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GLI SFOLLATI AL CENTRO BURANELLO MI HANNO INSEGNATO CHE ANCHE NELLE TRAGEDIE SOLIDARIETA’ E AMICIZIA SONO VALORI VINCENTI

Intervista a Elena Cesaro, assistente sociale.

 di Anna Sartini

 

 

Elena, 52 anni, pegliese, lavora nel distretto di via Sertoli e si occupa in particolar modo di minori, ma il suo lavoro e la sua vita in parte sono cambiati dopo il crollo del ponte Morandi.

Ha avuto qualche ripercussione il crollo del ponte sulla sua professione?

Purtroppo sì, perché io vivo a Pegli e quindi raggiungere il posto di lavoro è tuttora molto faticoso a causa del traffico che incontro all’uscita del casello dell’aeroporto. Ci impiego un’ora in più rispetto al solito e sarà così ancora per molto, temo. Questo mi costringe ad uscire un’ora prima di casa e ho dovuto organizzare la famiglia in modo diverso rispetto al passato: se prima riuscivo a portare io i figli a scuola, ora invece sono stata costretta a chiedere aiuto a una baby sitter e quindi questo comporta anche una spesa in più da sostenere.

 

E per quel che riguarda più in particolare il suo lavoro?

Beh, siamo stati precettati per due volte alla settimana al Centro Buranello.

 

Che cos’è il Centro Buranello e dove si trova?

E’ un centro civico che si trova a Sampierdarena. E’ stato pensato come uno spazio per i cittadini per accogliere Associazioni e diversi Circoli e permettere al pubblico di avere un’area destinata ad attività culturali, ricreative e sportive.

Ha un grande auditorium, una palestra attrezzata ed una palestra più piccola. Tutti gli spazi sono privi di barriere architettoniche.

 

E che cosa ha a che fare questo centro con la caduta del ponte Morandi?

Dlunedì 20 agosto  al Centro civico Buranello a Sampierdarena è stato istituito un apposito sportello per gli sfollati a causa del crollo di ponte Morandi. Lì, tutte le persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case hanno avuto modo di essere accolti e di conoscere la propria collocazione nella graduatoria e le modalità di assegnazione degli alloggi loro riservati.

Noi assistenti sociali abbiamo fatto per due mesi alcuni turni per assegnare i diversi alloggi disponibili del Comune di Genova a chi è rimasto senza casa ed arrivare così alla sistemazione di tutte le persone.

 

In base a quali priorità sono stati assegnati gli alloggi?

Lo scorrimento della graduatoria ha tenuto  conto di due variabili tra loro strettamente connesse: le caratteristiche degli alloggi e la composizione del nucleo familiare.

 

Le famiglie ora sono tutte sistemate?

Sì, il Comune ha provveduto a dare una casa a ben 281 nuclei familiari ed ora l’emergenza abitativa è conclusa, ma sono state giornate allucinanti al Centro Buranello.

 

Si riferisce anche alle condizioni di sconforto degli sfollati?

Più che di sconforto bisogna parlare di disperazione: c’erano persone con bimbi piccoli che da un momento all’altro hanno dovuto lasciare tutti i loro effetti personali e solo dal 18 ottobre è stato possibile per loro ritornare nelle abitazioni a prendere il necessario da portare nelle nuove case. C’erano persone che avevano appena comprato casa e si sono trovati con un mutuo ma senza muri tra i quali abitare, persone sole, molto sole, che non sapevano da che parte sbattere da testa.

Gli psicologi del Comune hanno avuto un bell’impegno.

 

Come ha vissuto questo lavoro straordinario?

Avrei ovviamente preferito che questa tragedia non colpisse la nostra città, che tra l’altro spesso è sui giornali per qualche alluvione: siamo già molto provati, noi genovesi. Però devo dire che l’esperienza al Centro Buranello, dal punto di vista umano è stata molto bella: ho fatto incontri bellissimi e sono nate anche alcune amicizie.

Mi sono sentita molto fortunata rispetto a tutte quelle persone che sono rimaste senza una casa. Bene o male, di sera, anche se con tempi più lunghi, ritorno sempre nella mia casa. Loro hanno visto le loro vite veramente stravolte: traslocare e andare ad abitare in un altro quartiere è sempre un po’ destabilizzante, soprattutto se non sei tu a sceglierlo, ma è la sorte che sceglie per te.

E’ difficile vedere qualcosa di buono in una tragedia, ma abbiamo provare a fare anche questo.

 

Il Comune è stato allora all’altezza dei bisogni dei cittadini?

Mi sento di affermarlo, nel senso che davvero noi operatori  ci siamo adoperati per svolgere al meglio il nostro lavoro e stare vicino a persone che avevano bisogno anche di una parola di conforto, oltre che di risolvere enormi problemi.

 

Diciamo allora che il suo è un bel lavoro!

E’ un lavoro che mi piace molto, mi fa prendere cura delle persone e quando si riesce a soddisfare i loro bisogni è davvero una vittoria. L’importante è fare un lavoro di squadra. Anche in occasione del crollo del ponte Morandi abbiamo avuto questa ennesima conferma: il lavoro di squadra è vincente!

 

 

 

 

Fonte immagine: comune.genova.it