Parlando con Primo Levi

“Buon pomeriggio cari ascoltatori, oggi parleremo dell’avvenimento più crudele e spregevole della storia umana: la Shoah. Un fenomeno che vide lo sterminio di milioni di innocenti, morti perché reputati diversi, sbagliati, inopportuni in una società che voleva essere perfetta. Bambini, donne, zingari, ebrei, omosessuali, disabili, testimoni di Geova, asociali, emigrati e delinquenti comuni. Oggi, 19 marzo 1985, sono onorata di far entrare in studio Primo Levi, uomo che è riuscito a sopravvivere allo sterminio nazista e che oggi risponderà alle vostre domande, che potrete inviare telefonando al 465 00 00. Prego, entri pure!”

Salve e buon pomeriggio a tutti!

“Buon pomeriggio a lei! Come sta?”

Fortunatamente oggi posso dire di star bene, di essere un uomo felice, perché la vita mi ha posto un grande ostacolo davanti e una volta che l’ho superato tutto ha avuto un senso, tutto ha avuto un valore. Mi alzo la mattina e sono grato della mia tazza in ceramica blu, leggo un libro e sono ammaliato dal suono che producono le pagine l’una a contatto con l’altra e dall’odore della carta, dalle storie nuove e dalle nuove avventure. Riesco ad apprezzare attività come una passeggiata o la vista di un tramonto, perché solitamente quando si ha tutto non si fa caso alle sfumature di colore in cielo, al vento che ti accarezza i capelli, alle risa dei bambini e alla bellezza del vivere. Tuttavia devo ammettere di non godermi a pieno queste sensazioni, il ricordo di ciò che ho passato continua a tenermi intrappolato, come se fossi costretto a rimanere incollato ad una sedia .”

“A proposito di quel che ha passato, è arrivata la prima domanda da un’ascoltatrice, Samantha, la quale chiede cos’è per lei l’Olocausto.”

Beh sicuramente è stato e continua a essere l’evento fondamentale della mia vita, come la conversione al cattolicesimo per Manzoni, per intenderci. Un evento che difficilmente riesci a dimenticare, un marchio indelebile. Ciò che avveniva all’interno dei campi era inumano, impensabile e al massimo livello della crudeltà umana. L’Olocausto per me è un timbro che non puoi riuscire a cancellare nemmeno dopo migliaia di centinaia di docce, sarà sempre lì a tormentarti nel lato destro del cuore. ‘È una pagina del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria’, ricordare per non ripetere più.”

“Magnifica risposta, adesso Alessio chiede se sia vero che non avevate più un nome ma eravate solo un numero”

Si certo, per i Tedeschi come dice bene il ragazzo, non eravamo esseri umani ma numeri, animali che dovevano essere classificati soltanto con una serie di cifre. Il mio numero era il  174517, me l’hanno tatuato sull’avambraccio sinistro ed ogni mattina funge  risveglia i ricordi del campo in cui mi trovavo.”

“Un evento veramente brutale. Gaia si chiede cosa l’abbia spinto a scrivere ‘Se questo è un uomo’, romanzo che tratta proprio di questo evento”

Per scrivere un libro di questo genere mi sono armato di coraggio e di forza, l’Olocausto è un mostro e per scriverne ho racimolato ciò che era rimasto di me dopo quegli anni di prigionia. Sono riuscito a comporlo esclusivamente nel momento in cui ho realizzato quanto fossi stato fortunato. Io, uno dei 20 sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con me nel campo. Quando realizzai inizia a scrivere ‘Se questo è un uomo’.”

“Giulio chiede una sua descrizione, chi è lei?”

Sono un uomo come tanti, travolto da questa brutalità come tanti altri, ma uno dei pochi ad esser vivo, grazie al fato e al mio non rassegnarmi alla tristezza e alle sofferenze di quei luoghi, senza perdere mai il piacere di vivere. Sono nato a Torino, ho una passione per la chimica e mi sto cimentando nella scrittura. Questo sono io.”

“Schietto e riassuntivo aggiungerei! Adesso Luca chiede se se la sente di raccontarci la sua esperienza nei campi di concentramento”

Domanda tosta ma comunque assolutamente sì. Iniziò tutto con atrocità, cinquanta persone, bambini, neonati, anziani, ammassati gli uni sugli altri all’interno di un singolo vagone. Era il momento dell’immaginazione, immaginavamo le brutalità a cui stavamo andando incontro, si percepiva la cattiveria dei Tedeschi dai piccoli gesti. Durante il viaggio di cinque giorni non si sono degnati di darci nemmeno un sorso d’acqua, ci volevano far soffrire, solo perché a loro avviso eravamo indegni di vivere. Arrivai al campo di Auschwitz dove trascorsi gli undici mesi più lenti e dolorosi della mia vita. Il campo era come un coccio di vetro, durante il primo mese penetrava la punta nel tuo sterno con la “mancanza di casa”, durante il secondo andava più a fondo con la “disperazione” e aumentava ogni mese di più, il dolore morale era imparagonabile a quello fisico. Eravamo malnutriti? Sì. Magri? Anche questo sì. Ma ciò che trafiggeva il petto era la mancanza della vita comune e delle proprie abitudini, mancanza degli abbracci e di affetto. Di altro, ancora preferisco non parlare.”

“Va bene, comprendiamo e le siamo vicini, la salutiamo con l’ultima domanda da parte di Matilde: perché testimonia la sua esperienza?”

Perché un giorno noi testimoni diretti, ahimè, non saremo più vivi, ma chi resterà dovrà ricordare e tramandare il ricordo perché ciò che è stato non si debba ripetere più. So che per i ragazzi d’oggi è difficile comprendere, ma è necessario che sappiano, il futuro dipende da loro e devono evitare in tutti i modi possibili che altri passino ciò che è stato vissuto da noi. Per ricordare incontro ragazzi affinché si combatta con coraggio e buon senso questo mostro, senza ridurci all’indifferenza. Terrò questa conversazione nel bagaglio dei miei ricordi più cari, arrivederci.

Elisa Indaco 1QL