Avventura sul fiume – Racconto

Era un’afosa sera indiana di fine estate, dove il cielo era striato di rosso e arancione e il caldo soffocante rendeva nero il terreno e quasi lo bruciava. La nostra barca ci attendeva solitaria sulla riva a sud del fiume Waingunga. Gli animali si erano raccolti lungo le sponde polverose del fiume: bufali, cervi, elefanti e cinghiali. Io e Joseph caricammo il nostro piccolo bagaglio e ci imbarcammo sopra quelle acque in cui avremmo dimorato per un paio di giorni prima di raggiungere il villaggio che avremmo visitato. Ma ancora non immaginavo a cosa sarei andato incontro di lì a poco.
Ai miei occhi quello che si vedeva dalla barca appariva un posto davvero magico: erano le rovine di un’antica città indiana, probabilmente fatta costruire da un antico re. Tra i marmi bianchi e lucenti erano spuntate piante di ogni tipo, che si erano spinte perfino dentro gli edifici disabitati da chissà quanti secoli. Spiccando agili balzi, le scimmie entravano e uscivano come impazzite dalle finestre e dai tetti, sotto lo sguardo vigile degli avvoltoi che volavano in gruppo. Joseph si grattò l’orecchio, accennò a uno sbadiglio e fece per mescolare un po’ di sciroppo alla menta con dell’acqua per ottenere una bibita dissetante, quando si irrigidì di colpo, restando con il fiato sospeso. Una mandria impazzita di animali selvaggi stava correndo verso il fiume: prima si mossero i bufali, seguiti dai cervi, dai rinoceronti e dagli elefanti. In breve tempo la carica degli animali si tuffò in acqua, sollevando un’onda così potente da travolgerci e scaraventarci in un vortice d’acqua torbida di fango. Fui rovesciato gambe all’aria e finii con la testa sott’acqua, quindi mi lasciai trasportare dalla corrente. Quando la mia testa emerse dall’acqua, ingurgitai enormi boccate d’aria per riempirmi i polmoni d’ossigeno. L’onda anomala aveva distrutto l’imbarcazione e ora mi trovavo immerso in un mondo calmo e silenzioso. Dovevo solo raggiungere la terraferma. Ma dov’era la terraferma? Tirai un sospiro di sollievo quando, a circa due chilometri di distanza, intravidi una lunga striscia di terra delimitata da alberi frustati dal vento e da qualche formicaio invaso dall’acqua. Ma sapevo che non era finita. Infatti quando cala la notte, i predatori cominciano sempre ad avvicinarsi…
Il mondo si era di colpo fermato. Dov’era finito Joseph? Urlai disperatamente il suo nome più forte che potevo, creando un’eco che rimbombava nel silenzio della giungla. Nessuna risposta, se non il sinistro ululato del vento. Il cuore mi batteva all’impazzata e fiumi di lacrime mi rigavano il viso. Joseph era scomparso. Non riuscivo a credere che non l’avrei mai più rivisto. Avevamo passato così tante avventure insieme. Dovunque lui fosse, ero comunque certo che l’avrei raggiunto presto.
La montagna d’acqua marrone aveva trascinato con sé un imponente tronco d’albero, al quale mi aggrappai usando le mani. Certo, un coccodrillo da sott’acqua avrebbe potuto staccarmi le gambe a morsi e procedere poi con tutto il resto del corpo, ma con un balzo mi ritrovai in una frazione di secondo sdraiato sul tronco. Usufruendo delle mani callose per remare, attraversai il fiume sopra il tronco liscio e finalmente, dopo la costante ricerca di un riparo, scorsi un isolotto che sporgeva dall’acqua, dove era piantato un albero spoglio. Raggiunsi la riva dell’isolotto mediante il tronco che mi aveva fatto da vettore lungo il fiume e mi sedetti sui rami più bassi dell’albero che era al centro della piccola striscia di terra. Con i piedi a penzoloni e le mani lungo i fianchi, osservai l’immensa distesa d’acqua che mi separava dalla terraferma. Poi caddi in un sonno profondo.
Al risveglio mattutino mi stropicciai gli occhi a pugni chiusi e mi affacciai dall’albero. Quello che vidi fu talmente raccapricciante che, sopraffatto dallo spavento, caddi dall’albero e finii in acqua, restando completamente sommerso per i tre secondi più lunghi della mia vita. Una volta emerso in superficie, vidi che il coccodrillo si era alzato sulle robuste zampe e stava inarcando il corpo e trascinando la pesante coda a terra. In un nanosecondo si trovò sotto l’acqua scura, facendo affiorare solo gli occhi e il muso. Non riesco tuttora a spiegarmi perché feci quel gesto, né da quale coraggio fui animato per compierlo. Mi gettai addosso al viscido rettile e mi aggrappai alla sua gola dalle vene pulsanti di sangue, affondando le mie unghie lunghe nella carne squamosa: il coccodrillo si agitò come un pazzo, agitando il muso triangolare nel tentativo di scrollarmi di dosso, ma io continuavo a resistere. Allora il mostro mise a soqquadro la palude, attraversandone un bel pezzo mentre io nel frattempo ero riuscito – non chiedetemi come – a montare cavalcioni sulla sua schiena, che naturalmente si trovava con me in superficie. Mentre il coccodrillo infuriato nuotava nel fiume emettendo bollicine dal naso, afferrai un tronco che mi era miracolosamente apparso davanti e glielo conficcai con tutta la forza che avevo dritto negli occhi sporgenti. Dovevo averlo accecato. Dalla sua schiena saltai subito in acqua rimanendo a galla e lo vidi dimenarsi più che mai. I suoi occhi emanavano scie di sangue che ben presto riempirono l’acqua di un rosso scuro. Dato che il peggio era ormai passato pensai bene di percuoterlo con lo stesso tronco, ma non riuscii a farlo, perché una mano mi sfiorò e mi tirò su poggiandomi delicatamente su una zattera. Scoppiai a piangere dalla gioia quando mi resi conto che Joseph era vivo e che mi aveva tratto in salvo. Si era procurato una profonda cicatrice alla spalla, ma mi assicurò che stava bene. Insieme ci allontanammo da quella scena tragica nel tentativo di guadagnare la tanto desiderata terraferma, mentre centinaia di pesci di varie forme e dimensioni, attratti dall’odore del sangue, si avvicinavano al coccodrillo che ormai era immobile sulla superficie dell’acqua. Io e Joseph ci guardammo scambiandoci un occhiolino.
Francesco Cosenza
Classe / Liceo Classico Galileo di Firenze