L’Arte di Marina Abramovic

Artista serba, nata a Belgrado, Marina Abramovic dai primi anni settanta ha utilizzato il suo corpo come strumento di ricerca artistica, diventando una delle più interessanti protagoniste della body art.

La body art è una forma d’arte nella quale l’artista utilizza il proprio corpo come mezzo espressivo.

Queste rappresentazioni che mescolano teatro, meditazione e in alcuni casi autolesionismo, possono avvenire in forma pubblica, all’interno di gallerie o musei, oppure in forma privata e comunicate attraverso foto e video. Marina Abramovic ha spesso lavorato in condizioni estreme di sofferenza fisica o tensione psicologica, mettendo a dura prova la sua capacità di sopportazione e suscitando nel pubblico forti reazioni emotive. Disse: “In una società turbolenta, la funzione di un artista è sensibilizzare le persone sull’universo, porre le domande giuste e aumentare il livello di pensiero”.

Marina sostiene che siamo noi che ci creiamo dei limiti e la cosa più importante è riuscire ad oltrepassarli. L’artista ha scelto di spingersi oltre poiché crede nel cambiamento tanto da considerarlo la sua stessa ragione di vita. Vede la paura il mezzo utile per affrontare le difficoltà in quanto è nelle situazioni più difficili.

Fondamentale all’interno del suo percorso è stato l’incontro e la collaborazione con l’artista tedesco Ulay, suo partner nella vita e in numerose performance. “Relation works” è il titolo scelto da Marina e Ulay per indicare una serie di azioni degli anni settanta, quando i due artisti si presentarono come una coppia inseparabile e in simbiosi.

Le loro performance erano caratterizzate da tensione e violenza che alle volte mise alla prova i limiti fisici e psicologici dei due artisti. Dopo anni di convivenza e di lavoro comune Marina e Ulay decisero di separarsi nel 1989, realizzando un’intensa performance. Entrambi percorsero a piedi la Grande Muraglia cinese: lei parte dal Fiume Giallo a sud, lui dal deserto di Gobi a nord. Si incontreranno al centro e si diranno addio.

Tra le performance più significative di Marina, ricordiamo Balkan Baroque, premiata alla Biennale di Venezia del 1997, riflessione sui conflitti che stavano all’epoca sconvolgendo la sua terra d’origine. Durante la performance l’artista ripulì per otto ore al giorno grandi ossa animali in una specie di rituale macabro di purificazione.

Una delle performance più toccanti dell’artista è quella realizzata nel 2010 al MoMa di New York The Artist is Present. Marina si presentò al museo tutti i giorni seduta inizialmente dietro a un tavolo che in seguito decise di togliere. Le persone si potevano sedere di fronte a lei comunicando solo con lo sguardo, senza scambio di oggetti o di parole.

Per quanto mi riguarda la performance che mi ha più suggestionato, e che secondo me ci fa capire il concetto di arte di Marina Abraimovic è “Rhythm 0”. All’interno la galleria Studio Morra a Napoli in una delle camere, in un tavolo con sopra diversi oggetti ed un biglietto con le dovute istruzioni divise in quattro punti dichiarò: ci sono 72 oggetti su questo tavolo che possono essere usati su di me nel modo in cui desiderate, io sono l’oggetto mi assumo completamente la responsabilità di quello che accade, la durata è di sei ore dalle 20:00 alle 02:00.

Marina Abramovic dichiarò che il pubblico avrebbe potuto fare qualsiasi cosa con lei, persino arrivare ad ucciderla. Essa si pose come un oggetto nelle mani delle persone presenti che potevano decidere come e se interagire con lei. Durante tutta la performance l’artista rimase passivamente mobile accettando senza opporsi qualsiasi cosa le venisse fatta.

Ritengo che questa sia un’arte dissacrante che esterna la vera natura dell’uomo, mettendoci inevitabilmente di fronte alla bestialità e al nostro essere animale.

Lucilla Piantadosi 4C cl