Storia di un funambolo – Racconto

La principale regola del successo è la concentrazione. Dopo vengono la calma e la fiducia nelle proprie capacità. Bisogna essere consapevoli che anche la più piccola incertezza, in un lavoro come il mio, può essere fatale. Per praticarlo, si deve avere una mente attiva e calcolare ogni singola mossa. Dopo aver acquisito queste capacità, è possibile ottenere risultati concreti, enormi soddisfazioni e ricordi magnifici. Ripenso spesso alla primissima volta in cui eseguii una transizione completa ad una distanza considerevole per quello che, allora, era solo un principiante. La tensione si poteva tagliare con il coltello e la paura mi mozzava il respiro. La mia attenzione nel riportare ciò che avevo appreso, nella parte teorica e nelle piccole sessioni di pratica, nelle mie azioni e nei miei movimenti era impressionante. Eppure nemmeno le minuziose indicazioni e avvertenze di mio zio avevano potuto prepararmi alla vera e propria esperienza che mi attendeva. Camminare su un filo sospeso nel vuoto, tenendomi in equilibrio con il solo ausilio di un bilanciere. Era da pazzi. Un passo falso ed ero spacciato, lo sapevo. Eppure mi sentivo in obbligo di farlo, in obbligo verso mio zio, che mi aveva insegnato e seguito passo dopo passo in tutti i miei progressi, e in obbligo nei confronti di mio padre, che, molti anni prima, nel tentativo di apprendere l’arte del funambolismo dal fratello, aveva perso la vita. Ricordo di aver percepito lo sguardo attento e incoraggiante di mio zio, che mi osservava da terra mentre muovevo i miei primi passi, pur non avendo potuto abbassare lo sguardo per vedere cosa stesse facendo. Ovviamente la metà del percorso fu il tratto più ostico, la piattaforma da cui ero partito era troppo distante da me per poterla raggiungere, mentre il punto di arrivo sembrava comunque distante chilometri. Il suono ovattato del battito del mio cuore giungeva alle mie orecchie scandendo una melodia dal ritmo incalzante, che mi fece girare la testa a tal punto che pensai che sarei seriamente caduto. Ciò che mi motivò a muovermi in quel momento fu forse proprio la paura; mi ero fermato un secondo più  del dovuto, interrompendo il ritmo costante con cui avrei dovuto procedere, e questa si era impossessata di me. Muovere nuovamente un passo verso la fine del percorso fu seriamente spaventoso, era come iniziare nuovamente dal punto di partenza, ma in una situazione più traballante e instabile. Di lì in poi, però, riuscii comunque a riprendere la mia andatura iniziale, seguendo alla lettera i consigli di mio zio: un lieve sbilanciamento laterale del piede, compensato ovviamente dal movimento del bilanciere in senso opposto e poi, su, riportare il piede sul filo un po’ più in avanti rispetto a dove era prima. Era come oscillare su un pendolo mortale. Fuori, dentro. E poi di nuovo: fuori, dentro. Il movimento doveva essere regolare e la mente libera e focalizzata sull’obbiettivo. Più vedevo la piattaforma avvicinarsi, più il battito del mio cuore si faceva regolare. Mettere piede sulla piattaforma fu, sono sicuro, una delle più belle sensazioni della mia vita. Sentivo l’adrenalina ancora pulsarmi nelle vene, ma il cuore era più leggero e le orecchie cominciavano nuovamente a distinguere i suoni circostanti in modo  chiaro, e non come se fossero state sommerse da un sottile strato di acqua. Guardando giù, la fierezza e l’orgoglio nell’espressione di mio zio furono impagabili. Sorridere fu quasi involontario, tanta era la soddisfazione. Se mi avessero chiesto di descrivere l’esperienza di sicuro avrei prima di tutto detto che era una delle cose più spaventose e assurde che avessi fatto in vita mia. Il mal di testa e la gola secca che lo stare lassù mi avevano provocato erano veramente terribili e la paura che avevo provato era stata davvero da togliere il respiro. Eppure, nonostante tutto, in fondo in fondo, già sapevo che avrei fatto di quell’esperienza il mio mestiere… Sono ormai vent’anni che mi esibisco in bilico fra cielo e terra, per le migliaia e migliaia di persone che sono venute a osservarmi con lo sguardo rivolto all’insù e le espressioni stupite nelle piazze dove di solito eseguo i miei numeri. Mi piace pensare che la gente tenti di capire cosa si prova nel fare il mio mestiere; e mi piace anche credere che non ci riesca mai. Il funambolismo è quasi ineffabile. È spontaneo come un sorriso involontario, pericoloso come le più grandi avventure mai compiute da qualsiasi avventuriero, e allo stesso tempo, metodico e calcolato come una partita a scacchi… Un vero mistero per chi tali sensazioni non le ha mai sperimentate nella sua vita. Nonostante l’impossibilità di farlo, apprezzo comunque la curiosità e la voglia di comprendere delle persone, perché rappresenta nel modo più completo ciò che l’uomo fa per tutta la sua vita: cerca di raggiungere quello che non può realizzare o comprendere, in un disperato tentativo di arrivare più vicino ad una visione generale del mondo e di se stesso, che però non potrà mai ottenere. Io, nonostante tutto, penso, nel mio piccolo, di aver raggiunto “uno squarcio” di questa visione generale, abbastanza grande da capire che per me da quassù, in bilico su un filo e con la mia vita nelle mie mani, il mondo risulta molto più bello.

Viola Maestri / Liceo Classico Galileo di Firenze, classe 3B