Zafferano, pistacchi e coriandolo

Istanbul si svela a poco a poco tra barbieri aperti a mezzanotte e fili dell’elettricità che si abbassano come sotto il peso di pesanti coperte appese.

I ragazzi ballano a braccia aperte, fumano narghile e poi bevono the amaro.

La bandiera turca si apre al vento che dalle colline del Bosforo spira verso sud, quasi al rallentatore, sospesa tra le cupole delle moschee e il profumo di castagne arrostite.

Tutto si ferma eppure tutto scorre.

Dagli altoparlanti dei minareti si diffonde la preghiera al tramonto mentre gli uomini fanno le consuete abluzioni.

Questa città mi affascina come poche, mi prende quasi per mano quando guardo alcune donne che si muovono sinuose, sotto i loro pesanti abiti lunghi. Pregano nella moschea di Eyup un Dio che forse darà loro un figlio. Mi guardano con tenerezza quando mi indicano l’ingresso femminile. Mi copro il capo. Sulla gradinata di ingresso hanno fretta, si affastellano, salgono e salendo si tolgono le scarpe, le mettono in una busta, cercano un posto.

Nel matroneo sembrano tutte uguali: stessi abiti a tinta unita beige, neri, marroni, blu, stessi occhi scuri. Io mi destreggio come meglio posso cercando uno scaffale che non trovo e una busta che non ho. Le metto sul davanzale di una finestra. Intanto il matroneo si riempie. Come piccole api, ciascuna cerca e trova la sua cella, sulla moquette blu: blu cielo, blu turchese, blu intenso.

Vanno sicure in cerca di una collocazione, si guardano, sorridono. C’è chi prega intensamente e si china cinque volte, chi parlotta, chi sorride. C’è solidarietà, voglia di incontrarsi, di raccontarsi.

Una energia incredibile mi passa da fianco a fianco.

Dalle grate guardo giù. La predica scorre veloce in una lingua che non comprendo, gli uomini si chinano, pregano, ascoltano attenti.

Gli ori luccicanti del palazzo del sultano sono lontani da qui.

L’acqua della fontana sprizza tranquillità, un gatto rossiccio sonnecchia al riparo del fiume di fedeli che ora si riversano tra le strade della parte antica. Non ci sono taxi gialli né bazar che grondano turisti. Le donne tornano a casa, si scambiano sguardi di intesa. Io scendo le scale come sconfitta, incredula, impotente. La luce del tramonto scende calda, mi avvolge.

Mariella Di Brigida