Scuola, riforma utopica o possibile?

IL DIBATTITO FRA TRADIZIONALISTI E RIFORMATORI 

La scuola italiana deve cambiare? La didattica a distanza, che si è imposta con decisione nella vita di tutti i giorni degli studenti durante la quarantena causata dal Covid-19, ha messo in risalto i vari difetti del sistema scolastico tradizionale e ha portato ad un acceso dibattito intorno alla domanda: “come dovrebbe essere la scuola del futuro?”

La DAD (acronimo ormai comune per “didattica a distanza”) è risultata essere uno strumento utilissimo per riuscire a fare lezione durante i mesi di lockdown e ha permesso a studenti e insegnanti di non perdere buona parte del programma scolastico. D’altra parte, però, essa ha mostrato e dimostrato a tutti che una forma diversa di scuola e insegnamento è possibile. Ci sono stati alcuni professori che, durante la quarantena, hanno mantenuto vive le caratteristiche delle normali lezioni in presenza, lezioni prevalentemente frontali in cui l’adulto spiegava e gli alunni ascoltavano. Altri, invece, hanno provato a cambiare il loro metodo di insegnamento, adattandosi quindi veramente a questo sistema digitale, e proponendo agli alunni modalità di insegnamento alternative, basate su progetti a lungo termine o lezioni di confronto su determinati temi o autori. Questo secondo tipo di approccio ha riscontrato un maggior livello di gradimento da parte degli studenti e ciò ha portato ad un maggior coinvolgimento e ad una maggiore partecipazione da parte di essi nelle lezioni.

Tutto questo ha contribuito alla formazione di un’aria di riforma, che mira a sconvolgere nel profondo il sistema scuola, con conseguente rifiuto da parte di alcuni tradizionalisti, che invece sono convinti che questa istituzione non debba cambiare.

I temi dibattuti sono moltissimi, a partire proprio dalle lezioni frontali, indispensabili a parere di alcuni, sinonimo di passaggio diretto di conoscenze tra l’insegnante e gli studenti, e obsolete agli occhi di altri, sinonimo invece di un metodo antiquato e molto dispersivo, in cui gli alunni sono portati a distrarsi con molta facilità. Si discute spesso anche riguardo all’introduzione, già avvenuta in alcune scuole d’Italia, di strumenti tecnologici, come i tablet, che andrebbero a sostituire i libri cartacei, oppure ad un uso maggiore e più responsabile dei cellulari, che, potenzialmente, possono rappresentare degli strumenti utilissimi con innumerevoli usi in materie differenti (essi sono in grado di sostituire i giganteschi dizionari di greco e latino, possono essere utilizzati per visualizzare dei grafici matematici, tramite applicazioni come “Geogebra”, …).

Sicuramente, però, come affermava una professoressa di un liceo classico di Napoli, Olga Cirillo, in una scuola strutturata in questo modo la gestione del rapporto è fondamentale: tra gli insegnanti e gli studenti si deve, infatti, instaurare un rapporto di fiducia molto forte, per limitare il più possibile un utilizzo improprio degli strumenti tecnologici. E quest’ultimo è proprio uno dei punti focali su cui si sviluppa la maggior parte delle argomentazioni dei tradizionalisti: essi sono convinti del fatto che strumenti tecnologici come tablet o smartphones non potranno fare altro che aumentare il livello di disattenzione dei ragazzi, che cederanno alla tentazione di utilizzarli non come valido mezzo di studio e approfondimento, ma come uno strumento per giocare o per “chattare”, utilizzando social media come Whatsapp, Facebook o Instagram.

Inoltre, gli studenti italiani tendono ancora a preferire i libri di testo cartacei rispetto a quelli digitali, come evidenzia una ricerca condotta dal Corriere nel 2017, in cui si evince che solo l’1% dei libri scolastici sono esclusivamente digitali e che, nonostante ormai tutti i volumi siano misti (quindi presentino sia una parte digitale sia una parte cartacea), solo 2 ragazzi su 10 accedono online ai contenuti multimediali. I motivi di questa preferenza possono essere sintetizzati principalmente in due punti: innanzitutto, la sottolineatura mediante un evidenziatore su un libro cartaceo, sfruttando la memoria fotografica, permette di ricordare più facilmente i concetti e le parole chiave dell’argomento che si sta studiando; in secondo luogo, l’utilizzo di un libro cartaceo distingue nettamente i momenti normali della giornata, o di ricreazione, in cui si fa grande uso di strumenti tecnologici, e i momenti di studio, in cui, per concentrarsi ed essere più efficienti possibile, è meglio abbandonare questi ultimi, fonte spesso di distrazione, e “abbracciare”, invece, la carta.

Il dibattito, poi, si svolge anche su un livello economico-sociale. Se si abbracciasse l’idea di una scuola moderna e tecnologica, bisognerebbe anche considerare l’enorme investimento necessario. Considerando che la scuola italiana mira all’uguaglianza e cerca di annullare, almeno in classe, le disparità economiche tra gli studenti, essa dovrebbere procurare gli stessi strumenti tecnologici, necessari per l’insegnamento, ad ogni alunno e ciò richiederebbe un’ingente quantità di denaro. Se, invece, si obbligasse le famiglie alla spesa per questo tipo di materiale, si andrebbe a creare una vera e propria disparità sociale, in quanto, per esempio, un nucleo familiare economicamente in difficoltà potrebbe non potersi permettere strumenti molto costosi e andrebbe ad acquistare, quindi, i più economici, ponendo lo studente ad un livello inferiore rispetto ai suoi coetanei in classe.

In conclusione, certamente si va sempre di più verso ad una modernizzazione e digitalizzazione del mondo in cui viviamo. I bambini ormai nascono, crescono e vivono nella tecnologia ed è davvero notevole nei nostri giorni il divario che separa, rispetto a questo punto, il mondo esterno e la scuola. Spetta solo al tempo dire se ci sarà effettivamente una riforma nei confronti della scuola o se essa resterà la stessa istituzione tradizionale fondata sui suoi principi centenari. Ma, anche se questa avverrà, i cambiamenti saranno comunque lenti e molto impegnativi.

Riccardo Di Leo