Sinestesia – Racconto

Ricordo ancora la mattina del 12 dicembre in cui mi svegliai e trovai la strada coperta da candidi fiocchi di neve e le foglie delle piantine sul balcone ornate di una lieve brina. A destarmi dal mio sonno era stato il grido tagliente di mio fratello, che, dal piano di sotto, urlava felice: “C’è la neve! Mamma, mamma, c’è la neve! Posso non andare a scuola e rimanere qui a giocare?”
Ci misi qualche minuto a realizzare ciò che aveva detto quella peste ma, appena compresi, mi catapultai fuori dalle coperte. Alzai la serranda e una luce gelida andò a illuminare il pavimento della mia stanza, fuori uno spettacolo. Scesi le scale di corsa, non curandomi del dolce freddo che mi solleticava le dita dei piedi, ancora scalzi. Mi era sempre piaciuta la neve, e l’atmosfera che portava con sé: con lei arrivavano il Natale, le feste, le vacanze e le settimane passate a sciare. Ed era sempre una buona occasione per non andare a scuola per quei due o tre giorni che durava la pacchia. Non era stato difficile convincere i miei a farmi restare a casa; erano bastati un paio di finte lacrime amare di mio fratello, perché anche lui, come me, pregustava già il sapore di una vacanza anticipata, e qualche frase tattica come “Ma tutte le mie amiche oggi escono, hanno già organizzato tutto! Ci va anche Ginevra!”, e il gioco era fatto.
Quando tornai in camera mia, presi dall’armadio i vestiti più pesanti che avevo e iniziai a stratificarmi con maglie, maglioni, guanti e berretti. Misi anche la sciarpa di quel rosso caloroso, che attendevo da tutto l’anno di tirare fuori dall’armadio, e che era uno dei tanti motivi per cui amavo le giornate di neve. Scesi le scale in tutta fretta e, senza salutare nessuno, varcai la porta di casa. Una gentile brezza mi carezzò il viso, il freddo pungente mi fece arrossare le guance, ma non ci badai e, di buona lena, imboccai il vialetto che mi avrebbe portato ai giardinetti del vialone, dove avevo deciso di ritrovarmi con un paio di compagne di classe. Ricordo tutto di quella camminata, dai delicati cinguettii dei fringuelli, probabilmente turbati per l’improvvisa nevicata, ai candidi cumuli che si erano formati ai lati delle strade; di quella passeggiata che feci per quel breve tratto di strada rammento ogni cosa alla perfezione: quel giorno ho ascoltato con gli occhi, visto con le mani, toccato con la bocca… E ancora adesso mi chiedo come mai quel giorno abbia prestato così tanta attenzione ai piccoli dettagli che ho visto, sentito. Ma posso garantire che ancora, oggi, all’età di 47 anni, mi ricordo benissimo di ogni singolo aspetto. Credo che questo possa farci comprendere come spesso siano le piccole cose, a cui inizialmente non diamo importanza, quelle che ci rimangono impresse nella mente più a lungo. E la bellezza di questo fatto mi stupirà per sempre.
Viola Maestri / Liceo Classico Galileo di Firenze