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Il diritto di essere rispettati: i motivi per cui non è andato tutto bene.

Dopo nove mesi di pandemia, in cui gli italiani sono stati costretti a limitare, in modo consistente, le interazioni sociali trincerandosi nelle proprie abitazioni in attesa dell’agognato vaccino, il futuro appare quanto mai incerto, mentre la paura ha lasciato spazio alla rassegnazione e al desiderio spasmodico di tornare alla normalità. Tuttavia, in questo contesto di incertezza, risulta chiaro, che, al contrario di ciò che ci piaceva dirci nel primi mesi di lockdown, non ne usciremo migliori. La paura e l’ansia costante di contagiarsi a vicenda, nonostante i tentativi di razionalizzazione, hanno ottenebrato le menti, portando a cercare una qualsiasi ragione per rendere il proprio prossimo il capro espiatorio della diffusione del virus.

Sin dalla prima ondata della pandemia che da fatto di cronaca, appartenente ad una terra lontana, di cui noi eravamo solo spettatori, è diventata fonte di ansia e preoccupazione, coinvolgendoci tutti in modo diretto, è apparso chiaro che, più del Covid, la paura si stava diffondendo come una malattia altamente infettiva.  L’irrazionalità ha preso il sopravvento, dando inizio a fenomeni come, la “caccia al runner” e le denunce ai danni di migliaia di persone avvistate dai vicini di casa in giro per spostamenti. Ad accentuare l’isteria e la frustrazione collettiva, c’era, inoltre, il problema dell’accessibilità ai tamponi limitata, che non permetteva di certificare la propria eventuale positività al virus esponendo molte persone, ree unicamente di essere entrate in contatto con un malato anche  asintomatico e di non poter  verificare la propria positività, alle ingiurie della comunità.

Entrare nuovamente in contatto con l’idea della morte, estranea alla nostra società da quasi un secolo, ci ha portati a mettere in discussione i valori della società stessa. Tra quelli messi in discussione c’era, purtroppo, anche il rispetto del prossimo, che dovrebbe essere alla base di ogni interazione civile tra esseri umani. Progressivamente, è diventato normale insultare coloro che erano ritenuti meno prudenti e giudicare comportamenti di cui non si conosceva la ragione, anche se a metterli in atto erano persone ritenute affidabili.

Alla pandemia di Covid, si è affiancata in breve tempo una pandemia di giudizio negativo nei confronti del prossimo: sono state persone che uscivano troppo spesso per fare la spesa, sui social sono stati insultati i runners che osavano andare a correre all’alba e anziani che preferivano fare una salutare passeggiata di venti minuti al giorno. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2020, era diventato tanto normale accusare individui di cui non si sapeva nulla (senza avere alcuna competenza per farlo, peraltro). Si iniziò anche a vedere in giro, genitori che passeggiavano con i figli affetti da autismo, che indossavano un nastro blu che avevano diritto ad uscire, ma che volevano evitare, così, di essere richiamati o giudicati come irresponsabili.

Dopo un’estate di relativa tranquillità, sono scoppiati una serie di disordini nelle città principali del paese, in seguito alla decisione del governo di imporre il coprifuoco. Senza entrare nel merito della questione, ma analizzando la situazione, ancora una volta non mancavano insulti nei confronti delle decisioni del governo o di chi protestava contro il nuovo provvedimento.

Dall’inizio della pandemia al momento stesso in cui questo articolo viene scritto, sono stati lanciati offese e attacchi ad ogni categoria di persone: da quelli ritenuti incoscienti a quelli ritenuti troppo prudenti, da coloro che hanno manifestato il proprio dissenso a coloro che sono rimasti a casa ogni qualvolta è stato loro chiesto di farlo, dai sanitari in prima linea nella lotta contro il virus a coloro che si sono ammalati. Tutti sono stati esposti a costanti critiche, tutt’altro che costruttive. Non si vuole, in questo articolo, giudicare i  comportamenti in quanto giusti o sbagliati, bensì le modalità di tali comportamenti, modi distanti dal concetto di rispetto reciproco alla base di ogni questione sociale. Né l’Italia, né il mondo diverranno un posto migliore alla fine della pandemia, poiché fronteggiare nuovamente anche soltanto l’idea della morte, in quanto parte integrante della vita stessa, ci ha ricordato che siamo pronti a danneggiarci a vicenda pur di sfuggire al pericolo di contagio.

A generare la convinzione che le persone non fossero meritevoli di rispetto, c’è stata, inoltre, la privazione della dignità ai danni di molti lavoratori e degli studenti. I primi, privati della possibilità di  guadagnarsi da vivere per sfamare le proprie famiglie; i secondi, neanche considerati meritevoli di attenzione, liquidati con frasi come “La scuola è l’ultimo dei problemi”, senza tenere conto che la scuola sia effettivamente l’unica istituzione sacra e intoccabile di una società definita civile.

Le persone hanno diritto a non essere offese fintantoché non si ha la prova tangibile che queste ledano all’ordinamento della società democratica e civile, ma la pandemia non ha fatto altro che dividerci, non soltanto fisicamente, ed accentuare il divario e l’odio tra classi sociali diverse. Ne usciremo, ma non migliori, e l’unica cosa che scaturirà da tutto questo sarà una lotta di classe ancora più accesa ed una crisi sociale, causata dalla mancanza di fiducia e rispetto per il prossimo, senza precedenti. Solo da ciò potrà scaturire una società più giusta, all’insegna del rispetto reciproco e della lotta comune contro le disparità.

Simone Staiano, III C