Sul filo della memoria – intervista a Liliana Centofanti

Nella notte del 6 Aprile di 15 anni fa un violento terremoto abbatté le case della città de L’Aquila e le Parche tagliarono il filo di innumerevoli vite.
Fu un evento, l’ennesimo, che scosse l’Italia intera.
A morire, quella notte, furono anche ragazzi e ragazze che a L’Aquila cercavano di realizzare i loro sogni. Tra i palazzi crollati, infatti, c’era anche la Casa dello Studente, un rifugio che tutti loro consideravano porto sicuro a cui approdare, un luogo dove crescere insieme e condividere tutto ciò che di bello si aveva.
Tra le 309 nove vittime, emerge un nome, quello di Davide Centofanti, ragazzo vastese figlio del

Liceo Scientifico Mattioli.
La sorella, Liliana Centofanti, con coraggio e tenacia continua a far rivivere la sua memoria raccontando instancabilmente una storia finita troppo presto.
Al sicuro tra i libri e il silenzio della biblioteca, ci ha permesso di toccare con mano questa memoria, attraverso una breve intervista.

  • Dopo quel tragico evento lei e sua zia avete trovato la forza di riunire tutte quelle famiglie ormai distrutte, operando attivamente per la nascita del Comitato familiari vittime della casa dello studente. Com’è nata quest’idea e cosa è riuscita a regalarle?
    Più che un’idea, la definirei una necessità, che nasce nel momento in cui diventi cosciente del fatto che ti sono state tolte delle cose – e mi riferisco al diritto alla vita, perché di questo si è trattato; addirittura a danno di una cittadinanza intera e, in particolare, di una delle fasce più fragili della società che è quella degli studenti. Penso voi sappiate meglio di me cosa significhi scegliere un percorso di studi, darsi la possibilità di diventare adulti, avere un sogno da coltivare e raggiungere e poi venire recisi così, sul più bello.
    La nostra esperienza è stata quella di mettere su un comitato familiari di vittime perché in qualche modo si deve prendere consapevolezza di quello che è successo. Davide non è semplicemente morto. Purtroppo per una condotta scellerata – che, tra l’altro, continuiamo a leggere sui giornali – Davide è stato ucciso, insieme ad altre 308 persone. Non si tratta di una morte accidentale, per malattia o per una fatalità.
    Io credo sia stato doveroso fare ciò che abbiamo fatto, per restituire dignità a lui e al contempo riprenderci la nostra, per andare avanti.
  • Nonostante siano passati ormai 15 anni, continui a batterti per mantenere vivido il ricordo di Davide. Quanto è importante la memoria di chi sopravvive in situazioni come questa?
    La memoria è importante nel momento in cui ci si distacca dalla commemorazione fine a se
    stessa.
    Ci sono situazioni inspiegabili che diventano anche difficilmente narrabili, però è importante capire quello che è successo e informarsi sulle modalità con cui ciò è avvenuto – le comunicazioni e i comportamenti sbagliati.
    Tutta la catena di eventi che hanno portato a quella notte devono servire per sviluppare una consapevolezza. La nostra deve essere una memoria fertile, produttiva e io mi auguro che quest’esperienza ponga a monte una domanda: “chi vogliamo essere da grandi e che tipo di persona vogliamo diventare?”; è importante avere coscienza di cosa si ha dentro perché, al di là della professione che poi verrà scelta, è fondamentale anche decidere che tipo di professionisti si vuole essere.
    È chiaro che per un ragazzino è complicato immaginare se stesso quindici anni più avanti, però non è mai tardi per prendere dimestichezza con certi temi.
    Voi sicuramente vivete in un mondo molto diverso dal nostro, in cui si va molto veloce e in cui anche i contenuti che passano sopra gli smartphone sono delle meteore. Però la vita non è una meteora, e quindi bisogna fare i conti col fatto che il tempo è veramente vissuto solo se impiegato per fare qualcosa di importante e utile.
    Mi ricordo una frase di Robin Williams che dice “Se vi dovesse capitare di passare davanti alla mia tomba, vedrete due date, con un trattino in mezzo. Bene, guardate attentamente quel trattino. È l’unica cosa che conta”. Noi abbiamo tentato e stiamo tentando di ridare senso al nostro, per quello che ci è possibile, e soprattutto cerchiamo di restituire luce anche al breve trattino di Davide.
  • È innegabile che diverse zone del nostro Paese siano soggette al rischio sismico. Quanto credi
    abbia inciso un’indifferenza da parte dello stato verso la costruzione di strutture sicure in luoghi potenzialmente così pericolosi?

    È stata fondamentale. Ha fatto la differenza tra la vita e la morte di 309 persone.
    Quando parlavo prima di condotta scellerata mi riferivo al fatto che il rischio sismico è stato sottovalutato.
    Nessuno chiedeva agli esperti che si sono riuniti di stabilire l’orario preciso del terremoto, perché sarebbe stato impossibile. Però era vero e oggettivo che c’erano stati mesi di scosse ed è purtroppo risultato decisivo il fatto che durante questi mesi non sia stata predisposta una misura preventiva, non sia stata data la possibilità a nessuno di avere un luogo dove andare in caso di pericolo, anche solo per qualcuno che avesse avuto timore.
    Chiunque si accingeva a fare domande o sollevare dubbi correva il rischio di essere denunciato per “procurato allarme”.
    Hanno avuto la possibilità di fare qualcosa fino all’ultimo: hanno evacuato il Palazzo della Prefettura durante la penultima scossa forte, ma non gli altri. La Casa dello Studente era un edificio del quale si conoscevano già le carenze strutturali, perché era stato condotto uno studio dall’Abruzzo Engineering molti anni prima ed era stata stilata una lista di tutti quei palazzi che sarebbero crollati in caso di terremoto con una certa intensità, e tra i quei nomi c’era proprio quello della Casa Dello Studente.
    Gli unici a non saperlo e ad essere ignari di tutto eravamo noi.
    Questo significa mettere delle persone in gabbia e fare diventare un edificio una tomba. Solo che in un cimitero le tombe sono visibili, sai dove stai andando, lì no.
    Quella Casa era piena di vita: Davide aveva trovato una famiglia, erano tutti uniti e si preparavano a crescere insieme.
    Sapere che invece erano tutti in trappola è ciò che fa più male e al quale si fatica a trovare un senso.
    Sono stati lasciati soli: chi doveva e chi poteva non ha fatto.
    Eravamo ragazzini e ci fidavamo degli adulti, ma gli adulti ci hanno lasciati soli.
  • Come accennavi prima, questa purtroppo non è l’unica tragedia che ha segnato la storia del nostro Paese, perché ce ne sono state tante altre, a volte avvenute persino con la stesse modalità. Come si potrebbe incitare ad un cambiamento che tutti, forse, aspettiamo da tempo a braccia conserte?
    Diciamo che l’informazione in questo campo è sempre stata carente. Nemmeno noi avevamo davvero la possibilità di informarci.
    Sicuramente voi avete molti più mezzi a disposizione e in questo la tecnologia è fondamentale perché può darvi una grossa mano.
    Noi abbiamo fatto rete, da soli non si va mai da nessuna parte. Per cui il nostro comitato non è solo, ma si intreccia con tutti gli altri della nostra Nazione. Infatti, purtroppo, in Italia di Comitati familiari vittime di qualcosa c’è n’è una miriade, e non solo per quanto riguarda le tragedie di dissesto idrogeologico o di sismica. Tutti siamo accumulati dalla stessa cosa: chi poteva fare, non ha fatto.
    Ritorno alla tua domanda senza perdermi troppo.
    Voi anche potete fare rete, potete chiedere, informarvi.
    Anche a scuola potete premere per avere prove di evacuazione, per conoscere le reali condizioni strutturali dell’edificio, poiché sono tutti diritti che vi appartengono – diritto di sapere dove vi sedete.
    Non dovete avere paura di informarvi e di chiedere, e neanche di prendervi tempo per capire

    Oggi si va velocissimi – come ti dicevo poco fa. Si tende a correre e prima ancora di capire alcune cose, ci si preoccupa di essere performanti.
    Eppure si diventa veramente performanti nel momento in cui si padroneggiano quelle cose, e per farlo ci vuole tempo, fatica e molta determinazione, è necessaria la volontà di cercare non in un punto solo, ma ovunque.
    La ricetta per cambiare tutto, però, non te la posso dare perché non la ho.
    La verità è che quello dell’edilizia è un mondo molto complesso in cui gravitano molti soldi.
    Ecco, questa è un’altra cosa importante. Non facciamo in modo di diventare dei codici a barre, perché quando si diventa dei numeri si è vendibili, quando si diventa dei numeri di noi si può fare a meno. E invece non è così, questo lo dovete ricordare. Voi siete necessari. E se facciamo questo è perché in voi ci crediamo davvero, come abbiamo creduto in lui.
    Lo so, la scuola è spesso pesante, ci siamo passati tutti. Ma è veramente l’unico luogo in cui avete modo di capire chi volete essere da grandi; e finché ci siete, siete tutti necessari. Non dobbiamo far passare il messaggio di essere tranquillamente sostituibili, come gli smartphone, come le cose che hanno un tempo di rottura.
    Paradossalmente, una delle prime cose che abbiamo ritrovato quando abbiamo fatto i recuperi è stato il computer di Davide, dentro il quale c’era tutta la vita che stava vivendo in quel momento.
    Però poi rimane lì, è una vita che dall’essere tridimensionale si appiattisce fino a diventare una foto, e alla fine ti devi far bastare quella.
    E invece non è così che deve essere.

 Un momento magico, ricco di emozione, che resterà vivido nella nostra mente assieme all’immagine di Davide.
In un caldo abbraccio finale è racchiusa tutta la speranza per un mondo nuovo, in cui tutti hanno a cuore ciò che di più prezioso abbiamo, la vita.
Che non ci sia più modo di vedere perse nel vento vite umane a causa dell’inerzia di chi ha il potere di cambiare le cose.

 

Alessandra Masciantonio

Foto di Aaron Monteferrante