Non sempre il destino è già scritto… – Racconto

Una parola: noia. La noia è un’emozione che si prova quando c’è assenza di azione e di stimoli: in poche parole ho descritto la mia vita. Scusatemi, non mi sono ancora presentata, il mio nome è Scarlett Bird e ciò che sto per raccontarvi è la mia monotona mattina. Mi sveglio nel mio comodo letto avvolta come in un bozzolo tra le coperte di lana, da cui purtroppo non uscirà una farfalla, strizzo gli occhi, mi stiracchio un po’ e prendo gli occhiali. Cerco di staccarmi da quella superficie così accogliente e mi infilo le mie imbarazzanti pantofole a quadretti color ocra e verde scuro; a mo’ di zombie mi avvio in cucina. Scendere le scale diventa un’impresa quasi impossibile ma senza farmi scoraggiare riesco ad arrivare in cucina. Lì mi aspetta la mamma con il suo sorriso smagliante che, non si sa con quale forza, si sveglia sempre due ore prima per preparare una succulenta colazione. Breakfast in puro stile americano: waffles, panini con burro di arachidi e marmellata, uova e bacon. Credo che questo sia il momento più “eccitante” della giornata. Prendo un waffle e ci verso sopra dello sciroppo d’acero, che cola ai bordi molto lentamente e afferro con decisione un panino alla marmellata. Una volta finito, torno in camera e comincio a prepararmi: metto dei semplici jeans e un maglione di Natale con una renna regalatomi lo scorso anno dalla zia, alla quale ho promesso che lo avrei portato. Aggiusto i capelli in una crocchia scompigliata e mi infilo gli scarponi. Prendo la borsa, afferro le chiavi e mando un messaggio alla mia amica . Frugo nella borsa e prendo le cuffiette, che come al solito sono tutte intrecciate, cammino veloce per arrivare alla fermata dell’autobus. Una volta salita mi siedo accanto al finestrino, infilo le cuffiette e osservo di sfuggita il mondo che scorre davanti ai miei occhi. Scendo dall’autobus e mi avvio verso scuola. Prima di entrare vedo la mia migliore amica Sofì. Sofì è una ragazza francese con la quale, dal primo incontro, ho subito legato; i nostri caratteri sono molto simili: introverse, abitudinarie e dolci. Dopo la lunga giornata a scuola, beh, non perdo tempo a descrivere il mio pomeriggio perché potreste addormentarvi. Questo è un momento della mia vita che si può definire con una parola: stravagante. Stravagante indica un qualcosa di originale, non ordinario, fuori dagli schemi. Ma torniamo a noi. Era ormai iniziata una nuova giornata. Dato che la scorsa notte avevo dormito davvero poco, restai a pisolare sull’autobus per tutto il tragitto; il problema è che una volta risvegliata mi accorsi di aver già oltrepassato scuola, addirittura ero all’ultima fermata. Mi prese il panico. Scesi in fretta dall’autobus, davanti a me si trovava una lugubre casa abbandonata. Mi guardai intorno, non c’era anima viva. Non sapevo cosa fare e non sapevo dove fossi finita. Osservai un’altra volta la casa: era un’enorme villa, molto vecchia, il legno era marcio, il tetto era praticamente inesistente, i vetri delle finestre sparpagliati davanti alla casa. Mi avvicinai, scansai i vari vetri, ma il mio piede pestò un qualcosa di molle, avevo una brutta sensazione e sentivo una terribile puzza. Chiusi gli occhi e abbassai lo sguardo, li aprii e vidi che ciò che si trovava sotto la mia scarpa era un ratto. Strizzai gli occhi mettendo la mano davanti alla bocca per trattenere l’urlo e sollevai il piede, mi feci coraggio e procedetti, l’erba era secca. Una volta davanti alla porta, piena di fori di termiti, feci un respiro profondo e suonai un pulsantino tutto arrugginito che una volta doveva essere stato un campanello. Ci fu un suono molto stridulo e la porta si aprì cigolando lentamente. Esclamai: “ C’è qualcuno?” Nessuna risposta. Entrai. Le assi del pavimento scricchiolavano ad ogni mio passo, una volta entrata mi resi conto che la casa era davvero enorme: davanti a me c’era un enorme tavolo rotondo con sopra una tovaglia rossa scolorita e strappata, a destra c’era un divano apparentemente comodo ma molto usurato, a fianco c’era un tavolino con delle sedioline di legno molto piccole, dei fogli di carta ingialliti e una penna stilografica, un calamaio e dell’inchiostro secco sul tavolo. Dall’altro lato della stanza si trovava un enorme baule. Mi sentivo come attirata da questo oggetto: era come se mi chiamasse, lo stesso effetto che mi aveva suscitato poco prima l’intera casa. Mi avvicinai, sul baule erano incise delle iniziali S.B. Con le mani accarezzai le lettere in rilievo, purtroppo una scheggia mi finì nel dito. Il mio “Ahi!” rimbombò in tutta la casa. Dopo essermi guardata attorno, estrassi la spina e succhiai il sangue che colava abbondante sul dito. Strappai dalla tovaglia un pezzetto di stoffa e lo avvolsi attorno alla ferita legandolo con un elastico per capelli. Tornai davanti al baule, mi inginocchiai. Lo aprii e all’interno trovai un libro molto polveroso. Con un soffio tolsi la polvere dalla sua superficie. Accarezzai il tessuto che rivestiva la copertina del libro, era di un rosso acceso, scarlatto, anche su questo c’erano incise le mie iniziali. Sentivo che quel libro mi stava chiamando, lo aprii. Il libro non aveva un titolo. Sfogliai le prime pagine, mi tirai subito indietro e il libro mi cadde dalle mani. Ciò che avevo visto mi aveva sconvolto, feci un respiro profondo. Aprii di nuovo quell’oggetto misterioso, direi magico. Sfogliai le pagine ad occhi chiusi e con un po’ di timore osservai le immagini. Nel libro era come se fosse racchiuso il mio futuro. Nelle prime pagine vidi la mia vita liceale e poi quella universitaria, ancora molto barbosa, sfogliai via via le pagine e vidi che la mia vita diventava sempre più noiosa e abitudinaria. Chiusi il libro, decisi che da quel momento la mia vita sarebbe cambiata. Per fortuna una volta uscita da quella casa inquietante trovai un signore gentile che mi indicò la via di casa. Una volta aperta la porta, mamma mi guardò un po’ stranita perché ero arrivata presto. Le dissi che avevo perso l’autobus e lei, dopo una piccola strigliatina delle sue mi fece quel suo bellissimo sorriso comprensivo. Le risposi che da quel momento avrei voluto seguire uno di quei corsi che mi proponeva sempre di fare. Decisi che mi sarei iscritta al corso di scrittura creativa. Il primo giorno sarebbe stato domani. Mi svegliai decisa a cambiare la mia routine. Mi alzai piena di energia, balzai fuori dal letto e misi dei calzini colorati, depositando le ciabatte color ocra nell’angolo più buio dell’armadio, scivolai veloce per le scale (ma non fatelo a casa, è un comportamento irresponsabile… ah, ma chi prendo in giro? È troppo divertente…) e urlai a squarciagola “ Buongiornoooo”. Mi sentivo una persona nuova, volevo cambiare, volevo cambiare il mio destino che sembrava già scritto. La mamma si sorprese di tanta allegria, io appena seduta a tavola cominciai a divorare tutto, due o tre waffles, un panino alla marmellata, uno di noccioline, due uova e un bacon. Cavolo, se ero affamata! Finii tutto in un batter d’occhio, mi alzai dalla e detti un grosso bacio alla mamma. Presi la borsa, le chiavi e le cuffiette. Ero pronta. Presi l’autobus e una volta scesa abbracciai forte Sofì. A scuola fu una giornata molto leggera con due ore vuote. Restai per il corso. Aspettai i miei compagni, conoscevo tutti di vista ma non avevo mai scambiato parola con nessuno, per fortuna c’era Sofì a salvarmi. Tra tutti notai un ragazzo, occhi verdi, capelli marroni , labbra sottili. Il professore aprì la porta, la stanza era grande, c’erano venticinque posti a sedere, tutti forniti di computer, grandi finestre lucide e un armadio di metallo. Non andavamo spesso in aula di informatica poiché trovarla libera era un miracolo. Io e Sofì ci sedemmo nei primi posti a sinistra. Facemmo merenda e io non staccai gli occhi di dosso al ragazzo misterioso. La mia amica parlava, parlava ma tutti quei suoni entravano e uscivano dalle mie orecchie. Era passata mezz’ora e il professore disse con la sua voce gentile di accendere i computer. Una volta accesi, disse di scrivere quello che ci passava per la testa. Sofì scrisse del suo criceto appena acquistato e sbirciando su altri schermi lessi commenti semplici: “Oggi è stata una bellissima giornata”, “Mi è andato di schifo il compito di scienze” e cose poetiche come “Qual è il senso della vita?” e alcune brevi poesie. C’era chi aspirava già a scrivere romanzi, chi diceva che ben presto il proprio nome sarebbe diventato storia della letteratura, chi invece (come me) non aveva grandi aspirazioni. Ma lo sguardo mi cadde di nuovo su quel ragazzo dagli occhi verdi, sbirciai sullo schermo del suo computer e lessi ”Splendida ragazza dai capelli marroni, alla sua bellezza ti abbandoni, occhi azzurri pieni di fiori, tanto bella quanto dolce come una ciambella, vorrei tanto conoscerti ma non ho il coraggio di parlarti, come potresti accorgerti di me, le mie possibilità sono pessime…”, firmata Jason Bee. Il ragazzo si voltò e io mi girai di scatto, ero tutta rossa e feci finta di scrivere. Alzai lo sguardo pensando che ero proprio io, occhi azzurri e capelli marroni, nella classe ero l’unica. Pensai “Cavolo! Sarà vero?” Lui mi guardava, anzi mi fissava ma il suo sguardo era così dolce che stavo per sciogliermi come un ghiacciolo al sole. Lui mi sorrise, io gli sorrisi. Tornai a scrivere. La lezione passò in fretta e tornai a casa. Raccontai alla mamma cosa era successo, dopo risatine e chiacchierate, tornò a preparare la cena. Lezione dopo lezione, io mi innamorai sempre di più e fu lo stesso per Jason. Passarono i giorni e il nostro rapporto divenne sempre più importante, lo presentai ai miei genitori e la nonna come al solito mi fece imbarazzare. A tavola esclamò “Cara, finalmente hai trovato il fidanzatino!?” Passarono i mesi, gli anni e quando compii 25 anni lui mi chiese di sposarlo. Io naturalmente dissi di sì. L ’anno seguente ebbi un bambino.
Ci trasferimmo nella vecchia e inquietante casa dove avevo trovato il libro. Dopo averla rimodernata potevo dire finalmente di essere fiera di me: la nostra era la casa più bella del vicinato. Le case davanti a noi furono acquistate subito e ben presto avemmo dei vicini. Il nostro piccolo Alexander aveva fatto amicizia con i due gemelli dei vicini. Ben presto il quartiere abbandonato divenne il più moderno e trendy dell’intera città. Sono davvero grata di aver trovato quel libro perché senza di esso non mi sarei mai resa conto che dovevo dare una svolta alla mia vita. È solo grazie a quel mucchio di pagine polverose se oggi vivo la vita.
Valentina Bruni / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze