Cicatrici indelebili – Racconto

Oggi il vento soffia forte e le ferite paiono riaprirsi, sferzate dalla potenza del maestrale. Sono anni che mi trovo ancorata qui, eppure mai avevo sentito così grave il peso del passato. Fra le foglie degli alberi mi pare ancora di sentire la marcia dei soldati di Massena, il celebre maresciallo di Francia che già aveva terrorizzato la contea di Nizza e allora si apprestava a scendere nella penisola italiana su ordine di Napoleone. Eccoli di nuovo apparire là, sulla riva destra del Brenta, nelle loro uniformi blu, rosse e bianche, gli stessi colori della bandiera nemica, falsa latrice di ideali di libertà ed uguaglianza. Le baionette e i moschetti rilucevano sulle loro schiene ai raggi del sole del primo pomeriggio.
Erano le quindici dell’8 settembre 1796. Sulla riva sinistra nessuno si aspettava ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Per le strade vi era un grande brusio; contadini, massaie e pastori tornavano alle loro abitazioni dopo le attività mattutine, con un’insolita fretta mista ad irrequietezza. Come cani che percepiscono il ritorno del padrone alla fine della giornata, così i soldati austriaci, posti a difesa della città, si radunavano nelle piazze, spinti dal presagio di una battaglia imminente. Quando, in prossimità della riva, apparve il generale von Wurmser, uomo d’onore dell’esercito austriaco, chiunque fosse ancora nelle osterie o nelle taverne, dietro ad un bicchiere di grappa o ad un piatto caldo di zuppa, si riversò per strada, in preda ad un primitivo terrore, inconsapevole che la città era ormai sotto attacco.
Tra la folla impaurita, egli avanzava con passo sicuro, con un manipolo di soldati alle sue spalle.
“Nascondetevi! Scappate! Via, via!” gridava a chi si attardava ancora nelle strade: i pochi contadini rimasti abbandonarono i loro attrezzi nei vicoli, le donne trascinarono via i bambini curiosi e i pastori lasciarono le loro pecore, prezzo per la salvezza della loro vita.
Di fretta Wurmser schierò i soldati sulla riva del fiume Brenta, fra i cespugli ai piedi delle case, e nel fiume, fin quando le prime linee non ebbero l’acqua alle ginocchia; poi, ricaricata l’arma, avanzò sul ponte e chiamò il contingente sull’attenti. A quel punto gli eserciti caddero in una sorta di silenzio sepolcrale, che sembrò durare un’eternità. Ad un tratto però una voce di donna infranse l’aria tesa creatasi fra i due eserciti in attesa: “Stefano! Stefano!”
Sul ponte apparve una ragazza, che si era attardata a raccogliere le ultime erbe aromatiche per la cena di quella sera. Aveva i capelli corvini arruffati e la gonna sporca di terra, sul volto un’espressione di puro orrore. Dietro di lei i soldati francesi si guardavano stupiti, incerti sul da farsi. La stessa sensazione di sbigottimento si diffuse anche fra l’esercito nemico, quando il generale von Wurmser fu bruscamente spostato da un giovane in preda all’agitazione.
“Ida!” chiamava lui, correndole incontro. Per un attimo tutto si fermò, per osservare i due innamorati che nel mezzo del ponte si abbracciavano e in balia delle proprie passioni si scambiavano un bacio, una piccola scintilla d’amore così estranea in quel tempo di guerra.
Stefano le prese la mano e insieme si affrettarono sulla riva destra del Brenta ma non avevano fatto che qualche passo quando una fredda pallottola attraversò la scapola sinistra di Ida, facendola crollare fra le braccia del suo amato.
“Vattene, mettiti in salvo” sussurrò Ida con un filo di voce, mentre Stefano tentava di rassicurarla, con le lacrime che gli rigavano le guance e, infrangendosi sul corpo di lei, si andavano a mischiare col suo sangue.
“Aiuto, vi prego!” gridava, sopra il rumore della battaglia appena iniziata. “Aiut…” e le sue parole furono spezzate a metà da un altro proiettile.
Ancora oggi, fra le fronde degli alberi riesco a sentire le loro ultime parole disperate: nemmeno il loro amore era stato sufficiente a placare l’odio nei cuori dei soldati. Ancora oggi mi rammarico di non essere riuscita a salvarli, ma almeno protessi lui e la sua famiglia. Dopo che sul ponte i cadaveri dei due scomparvero sotto i piedi delle implacabili schiere nemiche, allora lo vidi!
Era con sua moglie ed un carretto nel quale portava i pochi avanzi del mercato della mattina. Era spaventato, anzi terrorizzato: lo si leggeva nel suo volto e nei suoi movimenti, repentini e nervosi. Correndomi incontro, fece scivolare a terra di continuo, con un grande fracasso, bottiglie, buste colme di verdura e sacchi di farina. Il tempo sembrava rallentare ogni volta che doveva fermarsi, accrescendo così la mia angoscia. Avrei voluto aiutarlo, ma l’unica cosa che potevo fare per lui era lasciare le porte aperte.
Bortolo si precipitò nel mio abbraccio e le porte si chiusero con un tonfo dietro di lui. Al mio fianco una pioggia di pallottole si abbatté sulla mia vicina compagna, per poi investire anche me; un dolore lancinante attraversò il mio intero corpo, ma non mi importava. L’importante era proteggere almeno loro.
Le truppe francesi si riversarono per le strade della città, come un fiume in piena; saccheggiarono tutte le case di cui riuscivano a sfondare l’entrata. Anche io cedetti alla loro forza violenta ma non fallii nella mia missione. Nonostante Bortolo avesse perso la maggior parte della sua grappa artigianale, né lui né sua moglie furono toccati; riuscii a celarli agli occhi nemici.
Quando il generale von Wurmser, conscio della sua sconfitta, abbandonò la difesa, lasciando seimila soldati austriaci nelle mani dei napoleonici, io rimasi comunque, pur di assolvere al mio unico scopo e lui con me.
Ricordo ancora quando tutto si placò nella città ormai devastata e tra le macerie si levò un canto per quei due innamorati che ancora si abbracciavano nel mezzo del ponte; Bortolo e la sua famiglia si affacciarono dalle mie finestre e insieme ai sopravvissuti intonarono una melodia di speranza:
Sul ponte di Bassano
noi ci darem la mano
noi ci darem la mano
ed un bacin d’amor.
Per un bacin d’amor
successer tanti guai
Non lo credevo mai
Doverti abbandonar
Doverti abbandonar.

Quel canto fu il punto di partenza per un nuovo, ma lento inizio, da affrontare insieme; io con Bortolo e lui con me. E così facemmo per il resto dei suoi giorni: assistemmo alla caduta di Venezia e alle insurrezioni del ’48.
Poi con i suoi figli e i suoi nipoti vidi la nascita del regno d’Italia; io e la famiglia Nardini non ci separammo mai né durante la prima e la seconda guerra mondiale né quando le potenze atomiche minacciarono il globo. Sono rimasta sempre la loro più fedele compagna; non solo io ho protetto loro ma anche loro mi hanno curata pur non privandomi delle cicatrici di quel giorno. Queste infatti sono e saranno sempre l’emblema di ciò che è stato, monito per i posteri affinché mai più si ripeta una simile tragedia e il mondo finalmente possa giungere ad una pace perpetua.
Alessia Priori, Sara La Torre & Penelope Riccobono / Liceo Classico Galileo di Firenze