Strappiamo i corsetti, viva la libertà!

Visita al Museo delle Donne di Merano alla scoperta dei reali diritti delle donne

di Alice Villa, 2D

Quando studiamo la storia sentiamo sempre di uomini che hanno cambiato la nostra esistenza, di eroi, di re spietati e cattivi, ma mai di donne che hanno reso il mondo un posto migliore. 

La storia delle donne è sempre narrata in maniera marginale, come se non avessero fatto nulla di speciale, ma ci sbagliamo. Senza donne coraggiose e forti noi saremmo fermi probabilmente al Medioevo. Anche le donne hanno fatto la loro parte di ciò che oggi davanti ai nostri occhi sembra qualcosa di scontato.

Il Museo delle Donne a Merano ci fa comprendere una prospettiva tutta nuova dell’interpretare il ruolo della donna, ci apre gli occhi su ciò che il sesso femminile ha dovuto affrontare nella storia e perché ha sicuramente sofferto più del mondo maschile.

ingresso del museo dove è presente la prima teca da osservare.

Il museo è situato in Via Mainardo,2 e contiene, seppur sia di esigue dimensioni, molteplici fonti inerenti ad argomenti davvero toccanti; non solo il ruolo della donna, ma anche le sue insicurezze fisico-psicologiche e l’ambito sessuale.

 

 

 

 

 

All’ingresso del museo possiamo trovare una colonna centrale dove a tutto tondo si può osservare la sua storia: esso nasce nel 1988 da Evelyn Ortner

https://www.museia.it/it/museo/passato-e-presente/

e ad oggi ha fama internazionale con lo scopo di sensibilizzare tutti i visitatori riguardo la storia delle donne, affinché non abbia repliche.

 

 

 

Appena usciti dal museo troviamo il monumento centrale della via: l’enorme corsetto in stile moderno, il simbolo del museo. E’ costituito di ferro e plastica e rappresenta l’oppressione, l’odio, il dolore e le derisioni che le donne hanno dovuto subire e che ancora oggi, in alcuni paesi, continuano a sopportare.

Il corsetto  (come leggiamo da un cartello esposto in una delle teche all’interno del museo) nasce nel Rinascimento a imitazione del corsaletto in ferro dei soldati. Il corpo naturale della donna veniva considerato inferiore e per questo motivo veniva loro dato l’obbligo di indossarlo con lo scopo di uniformarle al corpo dell’uomo, eliminando le “imperfezioni” costituite dal seno.

Il corsetto continuerà a tormentare il corpo delle donne fino alla Prima Guerra Mondiale, quando poi sarà più complicato fabbricarli, dato che erano costituiti da stecche di balena e perciò verranno sostituiti da busti elastici.

La donna nel passato veniva trattata come oggetto di fecondazione, e non tanto come una persona con dei sentimenti affini a quelli dell’uomo.

Possiamo riscontrarne un esempio in una teca dove è presente il periodo della seconda guerra mondiale fino agli anni sessanta: osserviamo un manichino che indossa una collana con una specie di “medaglia” a forma di croce su cui notiamo una svastica in bella vista.

Ai tempi veniva denominata “croce d’onore” ed era un premio donato alle madri: più facevano figli, più il materiale della croce era prezioso. 

Una medaglia per le benemerite connazionali che hanno partorito figli di sangue tedesco e senza tare ereditarie… nati vivi 

Al quarto figlio ricevevano una croce placcata in bronzo, al settimo in argento, all’ottavo in oro.

Come viene spiegato questa è una crudeltà; non solo perché le donne venivano usate unicamente per produrre prole, ma anche perché ciò le sminuiva, non lasciando loro la possibilità di sentirsi alla pari del sesso opposto. Alcune donne sono diventate consapevoli di tutto questo e hanno provato, purtroppo senza successo, ad evitarlo.

L’esempio che ci viene proposto è la ribellione ad impronta sociale di Marie Gouze, che affidò alla scrittura dei manifesti il tentativo di riuscire ad ottenere pari diritti. Venne presto scoperto il nome falso che utilizzava per sembrare un uomo (Olympe de Gouges) e venne immediatamente ghigliottinata nel 1793.

Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche di principio; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, essa deve avere pure quello di salire sulla tribuna.

Olympe de Gouges, Parigi, 1791.

 

 

 

 

Il corsetto, simbolo di questo museo, esprime come la donna possa essere stata considerata chiusa all’interno di una prigione non visibile all’occhio umano ma è sempre stata, e in alcuni casi lo è ancora, una vera prigione che la obbliga, la costringe, la soffoca, una morsa di stereotipi che ancora oggi in alcuni Paesi e spesso anche nella nostra quotidianità la donna deve ancora sopportare.

Per questo dobbiamo continuare ad ammirare con la mente, gli occhi, il corpo e il sentimento, luoghi come questo che ci permettono, nei momenti difficili della nostra vita di “donne”, di capire quanto siano stati grandi e faticosi i passi verso la nostra libertà.