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La montagna come fonte di ispirazione: intervista a Matto Righetto

Di Agata Bordin

Matteo Righetto, nato a Padova nel 1972, è uno studioso di storia, un’insegnante di letteratura e membro del comitato etico-scientifico di Mountain Wilderness, nonché un celebre romanziere: nei suoi libi la natura, le montagne e la storia del nostro territorio sono gli elementi fondamentali. Il suo ultimo romanzo si intitola “I prati dopo di noi” , scritto dopo numerosi altri testi molto apprezzati dalla critica, tra i quali: “Apri gli occhi” vincitore del premio della Montagna Cortina d’Ampezzo e la trilogia “Senza patria” comprendente i tre volumi “L’anima della frontiera”, “L’ultima patria”e “La terra promessa”, un caso letterario internazionale tradotto in numerose lingue. Dal libro “La pelle dell’orso”pubblicato nel 2013, è stato tratto anche l’omonimo film con Marco Paolini.

Oggi ha voluto svelarci qualche informazione in merito ai suoi libri e il modo del tutto personale di vivere il rapporto con l’ambiente e la natura. Uno spunto soprattutto per i più giovani di percepire la montagna come mai prima d’ora.

Come ha scelto l’ambientazione dei suoi libri? Che ispirazione ha avuto?
Da molti anni la montagna mi appartiene, fa parte del mio vissuto, della mia sfera emotiva; quindi anche delle mie esperienze di bambino, di ragazzo e di uomo, è qualcosa legato al mio passato ai miei ricordi. La montagna, per quanto mi riguarda, rappresenta un po’ lo specchio della coscienza: un luogo ideale, un luogo dell’anima, dove anche attraverso la sua concretezza e la sua esperienza fattuale mi permette di sentirmi più vivo, più legato alla cultura, alle relazioni umane intorno a me, quindi meno artificiale, tutto quello che riguarda la mia esistenza e il mio modo di relazionarmi con il mondo e con gli altri esseri. La montagna banalmente è un luogo bellissimo, dove si respira aria migliore, dove c’è più possibilità di stare a contatto con la natura. Cose molto pratiche, ma che in realtà finiscono sempre per darti maggiore consapevolezza. Quella consapevolezza riguarda sempre le grandi domande: “Chi sono io? Cosa ci faccio qui?”, la montagna è il luogo delle domande. Quando sono in città o nei grandi centri di pianura ci sono nuovi imput su questa domanda. Quando sono in montagna scopro che ogni momento e ogni luogo è un occasione per porsi delle domande importanti, esistenziali, personali e collettive. Il paesaggio montano, il rapporto che scaturisce tra io e ambiente è una dimensione che aiuta, anche se questo vale per me non per chiunque. Ci sono persone che in montagna non stanno bene, non si pongono alcuna domanda anzi, non vedono l’ora di scendere in città o comunque nella routine della quotidianità. Non vale per tutti, ognuno di noi è diverso, ha una sensibilità differente e di conseguenza io voglio parlare per me, non fare una retorica che valga erga omnes.

Dove si è informato per trovare tutte le informazioni necessarie per la scrittura dei romanzi?
Le conoscenze proprie derivano sempre da uno studio, da un approfondimento, da una curiosità o comunque da informazioni tramandate da qualcuno: quindi è evidente che nei miei romanzi le informazioni più tecniche, più specifiche, sono informazioni derivanti da uno studio, un approfondimento. Però è anche vero che sono un romanziere non sono un saggista, di conseguenza stiamo parlando di fiction, di narrativa, di storie inventate quindi diciamo che mi muovo sempre nell’ambito di un contesto realistico storico, però con la libertà del narratore di inventarsi delle storie che è per me la cosa più bella.

Ha visitato i luoghi nei quali sono ambientati i suoi libri? Ha preso ispirazione da qualcuno/qualcosa?
Ho frequentato quasi tutti i luoghi dei miei romanzi, ho sempre stretto delle buone relazioni, dialoghi, interviste con le persone che sono del posto; più che interviste, conversazioni informali e quindi le storie e le identità dei luoghi sono state preziose: pensa alla “Pelle dell’orso”, “All’anima della frontiera”, è chiaro che anche questa storia di Jole, dei contrabbandieri di tabacco e la Val
Brenta, la Val Sugana, il Primiero. Ho dovuto approfondire queste storie, spesso tenute nascoste infatti molte persone si vergognavano di aver avuto dei parenti contrabbandieri, quando in realtà non c’era nulla di cui vergognarsi perché si trattava di sopravvivere alla fame. Non so dirti se la suggestione, l’idea, è nata prima, durante o dopo; di solito è contemporaneo il processo creativo, nel momento in cui tu vieni a sapere un fatto storico che magari ti affascina, da lì inizi a informarti e crearci una storia attorno.

La storia e gli eventi storici lo appassionano?
Sì, però dipende in che modo lo volgiamo intendere. Io ho studiato molto la storia, sono laureato in lettere e insegno storia. Però la storia vera: la ricerca storica, non le rievocazioni storiche folcloristiche di paesi e delle sagre e le bande che suonano in costume, quello è il folclore. Ed è fondamentale, importantissima: è uno degli elementi base della formazione umana e di qualunque individuo.

Cosa pensa del tema del rispetto della natura e delle nostre montagne?
La natura è sempre stata di attualità; il problema è che lo capivano poche persone. Adesso c’è un’emergenza climatica, un’emergenza ambientale che riguarda tutti anche se alcuni non vogliono comprenderlo, addirittura c’è chi lo nega. I cambiamenti climatici vengono negati da molti e io credo che la natura invece sia un valore assoluto, che debba essere riscoperto in quanto parte integrante della dimensione umana: cioè noi non esistiamo senza natura, noi siamo l’ambiente, siamo natura e invece dalla prima rivoluzione industriale in poi, nell’800 l’uomo si è sempre più separato, soprattutto in Occidente ha reciso quel
cordone ombelicale credendo di bastare a se stessa, di poter dominare il creato e vivere di questi profitti all’infinito; invece così non è e lo stiamo capendo adesso, lo stiamo capendo con grave ritardo e quindi ne paghiamo le conseguenze e siete proprio voi giovani a risentirne maggiormente.

Com’è cambiato il rapporto con la montagna oggi rispetto un tempo? È vero che i giovani stanno riscoprendo questi luoghi?

Mi auguro di sì, io sono felice quando durante le mie escursioni incontro dei giovani e devo dire la verità, ne incontro sempre di più. Quando ero giovane io avevo questo grande rammarico: io amavo la montagna ma i miei amici, i miei compagni di classe proprio no. Io non sono mai riuscito a condividere questo grande amore, quindi mi ritrovavo sempre perennemente solo in montagna o con la famiglia quando ero più piccolo. Adesso vedo che molti giovani, sulla scia di una moda ambientalista salgono in montagna. Sono contento di vedere giovani che salgono sulle cime, che arrampicano, che vanno per boschi e che camminano; per me è molto bello. È cambiato il rapporto senz’altro sì, riscoprendo il valore dell’ambiente naturale, molti giovani lo stanno davvero vivendo con grande sensibilità e questo va riconosciuto a questi ragazzi, questi adolescenti di oggi; che sono nativi non solo digitali, ma anche ecologisti. Hanno una grande sensibilità che forse noi non avevamo e quindi il rapporto con la montagna sta cambiando. Per la legge dei grandi numeri, purtroppo c’è anche tanta gente meschina che sale in montagna tra tutte le brave persone. In estate, soprattutto in agosto, vedo degli assembramenti allucinanti di gente che non ha il minimo rispetto per la montagna, questo si traduce in comportamenti assolutamente imbarazzanti: gente che fa il bagno nei laghi alpini, che sale con le ciabatte, che grida, che accende fuochi e ascolta musica ad alto volume andando su un sentiero; cose secondo me assolutamente incomprensibili. È vero che c’è una riscoperta ma, siccome non siamo tutti uguali, ci sono persone che sarebbe meglio
rimanessero a casa.

L’opportunità che ci dà il virus è di poter visitare luoghi vicini a noi, la montagna potrebbe essere un buon punto di partenza, che ne pensa?
A patto però che vengano frequentate con correttezza e con senso di rispetto altrimenti è meglio che la gente stia a casa, l’estate scorsa ho visto cose veramente inenarrabili sulle Dolomiti, troppa gente. Dobbiamo comprendere che la montagna è un ambiente naturale e come tutti gli ambienti naturali è vivo, ha la sua flora, la sua fauna, ha il suo ecosistema e i suoi equilibri, quindi non possiamo pensare alla montagna come un parco giochi, come un playground. La montagna non può sostenere un flusso turistico delle dimensioni che ho visto l’anno scorso, quindi bisogna anche ripensare il modo di andare in montagna e di gestire questi flussi.