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Montebelluna ai tempi di Monsignor Bortoletto, intervista a Gianmarco Basso

Di Sara Larcher e Silvia Cecilia Davanzo

Per affrontare la storia del nostro territorio, abbiamo intervistato Gianmarco Basso, autore del libro sulla vita e le opere di Mons. Bortoletto (parroco di Montebelluna dal 1939 al 1971) , un pastore dal cuore integro.

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Questo libro è frutto di un anno di lavoro sulla mia tesi di laurea magistrale, con soggetto la vita di Mons. Bortoletto. Il mio obiettivo è stato quello di mettere in luce in special modo la sua opera pastorale. Esistono opinioni contrastanti sulla sua figura e quello che volevo era dare una lettura oggettiva del suo personaggio.

Quale ritiene sia la sua parte preferita? Quella più difficile da scrivere?
Penso di aver apprezzato molto il capitolo terzo, il fulcro del libro, che si concentra sulle opere. È stato anche il più difficile da comporre, più che altro per la mancanza di fonti: se infatti la parte pubblica è ben documentata, Mons. Bortoletto non ha mai tenuto un diario personale che potesse testimoniare la sua esperienza privata. Credo sia anche per questo motivo mi sia piaciuta di più, perché mi sono ritrovato ad effettuare un lavoro di ricerca più approfondito.

A quali fonti ha fatto affidamento?
Ho utilizzato prevalentemente documenti conservati nel fondo preposti nell’archivio parrocchiale di Montebelluna e nell’archivio storico della curia vescovile, in particolare l’archivio del seminario. Mi sono anche basato sulle interviste a familiari e al parroco di S. Trovaso, Mons. Angelo Daniel, che era seminarista nella parrocchia durante il suo mandato.

Ha definito il momento in cui Mons. Bortolotto giunse a Montebelluna come “anni difficili”. Qual era la situazione della Montebelluna del ’39?
Nel momento in cui Bortoletto arriva a Montebelluna, la città sta affrontato la ricostruzione post-guerra. Inoltre il passaggio da un parroco al successore non era stato graduale: Mons. Furlan, pastore molto amato dalla comunità era morto improvvisamente; la parrocchia si trovava quindi senza un parroco (in una società in cui la religione è un elemento importantissimo), in una cittadina il cui centro si stava ancora andando a formare (in quegli anni iniziava lo spostamento del mercato e la costruzione del Duomo doveva ancora essere ultimata) e in un periodo storico particolare, ci troviamo sotto il fascismo e nello stesso anno scoppierà la seconda guerra mondiale. La parrocchia si ritrova quindi senza una guida; Mons. Bortoletto, per il suo carattere, si rivelò una figura molta adeguata e un punto di riferimento per la comunità.

Per quanto riguarda il dialogo con le autorità fasciste, quale fu la posizione di Bortoletto?
È chiaro che Mons. Bortoletto fosse contrario agli ideali fascisti: il rapporto che mantenne con le autorità si basò sul rispetto istituzionale, in funzione del suo ruolo. Questo non gli impedì di venire imprigionato con l’accusa di ostilità nei confronti del
regime nel ’44 e ’45. Lucio De Bortoli, in un recente libro ha affrontato le sue azioni di salvataggio di alcuni ebrei, tra cui una bambina, dall’esportazione verso il campo di Auschwitz. Assunse anche un ruolo di mediatore durante i rastrellamenti: il 22 marzo del 1945, ricordato dalla cittadinanza come l’eccidio dei dieci martiri, tentò di mediare tra il generale tedesco e il capo dei partigiani, offrendosi in ostaggio come garanzia per l’incontro, ma i suoi sforzi non portarono ad alcun risultato. Dopo una breve
tregua di pochi giorni e la liberazione di prigionieri tedeschi, il generale rifiutò di graziare i partigiani con la frase “Monsignore, la guerra è guerra”, che scosse profondamente l’animo di Bortoletto.