Il frigorifero – Racconto

Patatine fritte,una padella, un tizio con il doppio mento che parla con un accento fortemente settentrionale, queste immagini mi stanno scavando in testa una voragine di pensieri inutili.
Sto pensando al mento anch’esso doppio del direttore della banca sotto casa, alla puzza di fritto che emana la vedova del piano di sotto – e a perché puzzi incredibilmente di fritto se è sempre a dieta? – Gli occhi stanchi si muovono lentamente da una parte all’altra dello schermo e la pelle intorno ad essi la sento accartocciarsi rigida. Da quanto sono sdraiato su questo divano?
Improvvisamente la luce dello schermo mi pare più accecante, sento le mani riparare i miei occhi, perché sono ancora davanti a questo schermo?
Mi volto nauseato dall’altra parte del divano, la televisione rimane accesa alle mie spalle, sento ancora l’irritante voce di quell’uomo. Sto pensando alla mattinata in ufficio, non so come sia tornato a casa, la mente mi si annebbia lentamente. Sto per addormentarmi, lo so, meglio così, magari riesco a tirare dritto fino a domani mattina e domani è venerdì, amo il venerdì,Gianni indossa sempre la cravatta e parla del fine settimana che ha pianificato con suo figlio, e poi Laura ci porta dal bar il caffè ormai freddo, diamine quanto mi piace il venerdì… la vigilia di ogni fine settimana, la fine di un’agognata attesa protrattasi per giorni. Ed oggi è giovedì, giovedì pomeriggio, ho incredibilmente sonno eppure continuo a pensare a una serie interminabile di spazzatura celebrale, devo fare la spesa per la cena di domani sera, cosa preparo per quattro persone?
Improvvisamente penso a qualcosa di davvero sensato, finalmente una cosa utile nel mezzo di questa infinità di immagini inutili: il nuovo frigorifero.
Oggi è giovedì, e questa settimana di giovedì io devo acquistare un frigorifero.
Avevo passato tutta la settimana a sfogliare il catalogo Cucine e Tanto Altro e finalmente lo avevo trovato, uno strumento di raffinata tecnologia, il traguardo raggiunto dopo secoli di innovazione volta alla conservazione di cibi e bevande, un arnese titanico di portata inimmaginabile, l’Ice Plus 3000. Arrivi a un’età in cui un nuovo frigorifero o un qualsiasi elettrodomestico dà una svolta decisiva alla tua vita o almeno questo mi hanno detto. Sollevo il volto dal cuscino e i miei piedi scivolano a terra nel tentativo di sollevare il mio peso. Mi alzo velocemente, troppo, tanto che la stanza mi vortica intorno, mi getto alla porta con ancora le vertigini, apro la porta dell’appartamento e la lascio chiudere alle mie spalle, subito mi getto sulle scale, l’ascensore è troppo lento per fare due piani soltanto. Arrivo al pianerottolo con il cuore che martella nelle tempie, respiro a fatica. Un momento… ho lasciato la televisione accesa, non importa ormai sono in strada. Il centro commerciale sta dall’altra parte della città ma la cosa non mi scoraggia minimamente. Prendo la metropolitana, le luci a intermittenza del casello segnalano il biglietto invalido, non oggi, corro alla biglietteria, il venditore ha una barba lunghissima e puzza di stantio, l’acquisto mi pare interminabile, alla fine mi augura un buon viaggio, lo ringrazio.
Corro, devo riprendermi i minuti persi prendendo quello delle 14.35. Salito, rimango trepidante in piedi. Una donna in uniforme da postino sta parlando al telefono e la mia attenzione si dirige verso la sua conversazione, parla di una passata operazione al menisco e delle complicanze dell’attuale cura.
La voce elettronica annuncia la quindicesima fermata, è la mia, una folla si accalca davanti all’uscita e mi tocca passare attraverso una moltitudine di corpi sudati e imprecazioni. 
La strada scorre sotto i miei piedi, vedo in lontananza un enorme edificio, il centro commerciale è una struttura insignificante, le vetrate sono sporche di smog e un colossale parcheggio vi si para di fronte. Le porte vetrate scorrono alla mia vicinanza, le luci dei negozi mi si parano davanti costituendo un fittizio Eden commerciale, le vetrine ribaltano la mia figura in mille modi e io mi sento come trasfigurato in un rilucente cavaliere avvicinandomi al gigantesco mostro di Cucine e Tanto Altro. Entrando, mi rivolgo a un commesso la cui targhetta riporta il nome di Franco.
Franco ha un alito pesante e dei piedi enormi, mi accompagna al frigorifero. L’elettrodomestico è ricoperto di una plastica protettiva blu ma la sua forma è ben visibile, la misura mi pare chiaramente ridotta rispetto a quella dell’elettrodomestico rappresentato nel catalogo, ma la cosa non mi scoraggia, avevo davanti il mio sogno da uomo maturo, un arnese che avrebbe segnato un tassello nella mia scalata verso una vita perfetta. Mi volto verso Franco soddisfatto: “Dove firmo per l’ordine?” Franco mi guarda soddisfatto e dopo aver effettuato il pagamento mi lascia il suo numero.
Ho le gambe più pesanti di quando sono entrato mentre esco dal negozio, il sentimento di stanchezza mi pervade di nuovo, ho sconfitto il drago, ho comprato il frigorifero, ed adesso arriverà lunedì. Lunedì, il primo giorno della settimana lavorativa, il giorno in cui Fabio arriva sempre in ritardo e Claudio bestemmia dietro al computer per tutta la mattinata. E quando arriverà, lo posizioneranno al posto del mio vecchio frigo. Ora mi rimane soltanto di tornare a casa, pensare a un buon menù per domani sera e godermi la mattinata lavorativa di domani.
Le portiere automatiche si chiudono silenziosamente alle mie spalle, la metropolitana è affollata eppure individuo un posto per disabili libero, prendo posto reduce da probabilmente una delle battaglie più significative della mia esistenza. I finestrini scorrono sulle buie pareti della galleria riflettendo la mia immagine ingigantita ad oltranza: le pupille sono svuotate, la bocca pende leggermente in basso, ogni muscolo del mio corpo è in tensione, eppure quel riflesso mi mostra un passeggero completamente rilassato, già mi mostra l’immagine di un uomo che ha raggiunto tutto.
Poco lontano da casa volgo automaticamente la mia attenzione all’interno della mia tasca destra, sono talmente distratto nel cercare le chiavi che smetto di guardare la strada fino a quando non urto contro un’auto. L’auto stava ferma e parcheggiata al centro della strada, era una macchina vecchia di un paio d’anni, in perfetto stato, era un auto della polizia e stava sbarrando la strada con altre tre macchine uguali. Noto i condomini del mio palazzo ammassati di fronte all’edificio, probabilmente a causa di un’evacuazione. Allarmato, sento una sirena in lontananza: è un camion dei pompieri. I miei pensieri volgono subito a lei, la vedova depressa del terzo piano, sbuffo: “E così ha deciso di farla finita una volta per tutte proprio oggi?”
Alzo lo sguardo al terzo piano e lo spettacolo è allucinante: un’enorme voragine nera ha ingoiato l’intero terrazzo e adesso sputa fiamme e fumi neri, i quali vanno a dissolversi nel cielo plumbeo. Casa mia va a fuoco e io la sto guardando bruciare. I miei pensieri vengono anch’essi ingoiati da quel buco infernale di fiamme, sento freddo e le tempie iniziano a martellarmi incontrollatamente, sento un rombo attraversarmi la testa, chiudo gli occhi e mi lascio cadere a terra. Lo schermo della televisione si accende mostrandomi il grasso venditore di padelle, le immagini si offuscano sempre di più diventando macchie informi, odo uno schiocco come il divampare di una fiamma e improvvisamente l’accento settentrionale dell’uomo si tramuta nel rombo di una fiamma la quale velocemente si mangia casa mia. Riapro gli occhi mentre un vigilante mi prende ripetutamente a schiaffi, sono svenuto, il tale mi aiuta ad alzarmi. L’uomo è gentile e mi fa sedere sul marciapiede e mi offre dell’acqua e zucchero. Alzo gli occhi verso il mio piano, le fiamme sono state estinte e casa mia è completamente carbonizzata. Vedo le divise degli uomini fare avanti e indietro davanti al portone del palazzo, successivamente sarei venuto a sapere che colei che aveva dato l’allarme dell’incendio era stata una postina zoppa, la quale aveva riconosciuto come artefice dell’incendio il televisore il quale in seguito ad un guasto aveva preso fuoco all’interno del mio appartamento. Questo sarei venuto a saperlo solo in seguito poiché in quel momento l’unica domanda che mi affliggeva era: “Ma io adesso dove lo metto il frigorifero?”
Sofia Dezzi Bardeschi
Classe / Liceo Classico Galileo di Firenze