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Dis/integration: Alla Sapienza disegni e installazioni raccontano la disabilità e l’accoglienza

 

Di Anna De Marchi

Domani, giovedì 2 dicembre, nell’Aula Magna del Rettorato dell’università ‘Sapienza’ di Roma, verrà inaugurata la mostra Dis/integration, frutto di una proficua collaborazione tra l’Università Studium Urbis e la comunità di Sant’Egidio. ‘Dis/integration’ – un titolo significativo perché capace di evocare di per sé la pluralità degli argomenti centrali di questa installazione artistica – è curata da Alessandro Zuccari, prorettore al Patrimonio artistico, storico e culturale dell’Università, e rimarrà aperta al pubblico dal 29 dicembre 2021 al 28 gennaio 2022. Alla presentazione porterà i saluti la Rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, a cui seguiranno gli interventi del presidente della comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo e del presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto. Anche l’artista in dialogo decennale con i laboratori d’arte di Sant’Egidio César Meneghetti prenderà la parola durante la cerimonia di inaugurazione della mostra.

Perché Dis/integration?

Perché già all’ingresso, nonostante le barriere,  ci si sente integrati. Certo, in un mondo che vorremmo migliore e diverso, ma che in fondo anche se ingiusto sentiamo profondamente nostro, nostro prodotto e nostro possesso. Ogni volta che vediamo dei muri sentiamo che parlano di noi. Non è una bella sensazione, se pensiamo che al posto dei muri potrebbero esserci porte oppure ponti. Così, le pareti trasparenti di protezione dei lavori in corso che contornano le scalinate della sede centrale della Sapienza si sono trasformate. Sono ora pannelli con significative chiazze di colore che emergono e rendono visibile il trauma dei nostri tempi: l’esistenza di muri e fili spinati che respingono, perché a questo servono.

Due mani disegnate si aprono in gesto di accoglienza: è così che il muro contiene la sua antitesi in sé. Ma perché il muro è così evocativo? perché ci racconta ed è arrivato ad essere “il simbolo” per eccellenza della nostra epoca?

Quello che accade nel Mediterraneo ha muri che sono ondosi, fluttuanti. Quello che accade al confine serbo conosce muri gelidi di violenza ripida, quello che accade in Afghanistan sa di muri aerei impenetrabili, quello che accade tra Bielorussia e Polonia ha un gusto di vendetta, odio e minaccia vile. Sono tre le installazioni esterne, ognuna con un messaggio forte e chiaro, realizzate quindi da tre diversi artisti che collaborano da tempo con la comunità di Sant’Egidio. Il curatore delle opere sulle barriere in vetro che accolgono i visitatori è il giovane Claudio Sagliocco, dottorando in Storia dell’arte presso l’Accademia. 

 

Le installazioni interne della mostra sono frutto degli artisti con disabilità dei laboratori d’arte di Sant’Egidio realizzate con la collaborazione di César Meneghetti. Così l’arte comunica e si fa portatrice di messaggi e pensieri, non solo su olio, su tela e carta. Le opere realizzate immergono nella quotidianità raccontata dai giornali, vissuta dai più deboli e dai più fragili, manipolata dalla discriminazione e dalla violenza, intessuta di generosità verso il prossimo e di intima amicizia tra sconosciuti, sfaccettata dai drammi di oggi e tinta dei colori dei progetti per il nostro futuro comune.

Nella semplicità dei disegni, alcuni sono evocativi dipinti, altri sono polimateriche espressioni di colore, i messaggi arrivano a colui che di passaggio si confronta con queste opere. 

L’esposizione è capace di coinvolgere velocemente il visitatore proprio per l’atmosfera in cui è immersa di cui ci si sente subito parte: dal pannello con maxi schermo che ci accoglie all’ingresso con protagonisti giovani disabili e non, alle semplici citazioni che ci elevano al piano superiore, ai cartelli che riportano ognuno un articolo della Costituzione italiana: è un’accoglienza. È integrazione.

Se oggi il mondo ci appare così complesso e così disintegrato, è bene ripartire proprio da qui per riaprire gli occhi e vedere che i brandelli, i prodotti della disintegrazione si possono riaccostare per comporre un nuovo dipinto, in cui vorremmo disegnare al posto di fili spinati rose, al posto di salvagenti e gommoni un mare pulito, al posto di scuole bombardate banchi pieni, al posto del cemento armato che divide aiuole che congiungono, al posto di razze persone, non indifferenza ma sentimento.

“Un paese è forte quando si prende cura dei deboli, è ricco quando si occupa dei poveri, diventa invulnerabile quando presta attenzione ai vulnerabili.” Scriveva Jonathan Sacks nella primavera del 2020, mentre la pandemia ci divideva e ci separava. Dopo momenti così difficili, tutti noi siamo pronti ad affermare che vogliamo tornare come eravamo prima, lo vogliamo intimamente tutti noi… proprio uguali o un po’ più cambiati?