UN TRIANGOLO ROSA

Sapete chi sono ?

Un lercio triangolo rovesciato di stoffa rosa, cucito su un cencioso straccio a righe e un numero tatuato sul braccio, niente altro che quello .

Mi vennero a prendere la sera dopo che venni denunciata, sapevo sarebbero venuti, ma anziché scappare mi preparai, acconciai i capelli, mi truccai, indossai il mio abito migliore e le mie scarpe preferite, quelle in vernice con il tacco alto. Misi i miei gioielli più belli.

Mi feci trovare per quella che ero .Presi la seggiola di legno e la spostai a qualche metro dalla porta, mi ci sedetti sopra, la sigaretta accesa, le gambe accavallate con fare teatrale.

Furono bruschi una volta aperta la porta, che avevo lasciato socchiusa, mi spintonatono fino alla camionetta colma di ragazze come me e volti noti di altri ragazzi. Ci scortarono fino alla stazione dove ci fecero entrare in un puzzolente vagone merci. Ci entravamo tutti a fatica  noi della camionetta e altri sconosciuti tra cui dei bambini .

Non riuscii a mantenere la mia durezza durante il tragitto, mi abbracciai alle altre e piansi di dolore.

Fummo smistati, ci schedarono, ci marchiarono, ci spogliarono, ci rasarono e ci buttarono dentro un’enorme stanza. Tutti silenziosi, tutti intenti a coprirsi. Ci avevano lasciate con gli uomini, per loro eravamo questo , maschi deviati. Tutti colpevoli del crimine di omosessualità, tutti malati, deviati sessualmente .

Eppure non mi sentivo colpevole. Si poteva essere colpevoli di vivere il proprio corpo per come ci si sente ? Si poteva essere colpevoli di amare ?

Dal soffitto cominciò a scendere dell’acqua fredda, molti quasi gioirono e si baciarono per la contentezza dell’essere vivi almeno per quel momento. Io non lo ero, già prevedevo il dolore, la consapevolezza della fine, stavano solo temporeggiando l’inevitabile , quei nazisti schifosi .

E di lì l’inferno.  Avevo vissuto ogni sorta di situazione, essendo una prostituta e un travestito, ma mai avevo sofferto tanto. I cadaveri erano tanti da non poterli contare, molti del mio vagone non c’erano più, io tenevo duro, non so nemmeno il perché, ma sopravvivevo quasi per inerzia .

Finocchio, deviato, pervertito, così mi chiamavano le guardie  oppure mi frustavano per motivarmi a lavorare , quelle volte che stremata mi accasciavo .

È andata avanti così per un po‘. Sono morta dopo quasi un anno, di quella che ero non restava nulla , e non ne resta tutt’ora . Il mio corpo è disperso senza nome in qualche fossa comune,  insieme a centinaia di scheletri senza un nome anche loro .

Volevo essere una donna, volevo un uomo che mi amasse, volevo vivere libera senza il pregiudizio che mi cadeva addosso pesante come una croce, volevo non essere condannata per una cosa che non ho scelto, volevo non essere massacrata ogni giorno dai lavori forzati e dai Tedeschi .

Volevo essere me, non quel dannato triangolo rosa, non quel numero sul braccio .

Adesso vi dico, ricordatemi, portate la mia voce nel mondo, la voce degli innocenti, la voce dei diversi . Non vanificatemi.

Samuele Patania 5AI