna nuda che sembra levarsi da una coperta, che sia un santo o la Maddalena, chi osserva ha come l’impressione di conoscere intimamente il soggetto ritratto, proprio perché lo sguardo mette a nudo l’intero suo carattere, sempre incisivo. Forse è questa forza nello sguardo che ci fa perdere noi stessi.

Infine, un altro aspetto che trovo affascinate in entrambe le scelte stilistiche dei due artisti è il voler annullare lo sfondo per isolare l’immagine umana. Caravaggio sceglie di fare uno sfondo completamente nero, scuro, che nasconde, dipingendo solamente le parti in luce, per far risaltare (con infinita maestria) il corpo e la scena che vuole rappresentare. Dunque egli sceglie di nascondere: possiamo intuire che cosa ci sia dietro la figura, ma restiamo incantati da ciò che è in luce. Questo gioco di luce e di ombre conferisce al quadro una profondità degli spazi incredibile. L’intento è quello di immortalare un momento, quasi come una fotografia, un istante, reso immobile e eterno, della vita. La luce modella i corpi, quasi in maniera plastica, ma è costretta a seguire il realismo imposto dal suo creatore: Caravaggio. Ancora una volta, è il colore che crea la luce e le sue ombre.

Quello che fa Schiele non è tanto diverso: egli rappresenta i suoi soggetti immortalati per l’eternità in un momento di intimità e di seduzione. Ma questa volta, non troviamo uno sfondo scuro, uno sfondo fatto di ombre, ma uno sfondo bianco, fatto di sola luce. Le figure che ritrae il pittore austriaco emergono (incomplete talvolta) da uno sfondo che non vuole nascondere nulla: non possiamo immaginare niente dietro il corpo raffigurato, perché non c’è niente di nascosto, essendo uno sfondo di sola luce. È una luce che non segue nessun tipo di realismo se non quello psicologico.

È un istante della vita intima e privata, che talvolta viene mutilata dall’assenza di un arto o di una parte del corpo, immobilizzata, tagliata via dal mondo circostante: l’unica cosa che vive è il corpo. Il resto è eliminato da un’intensa luce bianca. E quindi è eliminata la profondità degli spazi, l’unica profondità che deve esistere è quella del colore del corpo.

Ginevra Saccà