La scuola… ai tempi del fascismo

  Nel periodo fascista, creare una nuova scuola significava educare e istruire i giovani italiani a comprendere il Fascismo. La riforma scolastica di Giovanni Gentile del 1923 aveva come principi fondamentali i seguenti: la scuola è sottoposta al controllo statale; viene istituito un albo professionale degli insegnanti; viene rafforzata la gerarchia all’interno degli istituti e a capo di essi vengono posti direttori, presidi e rettori. Vennero così istituiti due canali scolastici senza sbocco: la scuola complementare e il liceo femminile. Tra le scuole secondarie l’unica che consentiva sbocchi a tutte le facoltà universitarie era il liceo classico, mentre lo scientifico non permetteva l’accesso ad alcune e gli istituti tecnici solo ad altre. Questa scuola era caratterizzata dal senso antidemocratico e ottenne immediati riscontri, infatti il calo degli iscritti alle scuole secondarie ed alle facoltà scientifiche fu sensibilissimo. La scuola complementare quindi si rivelò velocemente un fallimento.

Gli strumenti per la formazione del nuovo italiano erano le divise, la disciplina e le esercitazioni, il ragazzo doveva diventare parte di una società dinamica ma allo stesso tempo doveva inserirsi anche in un sistema rigidamente centralizzato e gerarchico prendendo come esempio perfetto il “Duce”. Questo fu possibile principalmente grazie alla creazione di alcune associazioni come l’Opera Nazionale Balilla e i Giovani Universitari Fascisti che erano degli istituti complementari alla classica istruzione a cui era obbligatorio aderire, l’obiettivo principale era quello di formare dei futuri soldati pronti ad obbedire, a combattere e a formare il pensiero di coloro che saranno i prossimi fascisti. L’Opera Nazionale Balilla gestiva corsi di formazione e orientamento professionale, corsi di economia domestica per le donne, prestava assistenza igienico-sanitaria, previdenza e assicurazione ai propri organizzati. Tutti coloro che appartenevano a questa associazione avevano una divisa e durante le esercitazioni i giovani uomini venivano dotati di un moschetto. 

Iniziò poi un processo di rinnovamento delle leggi scolastiche: nel 1929 nacque il “Ministero dell’Educazione Nazionale” e nel 1935 ne divenne ministro De Vecchi che portò in essa lo stile del “vero fascismo” attraverso la “bonifica”. La fascistizzazione di De Vecchi aveva due aspetti essenziali: uno riguardava le forme esteriori della vita scolastica e portava il segno del militarismo; l’altro si attuava attraverso riforme, nella repressione di ogni autonomia della scuola e nella sua totale sottomissione allo stato fascista. 

Ma il fascismo intendeva penetrare nella vita dell’insegnamento secondario e per fare ciò De Vecchi estese il controllo dello stato su tutti i manuali scolastici in uso nelle scuole medie, fece scrivere anche nuovi programmi che introducevano la cultura militare con l’aumento delle attività extrascolastiche e delle organizzazioni giovanili.  

Il 1939 fu l’anno decisivo per un’altra svolta scolastica: il ministro Giuseppe Bottai fece approvare dal Gran Consiglio del Fascismo la “Carta della Scuola” con la quale si stabilirono principi, fini e metodi per la realizzazione integrale dello stato fascista che mirava alla formazione della “coscienza umana e politica delle nuove generazioni”. La Carta attraverso le sue “dichiarazioni” indicava ordinamenti, insegnamenti e orari che andavano dalla scuola materna al sistema universitario e stabiliva che nell’ordine fascista età scolastica ed età politica coincidono. Affiancati alla scuola nascono la Gioventù Italiana del Littorio e i Gruppi Universitari Fascisti, con l’obbligo di frequenza dei “cittadini dalla prima età ai ventun anni”. La riforma non venne attuata per lo scoppio della guerra. Bottai nel 1938 introdusse provvedimenti antisemiti nella scuola e raccomandò la massima diffusione nelle scuole primarie della rivista “Difesa della Razza”. Alcuni mesi dopo un testo unico riunì tutte le disposizioni riguardanti la difesa della razza nella scuola italiana.

Di Aurora Galli