UNA MASCHERA O UNO SCUDO?

Disegno realizzato da Sara Tarantino

Il Carnevale è una festa caratterizzata dal mascheramento. Ma cosa significa mascherarsi? Questo gesto è sinonimo di “temporaneo cambio di identità”; indossato il costume, l’osservatore non vede la persona celata dal travestimento, ma il travestimento stesso. Durante il Carnevale il camuffamento viene indossato un giorno in chiave ironica e scherzosa, eppure capita spesso di incontrare molte maschere e pochissimi volti (ricordando Pirandello).

Sono, infatti, molti oggi i casi di bullismo, cyberbullismo e qualunque altra pratica offensiva rivolta ai più giovani che, in un momento fragile della loro gioventù quale l’adolescenza, si sentono quasi costretti ad indossare una maschera. Questa risulta spesso la decisione meno rischiosa da intraprendere: viene nascosta ogni sofferenza, ogni paura, ogni lacrima dietro quel finto sorriso perché nessuno possa leggere lo stato d’animo e la fragilità personali per sfruttarli a proprio favore. Ci si sente costretti a sorridere anche nel momento in cui l’istinto istiga al pianto. È la regola della “Fortitudo”, come direbbero i latini. Gli adolescenti, resi fragili da offese, insulti o problemi personali, ormai scattano un selfie sorridendo e postandolo un secondo dopo, mostrando il loro “star bene” o il loro “sorrisone” per poi, magari il secondo successivo, correre al bagno piangendo disperati. Altri, invece, carenti di affetto ed ignari della crudeltà del mondo vero, si mostrano distrutti, offesi, stanchi, quando in realtà non hanno alcuna ragione che li spinga a soffrire; così sono pronti a caricare online un testo atterrito, una dichiarazione quasi di “rinuncia”.

I social network, dunque, favoriscono questa esperienza camaleontica. Sul web è semplice apparire come desiderato. Nella vita vera è più complesso. Anche quando la voglia è assente, deve spuntare un sorriso, seppure forzato, spesso anche solo per non dover dare troppe spiegazioni. Come quando viene posta la domanda: “Come stai?”; la risposta è più o meno sempre la stessa: “Sto bene”, poi in realtà dentro risuonano grida di aiuto. A volte, però, la risposta è mirata sullo star bene semplicemente per evitare le tante domande o, ancora, per evitare il compatimento. L’uso continuo di queste maschere, però, rischia di cancellare l’identità del singolo: oggi non ci si conosce mai realmente, ma soprattutto spesso non si conosce neanche il proprio essere.

Ma è davvero così tremenda la fragilità? Perché chi ne soffre deve perennemente nasconderla? Stringere i denti e lottare sempre da soli non dev’essere affatto semplice, eppure in molti la reazione principale è questa. Così quella maschera diventa corazza, ma ogni corazza ha il suo tallone di Achille e, a lungo andare, si deteriora. E dopo, cosa resta?

Sara Tarantino