COS’È LA PENA DI MORTE?

Qui di seguito vi esporremo il tema della pena di morte, che dopo una lunga lezione con la nostra professoressa di italiano ci è rimasto impresso

La pena di morte, definita anche pena capitale, è una sanzione penale la cui esecuzione consiste nel privare il condannato della stessa vita. Si tratta di una punizione estrema ed alquanto risalente, inflitta in seguito al compimento di un crimine molto grave. In origine, veniva spesso utilizzata per punire assassini, eretici, traditori del Re, ma con il passare del tempo la brutalità di tale pena è stata contrastata da numerose associazioni, come Amnesty International che si è fortemente schierata contro questa pratica, in qualunque forma venisse esercitata. Malgrado ciò, la pena capitale oggi è utilizzata ancora in circa 80 Paesi ed il dibattito inerente pro e contro è ancora aperto ed acceso.

Un po’ di storia

La pena di morte nasce presso le comunità preistoriche ma non sono rimaste testimonianze di codici penali scritti, perché le leggi erano tramandate oralmente.
Presso i Babilonesi la pena di morte era ancora largamente utilizzata, ma ci fu una novità molto importante: la comparsa del primo codice scritto, il Codice di Hammurabi. In questo codice la pena capitale è largamente prevista, per crimini come furto, omicidio e mancanze commesse nell’esecuzione del proprio lavoro. Esso è pur sempre però una grande conquista, perché elimina arbitrarietà e soggettività dai giudizi, essendoci leggi scritte.
Presso gli Egizi, la pena capitale era applicata per coloro che infrangevano Maat, un insieme di regole rigorosamente osservate in Egitto. Questa legge comprende crimini come omicidio, furto, sacrilegio, attentato contro il Faraone, spionaggio, infrazioni fiscali. La pena di morte era applicata tramite la decapitazione, il sacrificio o l’annegamento nel Nilo all’interno di un sacco chiuso.
Presso le civiltà precolombiane non esistevano le carceri, il furto veniva punito con la schiavitù e l’omicidio con la morte. Anche l’adulterio, considerato come un reato contro la proprietà, era ugualmente punito con la morte.
Nella polis greca la permanenza della pena di morte ha subito ripensamenti e attenuazioni, specie nelle vicende politiche e costituzionali di Atene, registrando il graduale superamento del concetto di punizione come vendetta, anche se a lungo le esecuzioni erano state lasciate all’iniziativa dei familiari della vittima.
In età romana, almeno nei primi secoli, l’autorità pubblica interveniva solo per punire i delitti che in qualche modo avessero violato l’ordine generale e che venivano perciò considerati di pubblico tradimento. E in questi casi interveniva in modo molto duro, spesso con la pena capitale. Per i delitti privati si applicava invece la legge del taglione, che spesso portava all’uccisione del colpevole. Tuttavia non solo il tradimento della patria, l’intelligenza con il nemico della patria o la rivolta contro l’autorità erano considerati reati gravissimi, ma anche lo spostare un cippo che delimitava il confine di un campo, il rubare il bestiame o il raccolto altrui, l’uccidere, lo stuprare, il violare una promessa, il dare falsa testimonianza, il rubare di notte, l’incendiare una casa o le messi, il rubare al padrone, l’ingannare un cliente. Le modalità di queste pene, a quanto risulta dalle Leggi delle XII tavole (V sec. a.C.), erano veramente feroci. I Romani facevano ricorso alla decapitazione, alla fustigazione a morte, all’impiccagione, al taglio di arti, all’annegamento, al fuoco; le vestali colpevoli di infedeltà erano seppellite vive, perché non era permesso versare il loro sangue, il loro seduttore era bastonato fino alla morte; i nemici pubblici, i servi che avessero derubato il padrone, i colpevoli di falsa testimonianza venivano lanciati dalla rupe Tarpea; agli schiavi, o comunque a coloro che non godevano della cittadinanza romana, era riservata la crocefissione, supplizio particolarmente lungo e doloroso.
Il Medioevo in Europa è caratterizzato da una grande confusione e sovrapposizione di poteri, perché il sistema feudale era tale per cui al potere dello Stato, che si identificava con il re o l’imperatore, si affiancava il potere dei feudatari, a cui il re delegava il compito di amministrare la giustizia, e poi il potere dei magistrati cittadini. Erano molti quindi coloro che potevano comminare pene, anche quella capitale, che veniva applicata per crimini come omicidio, furto, sacrilegio e tradimento, a volte sulla base di leggi, spesso in modo arbitrario dal potente di turno. Venivano utilizzati la decapitazione, l’impiccagione, l’annegamento e la tortura fino alla morte.
Ci fu un lungo periodo della storia europea in cui torture ed esecuzioni capitali furono particolarmente frequenti e riservate a reati che noi oggi considereremmo di opinione. La commistione tra potere politico e potere religioso ha portato per secoli alla condanna di chi si discostava dalle posizioni della Chiesa, sia sul piano dogmatico che su quello politico e scientifico, senza contare le innumerevoli donne accusate di essersi date al demonio e bruciate come streghe. Col passare dei secoli, la pena capitale rimase in vigore in quasi tutti i Paesi, e vennero introdotti sempre nuovi strumenti di morte. Per esempio nella Francia dell’Ancienne Regime essa era eseguita con raffinati supplizi differenziati a seconda del rango sociale del condannato o del tipo di reato commesso: l’impiccagione era riservata ai contadini, la decapitazione ai nobili, la ruota ai delitti più atroci, il rogo ai delitti contro la religione, lo squartamento ai delitti contro lo Stato. Con la Rivoluzione, su proposta di Guillotin, furono abolite le differenze di condanna con l’introduzione della ghigliottina. 

La modernità di Cesare Beccaria

La pena di morte comunque restò nella maggior parte degli ordinamenti giuridici fino alla fine del XVIII secolo, quando cominciarono ad essere numerosi e importanti gli sforzi per combatterla e favorirne l’abolizione. La più famosa denuncia dell’ingiustizia della pena di morte si deve al giurista italiano Cesare Beccaria, che nell’opera Dei Delitti E Delle Pene (1764), sostenendone l’inefficacia come mezzo di prevenzione del crimine e sottolineando la possibilità dell’errore giudiziario, ne propose l’abolizione. L’opera di Beccaria ottenne grande attenzione anche fuori dall’Italia e influenzò in maniera decisiva i movimenti di riforma del diritto penale. La parte più importante della sua opera è appunto la natura della pena: secondo Beccaria la pena deve essere proporzionale al delitto e deve essere certa piuttosto che spettacolare, Beccaria perciò si dichiara contrario alla pena di morte, salvo in caso in cui il cittadino mettesse in pericolo la stabilità dello Stato.
L’impressione provocata dall’opera di Beccaria è enorme: emerge una nuova visione del diritto penale e del processo penale, in continuità con la prospettiva già delineata. E non è soltanto la nascente ‘opinione pubblica’ a mostrarsi colpita dalle argomentazioni del Dei delitti e delle pene. Di lì a pochi anni, infatti, sembra realizzarsi l’auspicio di Beccaria, che si attendeva nuove leggi da quei monarchi. Il monarca benefico atteso da Beccaria si materializza nella persona di Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, che provvede ad una coraggiosa riforma del diritto penale: una riforma di cui il granduca traccia le linee principali, vincendo le perplessità dei suoi stessi consiglieri; una riforma che include, oltre al divieto della tortura nel processo, anche l’abolizione della pena di morte.

Quando fu abolita la pena di morte?

Il primo Stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte fu il Granducato di Toscana il 30 novembre 1786 con l’emanazione del nuovo codice penale toscano firmato dal granduca Pietro Leopoldo, influenzato dalle idee di pensatori come Cesare Beccaria; tale giornata è festa regionale in Toscana. Tuttavia Leopoldo nel 1790 reinserì la pena di morte per i cosiddetti crimini eccezionali. Seguirono il Granducato la Repubblica Romana di ispirazione mazziniana (che tuttavia ebbe breve esistenza) nel 1849, il ricordato San Marino (1865) e altri. L’Italia la abolì, tranne che per crimini di guerra, nel 1889, per poi reinserirla con il Codice Rocco del 1930, e abolirla definitivamente nel 1948. Anche la Francia dal 1981 non ricorre più alla ghigliottina, mentre nel Regno Unito, pur non essendo mai stata abolita, a partire dagli anni sessanta la pena capitale è stata autonomamente disapplicata dalla magistratura, che in sua sostituzione commina l’ergastolo.

Conclusione
Noi ragazzi, al giorno d’oggi, crediamo che la pena di morte sia un mezzo che non va adottato per nessun motivo al mondo, è un atto davvero crudele e nessuno può permettersi di privare la vita a qualcuno. Qualora questa persona commettesse un reato molto grave non va adottata questa via perché non è assolutamente educativa e permetterebbe agli altri di comportarsi di conseguenza. È davvero impensabile che al giorno d’oggi vi sono ancora paesi che effettuano questa indescrivibile esecuzione.
Questa è una punizione che viola il diritto alla vita, è un atto disumano e uno Stato che uccide secondo noi compie un omicidio premeditato non rispettando i valori di tutta l’umanità ed è per noi sinonimo di discriminazione e repressione.


Giorgia Ferrera, Elisa Criscuolo, Giulia Gabriele,
Leonardo Altamore, Luca Vinci, IV G