Rovinarsi la vita per un casco slacciato. Per sempre. Un gesto così insignificante da sembrare banale, eppure così importante da salvare una vita. Il racconto di Elisa Caramagno, della classe IV QL, del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale, del II Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta, si è aggiudicato il terzo posto al concorso “Salviamoci la vita”.
Il caldo estivo di agosto rendeva la cena in veranda molto più allettante di una chiusi in casa. La sera era calata da poco, la cena era accompagnata solamente dal canto delle cicale. Io, ancora bambina, sedevo accanto alla mia mamma, già pronta per scappare al lavoro per il turno notturno. Il suono di un’ambulanza non troppo lontana ci risvegliò dalla serenità della serata e spinse mia madre ad affrettarsi per raggiungere l’ospedale. Il racconto di ciò che mia madre vide e sperimentò quella sera, la storia dietro quell’ambulanza, è qualcosa che non potrò mai dimenticare.
Dopo aver salutato la mia famiglia ancora a cena in veranda, salii velocemente in macchina, allacciai la cintura e partii a ritmo sostenuto verso l’ospedale per il turno notturno al pronto soccorso. La serata era appena iniziata e un’ambulanza era già in arrivo, mentre il clima mite e la luna piena lasciavano immaginare una notte estiva di divertimenti e spensieratezza, ma forse non per tutti.
Raggiunto l’ospedale ebbi appena il tempo di cambiarmi per veder arrivare a tutta velocità l’ambulanza a sirene spiegate. Forse ero ancora presa dalla serenità della serata e dall’atmosfera estiva, ma quella sera rimasi sorpresa di fronte a uno spettacolo tanto triste. Dentro l’ambulanza un ragazzo, all’incirca diciottenne, fissava il vuoto, come se stesse già vagando verso altri mondi, mentre il suo corpo dilaniato mostrava tutta la fragilità dell’essere umano. Presentava tagli e ferite ovunque, sulla faccia, le braccia, le gambe e due squarci sulle ginocchia, con la pelle completamente sfaldata. Incidente stradale, uno di quelli in cui nessuno si preoccupa dei danni ai veicoli, tutto perde di senso di fronte alla morte.
Il ragazzo era evidentemente in coma, informai subito il reparto di rianimazione e nel frattempo cominciai a suturare e ripulire le ferite sanguinanti insieme ad un soccorritore dell’ambulanza. Mi raccontò tutto dell’incidente. Il ragazzo sul motorino, la fidanzata con lui, la macchina che invade la loro corsia per superare una fila, l’impatto, la tragedia. I passeggeri delle macchine vicine notarono un casco volare in aria durante lo scontro, il casco non allacciato del motociclista, i poliziotti invece rilevarono un alcol test positivo, quello del conducente dell’auto. Infrazioni che vanno ad aggiungersi alle migliaia riscontrate quell’anno, trasgressioni e conseguenti tragedie che riempiono anonime statistiche, forse non abbastanza spaventose. Ecco allora una vera storia di paura: assaporare l’aria estiva, la brezza
leggera della sera sul motorino, le promesse e i sogni di agosto, tutto spazzato via da due enormi fari che ti vengono incontro, senza lasciare spazio alle speranze, la giovinezza, il futuro. Tutt’a un tratto ti ritrovi catapultato in ginocchio contro un muro, forse rimpiangi il casco ormai troppo lontano, forse non ci sei più. Il ragazzo era ora disteso, sempre dormiente, il corpo rattoppato, in attesa. La madre era arrivata da poco, mostrava sul volto gracile i segni della paura, della confusione. L’incidente stradale non lascia spiegazioni, sembra quasi una forza superiore, incontrollabile, imprevedibile. Rimane solo il dolore, la rabbia.
Bastarono poche settimane per il verdetto finale, il giovane dormirà per sempre e non godrà delle ultime gocce d’estate e della libertà che gli era stata promessa per i suoi diciotto anni. Per un casco slacciato, per qualche bottiglia di birra in più. Si confondono nella mia mente numeri inquietanti: 8 morti al giorno, 1.19 milioni ogni anno nel mondo, solo per incidenti stradali. Grandi numeri che costituiscono ancora una delle più grandi sconfitte della nostra specie. Numeri testimoni di un massacro che si compie ogni giorno sotto i nostri occhi. Una storia che si ripete sempre uguale. Genitori in apprensione per il ritardo del figlio, lo squillo del telefono, la notizia devastante, nuovi fiori su nuove tombe, un ciclo che si ripete. Ragazzi, adulti, esseri umani, vite bruscamente interrotte, per distrazione, per menefreghismo, per
“divertimento”, per negligenza, perché “tanto la strada è libera a quest’ora”, perché “tanto che può succedere”, perché in strada ci sentiamo tutti immortali e intoccabili.
“Succede” dicono, come se la colpa non fosse dell’uomo stesso, come se non avessimo il controllo sul nostro comportamento in strada. Tutto appare così lontano, fin quando non arriva il nostro turno. Siamo allora davvero disposti a rischiare la nostra vita per banalità del genere? Per un casco slacciato, per qualche bottiglia di birra in più.
Elisa Caramagno