Un giornalista “scomodo”

“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

Questa è una delle frasi più celebri e significative che rispecchia in se tutto il coraggio e la personalità del suo autore. Un giornalista, uno sceneggiatore ma soprattutto un uomo, freddato la sera del 5 gennaio 1984 da cinque colpi di pistola che lo colpirono alla nuca, lasciandogli solo il desiderio e il sogno di un’Italia, ma soprattutto di una Sicilia, diversa. Giuseppe Fava fu ucciso dalla mafia, fu ucciso da cosa nostra, fu ucciso dall’omertà dei siciliani. Il movente? La passione che muoveva il suo animo nel lottare per la libertà, per la verità ma anche per la cultura. La sua non è di certo una storia da dimenticare, è vivido il suo ricordo nel cuore di ogni siciliano: sfrontato e senza paura, difendeva la sua amata Sicilia dal brutto ritratto che, fino a quel momento, si era creato intorno all’isola. Questa, da sempre, considerata una terra in cui la mafia aveva dominato, continuava a controllare tutto e il silenzio era l’arma dei cittadini che ignoravano lo stato di degrado in cui riversava la regione. La mafia nasce in Sicilia ma non è li che agisce, Fava considerava la sua terra un alibi, una copertura, ma sapeva bene che ciò non faceva parte dell’animo dei suoi concittadini. La mafia risiede negli uffici del Parlamento, nelle scrivanie di chi governa, nel pensiero di chi è avido di denaro; proprio per questo alla mafia è associata all’immagine di una piovra: con i tentacoli che mette a tacere il nemico, ma tutto parte dal capo che riesce a farli penetrare nei luoghi più aridi e oscuri. A sostegno di questa teoria, così interviene il giornalista nella sua ultima intervista, rilasciata a Catania il 28 dicembre 1983: “Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, i mafiosi sono quelli che in questo momento stanno ai vertici della nazione, uomini saggi e crudeli, i quali hanno saggezza su tutto e crudeltà senza limiti, disposti ad ammazzare o ad uccidere anche il figlio se dovesse essere il caso. Per il mafioso la mafia è una causa”. Tutti sono consapevoli del motivo per cui questa è l’ultima intervista di Fava, l’ultima denuncia, l’ultimo tentativo di far svegliare nell’animo siciliano il coraggio di parlare, di lottare, magari vicino a lui, contro la mafia. Il suo mensile di approfondimento ‘I Siciliani’, fondato insieme ad un gruppo di giovani giornalisti vogliosi come lui di cambiamento, era diventato il manifesto della libertà di stampa in Sicilia, aveva creato un vero e proprio terremoto nelle viscere della società, oltre a diventare una spina nel fianco dei politici e dei mafiosi. La sua morte fu l’ennesimo segno che tutto, anche il destino di un uomo, non era più deciso da Dio ma da qualcuno che stava ancora più in alto di una divinità; egli scelse di morire perché in questo modo, vizioso e perduto, che senso ha vivere se non si ha il coraggio di lottare.

Simona Didomenico IV A