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Alla scoperta del mental coaching – intervista a Giuliano Di Giacomo e Danilo Da Re

 Nella Sala Aldo Moro, durante la mattina del 16 gennaio, alcuni classe terze hanno avuto l’incredibile opportunità di seguire le tracce lasciate da un’ improbabile diade nata sui banchi di scuola: l’ingegnere aerospaziale Giuliano Di Giacomo e il mental coach Danilo Da Re.
I due, affiancandosi, hanno dato vita ad un bellissimo progetto riguardante la formazione. Proprio in occasione della 25esima edizione del Festival della Scienza Ad/ventura, hanno organizzato un interessante dibattito sul “Mental Coaching e tecniche di apprendimento avanzate”. Coinvolgendo i ragazzi e offrendo loro mille spunti di riflessione, hanno sapientemente illustrato l’importanza di tecniche specializzate per la memorizzazione e l’apprendimento e, soprattutto, il potere del metodo ME.CO.AL.SO, ideato da Danilo stesso, per raggiungere una situazione di benessere interiore sostenuta dalla consapevolezza di sè.
Al termine del convegno è stato possibile fare loro alcune domande.

(intervista all’ingegnere Giuliano di Giacomo)

Che ruolo sente di avere all’interno della società?
Diciamo che cerco di migliorare il mondo, come ho scritto in una delle slide. Questo sto cercando di farlo sia qui in Italia, attraverso formazione Glocal, in quanto è importante occuparmi di formazione assieme al mio socio Danilo – è stato utile per me, quando ero giovane, e ora vorrei insegnarlo a mia volta ad altri ragazzi – proprio perché migliorando le persone, si può migliorare anche il mondo. In America invece ci sono altri progetti che sto portando avanti, in particolare nell’ambito dei droni, non da attacco ovviamente, ma “di sorveglianza”, per cercare di prevenire, ad esempio, incendi. Quindi cerco di migliorare il mondo che mi circonda in questo senso, sia con l’utilizzo della tecnologia che con la formazione.

Cosa vuol dire, ad oggi, fare ricerca nel suo ambito?
Diciamo che sono specializzato nel mondo dei droni, un mondo in evoluzione. Si stima che ci sarà un boom di questo settore circa nel 2030. Fare ricerca nel nostro settore significa andare a cercare – o addirittura a creare – tecnologie che non esistono. Proprio quest’anno, ad esempio, è possibile acquistare delle batterie nuove che possono essere utilizzate sui droni. Fino a poco tempo fa questo tipo di batteria non esisteva. Il settore aerospaziale è un settore molto spinto, quindi spesso si tratta di inventare qualcosa che porta poi a pensare fuori dagli schemi, fare qualcosa che non ha mai fatto nessun altro.
Per quanto riguarda la formazione, invece, è un po’ diverso: stiamo cercando di portarla a livello locale, il che significa adattarsi alle condizioni del posto. Fare formazione a dei ragazzi non è la stessa cosa che farla a degli adulti, fare formazione a Vasto non è la stessa cosa che farla a Milano. Anche in questo senso c’è una ricerca, altrimenti alcune cose non funzionerebbero correttamente.

Negli ultimi tempi si è sentito molto parlare di ambiente e salvaguardia del pianeta. In che modo l’ingegneria aerospaziale si rapporta alla sostenibilità?

Diciamo che tutte le tecnologie, non solo quella aerospaziale, possono essere utilizzate per migliorare l’ambiente. Tra l’altro, questo è un tema molto sentito tra voi giovani per fortuna. Il discorso è questo: tutte le ingegnerie sono degli strumenti, sta a noi capire come migliorare – o meno – l’ambiente che ci circonda. La ricerca non va fatta prettamente in un ambito, come per esempio quello aerospaziale, tutto sta in quello che vogliamo ottenere. Persino l’energia atomica, puoi utilizzarla per distruggere Hiroshima o per alimentare ospedali e salvare vite.
Non è nella tecnologia la soluzione, ma nel modo in cui viene utilizzata.

Un problema importante che persiste in Italia è la fuga di cervelli. Lei cosa ne pensa e soprattutto qual è di preciso la situazione nel nostro Paese per quanto riguarda la facoltà che lei ha studiato?
Ingegneria aerospaziale, in Italia, è, fortunatamente, a livelli altissimi. Al contrario, le opportunità lavorative sono più limitate che all’estero, in particolare rispetto agli Stati Uniti. Quello che consiglierei ai giovani è questo: formarsi in Italia, perché il livello di istruzione e formazione è davvero molto buono, vi assicuro che in America non c’è questo stesso grado; dopodiché è importante fare delle esperienze anche all’estero per imparare cose che qui non ci sono. Quindi per me una fuga iniziale di cervelli ci può stare. Andare altrove significa anche fare delle esperienze che possono insegnare molto. Sfruttate il periodo della giovinezza per viaggiare e rendervi conto di situazioni che in Italia non vedrete. Poi, se vi va, potrete sempre tornare.

In qualche modo l’ingegneria aerospaziale è collegata anche allo spazio e, in generale, all’universo. Attorno ad esso c’è, però, un forte alone di mistero, sia a causa delle cosiddette “tracce di vita nello spazio” che per via di tutte quelle domande che sono ancora senza risposta. Mentre studiava, o addirittura quando era bambino, c’era una qualche “teoria” che la affascinava più di tutte le altre?
Beh sicuramente tra tutte c’è uno dei discorsi di Feynman, premio nobel per la fisica. Una volta gli chiesero se credesse all’esistenza degli alieni e lui rispose che per quanto fosse grande l’Universo, era impossibile che fossimo le uniche tracce di vita esistenti.
Il fatto che tutt’ora non siamo riusciti a entrare in contatto con essi, a parer mio, è perfettamente normale, a causa delle immense distanze da coprire. Con le tecnologie che abbiamo ad oggi è altamente improbabile fare dei viaggi che coprano così grandi distanze, e probabilmente ciò vale anche per le altre civiltà.

(intervista al mental coach Danilo da Re)

 Quali sono secondo lei le caratteristiche fondamentali per diventare un mental coach?
A mio avviso, uno dei requisiti principali è l’empatia. Bisogna sentire dentro di sé una predisposizione ed è qualcosa che si avverte fin dall’infanzia: fin da quando si è piccoli bisogna avere questa vocazione per aiutare gli altri a superare i propri limiti. Per me è come un giuramento, come lo può essere quello di un medico. Senza questa propensione crolleresti, e crollano anche i migliori. Credo che sia una caratteristica importante per diventare un mental coach, e molto spesso è qualcosa che ti fanno capire anche gli altri. Non c’è nulla che mi appaghi più di un grazie o di un abbraccio da parte delle persone che riesco ad aiutare.

In che modo affronta eventuali sfide che i suoi “clienti” potrebbero incontrare durante la loro crescita personale?
Parto col dire che è perfettamente normale incontrare delle difficoltà. Questa è un’ottima domanda in quanto molti pensano di andare da un mental coach e risolvere lì la questione. Invece non è così, perché mettersi in gioco e anche commettere degli errori è fondamentale! E qui vengo ad una delle frasi più belle attribuita a Socrate  che mi è rimasta dalla formazione: “la fortuna non è altro che un incontro tra l’opportunità e la preparazione”. Se ci pensi, per cogliere un’opportunità è necessario farsi trovare pronti, altrimenti quell’occasione va un po’ a farsi benedire, e poi sta a te scegliere come reagire. In alcuni casi, poi, si rivolgono a dei professionisti persone a cui è capitato qualcosa del genere e a quel punto ci si mette a nudo davanti allo specchio – metaforicamente parlando, sia chiaro – e si cerca di scoprire nuovi lati di sé, che molto spesso portano anche all’auto-sabotaggio. Naturalmente in queste situazioni noi cerchiamo proprio di aiutare gli altri a superare e gestire le proprie insicurezze.

Ci sono state esperienze significative nel suo percorso, ad esempio con delle persone che si sono rivolte a lei, che l’hanno particolarmente segnata?
Di solito – poichè bisogna seguire un protocollo – anche io pongo una questione simile alle persone che seguo e in qualche modo spuntano fuori sempre esperienze negative.
Noi non cerchiamo di eliminarle, ma di trarne qualcosa di positivo, una storia, una lezione che potrebbero potenziarti. Ovviamente tutto dipende dal proprio mindset e dal modo in cui si reagisce a ciò che la vita pone davanti. Come ci sono le domande potenzianti, ci sono anche quelle depotenzianti che, guarda caso, non ti poni mai quando accade qualcosa di bello. Quindi per tornare alla tua domanda, sì ci sono state delle esperienze, principalmente ragazzi, che mi sorprendono costantemente e mi fanno capire quanto sia importante il nostro lavoro. In generale, tutte le persone che si mettono a disposizione per gli altri sono la chiave per distinguere l’essere umano dal mondo animale. Il valore della solidarietà è qualcosa di straordinario. Io penso che tra tutte queste figure, rientri anche quella del mental coach.

 Spesso noi giovani siamo guardati con scetticismo a causa del nostro soffrire dei più svariati problemi mentali, partendo dalla semplice ansia per arrivare anche a situazioni più serie e delicate, ciò, in particolar modo, a seguito del lockdown. Lei cosa ne pensa e cosa si sente di consigliare?
Ecco, hai toccato un argomento molto importante e profondo. Quando si tratta di problematiche che hanno a che vedere con la salute mentale, io consiglio sempre di rivolgersi a dei professionisti, che non sono i mental coach – attenzione. Spesso mi avvalgo apposta di psicologi, psichiatri, psicoterapeuti. Loro possono parlare di questi argomenti perché possiedono una formazione adeguata ad affrontare queste situazioni. I mental coach intervengono principalmente per aiutare a gestire un’ansia lieve, per sviluppare una mentalità e aiutare la mente a creare un’abitudine positiva e producente.
Per rispondere alla tua domanda, ci sono dei casi che vanno affrontati da adeguati professionisti con un’adeguata preparazione. In queste situazioni è fondamentale anche la collaborazione: è il tessuto sociale che deve far sì che ogni professionista sappia delegare e indirizzare un paziente dallo specialista giusto.

Guardando al suo percorso e a tutte le tracce che ha lasciato tanto nella sua vita quanto in quella degli altri, c’è qualcosa che vorrebbe cambiare?
Questa sì che è una domanda interessante! Molto spesso, forse per orgoglio, si risponde che non si cambierebbe nulla, anche se poi, nell’effettiva realtà, di qualcosa ci si pente.
Io credo che bisogna semplicemente accettare quello che è stato, anche perché nessuno assicura che cambiare la propria azione negativa possa portare a qualcosa di positivo! Quindi, in generale, il segreto sta sempre nel sentirsi soddisfatti di ciò che si è fatto, concentrarsi sul presente e sul futuro, e servirsi del passato solo per capire determinate dinamiche e imparare qualcosa di importante su se stessi. 

 

Alessandra Masciantonio