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TOGHETER WE STAND – La storia del muro a mattoni bianchi pt1

…we came in

Benvenuti dietro il muro.

Scusate. Benvenuti dietro il Muro, con la M maiuscola, il famoso muro di mattoni bianchi che ha segnato la storia della musica, a tal punto da diventare uno degli album più rivoluzionari di sempre.

Infatti, proprio oggi, il 30 novembre del 1979, è stato pubblicato l’album musicale “The Wall”, tra i più grandi capolavori dei Pink Floyd.

Un’opera divisa in due vinili di straordinaria bellezza.

Il primo racconta la costruzione del Muro, il secondo le conseguenze e la lotta di Pink per liberarsi.

Pink è il protagonista, un po’ Waters, un po’ Syd Barrett, un po’ tutti noi.

È colui che, terrorizzato dalla vita, innalza il Muro per proteggersi da tutto ciò che potrebbe ferirlo, distruggerlo, annientarlo.

Col susseguirsi delle note il Muro cresce, fino a diventare completo, una barriera impenetrabile che isolerà Pink dal resto del mondo.

Quando entri dentro, per un’ora e mezza ti isoli dal mondo esterno, tanto forte è l’atmosfera che si crea trasportando l’ascoltatore in una serata a teatro in compagnia di sé stesso.

Le luci soffuse, le pareti rosse, le sedie in velluto e poi, sul palco, tanti mattoncini che piano piano si innalzano e costruiscono il Muro.

Siamo a pochi minuti dallo show, il sipario è ancora chiuso e il direttore d’orchestra ci chiede se vogliamo entrare in sala e assistere allo spettacolo.

“Se vuoi scoprire cosa c’è dietro questi freddi occhi dovrai solo aprirti la strada attraverso questo travestimento.”

Gunge tenue alle nostre orecchie una dolce melodia che viene improvvisamente spazzata via dalla chitarra di David Gilmour.

È il momento cruciale: la scelta è solo nostra.

Se vogliamo assistere allo spettacolo, allora liberiamoci di maschere e travestimenti ed entriamo nel muro veri, nudi, autentici: in carne e ossa.

Il sipario si apre.

The Wall inizia e lo fa con l’assordante rumore di un aereo da guerra, sempre più forte e più vicino.

Silenzio.

Pink, ora, è solo un bambino.

Vive ignaro del mondo nella bolla di vetro in cui lo ha imprigionato sua madre.

La vita a volte può sembrare bella, il cielo azzurro e senza nuvole. Ma, in realtà, è solo un continuo pericolo, una sottile lastra di ghiaccio che nasconde l’oceano nero da cui viene continuamente protetto.

Iniziano ad apparire i primi mattoncini: sono le paure e le preoccupazioni che gli vengono iniettate dalla madre e che pongono le basi per la costruzione del muro.

Uno dei tanti mattoni di quest’ultimo è la morte di suo padre in guerra, quando Pink ha solo due anni.

Cosa gli ha lasciato?

“Forse tutto sommato, era solo un altro mattone nel muro.”

Sradicato dalla sua infanzia, Pink riflette su come quelli dovrebbero essere i giorni più felici della sua vita, ma si ritrova a vivere in un sistema di adulti e umiliazioni, come un tritacarne da cui tutti usciranno uguali.

Poi, il suo battito cardiaco sembra accelerare mentre “The Happiest Days Of Our Lives” sfuma in quella che è la più famosa canzone di The Wall, “Another Brick In The Wall Pt.2”, che nella storia di Pink è proprio una reazione ai soprusi del brano precedente.

Diventa subito un inno contro la scuola odiata da Waters, un luogo dove i bambini sono soffocati dall’insegnamento, il controllo e la ferrea disciplina.

Sua madre nel frattempo continua ad innalzare il muro tra Pink e il Mondo, lo separa dall’esterno, lo isola.

“Mamma, doveva essere così alto?”

Pink dice addio ai giorni felici, che forse non ha mai avuto; dice addio al cielo blu, su cui è possibile leggere promesse e desideri.

Ora è adulto, sposato, ma il suo matrimonio ostacola l’innalzamento del Muro.

Vuole una ragazza sporca, una storia leggera, ma la moglie lo precede e, mentre telefona a casa, l’operatrice lo informa di quella sconosciuta voce maschile che ha risposto al telefono.

Allora Pink, per vendetta, porta una ragazza nella sua stanza d’albergo, ma è alienato dalla realtà. La crisi esplode e impazzisce distruggendo la camera; le sue urla finiscono solo quando la ragazza abbandona Pink.

“Non lasciarmi adesso, non dirmi che è la fine della strada.”

Pink implora di non essere lasciato, dalla moglie, dalla ragazza, dagli amici.

Non ottiene risposta.

Da questo momento in poi, non lascerà più la sua stanza d’albergo.

La sua paranoia cresce e Pink si auto-isola da tutti, convinto di poter stare da solo.

“Tutto sommato eravate solo mattoni nel muro.”

È questo il momento esatto in cui Pink capisce che il muro è completo.

I problemi e le difficoltà lo hanno spinto a costruirlo e ora è imprigionato là dentro e nulla può raggiungerlo.

Nessuno può aiutarlo.

Le luci si spengono.

Il primo disco è terminato.

 

Giulia Tiranno

Alessandra Masciantonio