Gli estremofili: una vita impossibile

È noto che la presenza di vita è possibile solo in una determinata combinazione di condizioni; esistono, tuttavia, alcuni microrganismi del dominio Arcaea denominati “estremofili”, in grado di proliferare solo in condizioni estreme, appunto. I primi Arcaea scoperti furono quelli del supergruppo TACK (acronimo di Thaumarchaeota Aigarchaeota Crenarchaeota Korarchaeota, i principali phyla di tale supergruppo). Se ne distinguono di diverse tipologie fra cui termofili, criofili (‘freddo gelido’), alofili, xerofili (‘arido’) e acidofili.

Al phylum dei Crenarchaeota appartengono la maggior parte dei termofili (“amanti del calore”), sebbene vi appartengano anche alcuni Arcaea acquatici non termofili. Contrariamente a quello che ci si potrebbe attendere, la stragrande maggioranza delle vie metaboliche e delle proteine di tali organismi sono molto simili a quelle dei mesofili, che vivono a temperature, per così dire, “normali”; eppure le catene polipetidiche di detti mesofili denaturerebbero anche a temperature quasi di molto inferiori rispetto a quelle alle quali gl’ipertermofili prosperano; se confrontiamo, però, nel dettaglio le proteine termostabili dell’ipertermofilo Pyrolobus fumarii (il più estremo fra i termofili), resistente pure a elevate pressioni e vivente in ambienti aventi una temperatura superiore ai 100 gradi centigradi, o di altri microrganismi simili, si nota che, sebbene le proteine di questo organismo esibiscano delle differenze rilevabili nella struttura secondaria, queste divergenze non sono ingenti se paragonate con proteine omologhe di mesofili a basso grado di correlazione. Ma allora cosa conferisce a tali proteine il loro carattere termostabile?

La risposta sta nella sovrabbondanza nella struttura terziaria di siffatte proteine di ponti salini che, sebbene in altri casi abbiano un ruolo meno che marginale, in questi organismi formano dei reticoli in cui il guadagno energetico è maggiore e la termostabilità è assicurata. Certo, non tutti gli ipertermofili adoperano il meccanismo appena descritto, ma tutti hanno in comune l’effetto cumulativo di interazioni molto deboli e che in altri casi risultano poco rilevanti.

Molto particolari sono le membrane degli Arcaea alofili (“amanti del sale”): esse presentano una colorazione violacea. La membrana purpurea dell’Arcaea Halobacterium salinarum è dovuta alla presenza della batteriorodopsina, la prima proteina la cui struttura tridimensionale è stata determinata attraverso la tecnica della microscopia crioelettronica (al cui riguardo si rimanda a un articolo precedentemente redatto: https://lascuolafanotizia.it/2023/03/03/la-microscopia-crioelettronica/). La predetta proteina possiede una struttura formata da sette α eliche transmembrana e contiene al proprio interno una regione detta cromoforo che, colpito da una serie di fotoni, assorbe energia e passa allo stato eccitato inducendo dei cambiamenti conformazionali nella proteina ai quali segue il trasferimento di un H+ fuori dalla cellula, determinando sì un gradiente protonico dal quale ricavo di energia l’archeo cava ATP. Come suggerito dalla pubblicazione “Structural determinants of purple membrane assembly” di M. P. Krebs e T. A. Isenbarger, in Halobacterium salinarum, le interazioni fra le eliche transmembrana delle molecole vicine di batteriorodopsina contribuiscono all’assemblaggio della membrana viola; tuttavia, altre interazioni specifiche, in particolare fra batteriorodopsina e molecole lipidiche possono fornire la forza maggiore per guidare l’assemblaggio, come suggerisce il fatto che molte molecole di lipidi sono attaccate in punti specifici della superficie della proteina. Delucidare le basi molecolari delle interazioni proteina-proteina e proteina-lipide della membrana viola possono aiutarci nella comprensione della modalità mediante la quale si formano proteine integrali di membrana complesse in altri sistemi. Ciò contribuisce a fornire una spiegazione anche dell’elevatissima varietà di lipidi di membrana caratteristica degli eucarioti.

Uno dei meccanismi più comuni che consentono agli Arcaea acidofili di sopravvivere in ambienti oltremodo ostili ad altri organismi (aventi pH pari a due o inferiore) consiste nell’utilizzo di una pompa protonica che espelle ioni H+ con l’intento di evitare che il citoplasma diventi troppo acido; si riscontra anche che le catene polipeptidiche di predetti Arcaea  sono ricche di residui amminoacidici acidi aventi bassa affinità per gli ioni H+. Quello delle pompe protoniche è uno degli adattamenti più antichi ed importanti nella storia della formazione delle cellule che operano la respirazione cellulare. Come descritto nel manuale “Biologia molecolare della cellula” di B. Alberts, A. Johnson, J. Lewis, D. Morgan, M. Raff, K. Roberts e P. Walter, “le prime cellule viventi sulla Terra devono aver consumato molecole organiche prodotte geochimicamente e devono aver generato ATP attraverso la fermentazione (…) [scaricando] nell’ambiente gli acidi organici, come l’acido lattico o formico, per esempio. Forse questi acidi abbassarono il pH dell’ambiente, favorendo la sopravvivenza delle cellule che avevano evoluto delle proteine transmembrana in grado di pompare H+ fuori dal citosol, così da evitare che la cellula diventasse troppo acida. Una di queste pompe potrebbe avere usato l’energia disponibile dall’idrolisi di ATP per espellere H+ dalla cellula; questa pompa protonica potrebbe essere stata l’antenata dell’odierna ATP sintasi”.

Michelangelo Grimaldi