LA FIGURA DELL’EROE MITOLOGICO

eròe s. m. [dal lat.heros -ōis, gr. ἥρως]. – 1.Nella mitologia di vari popoli primitivi, essere semidivino al quale si attribuiscono gesta prodigiose e meriti eccezionali. 2.Nel linguaggio comune, chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie.

Questa la definizione della parola “eroe” sul vocabolario Treccani. Per noi quindi il termine ha un significato chiaro e luminoso: l’eroe è una persona nobile, dotata di grande coraggio, esemplare per onestà e altruismo, disposto ad offrire la propria vita per il bene comune.

Ecco, nel mondo delle leggende dell’antica Grecia “eroe” ha tutto un altro significato: la parola definisce una figura che si trova a metà tra il mondo degli uomini e il mondo delle divinità. Questa particolare natura viene espressa dal fatto che l’eroe di norma è figlio di una creatura umana e di una divinità. Solitamente è un dio, maschio, che attrae una donna mortale e le genera un figlio straordinario, ma talvolta succede anche il contrario: Achille, ad esempio, è figlio di Peleo, un comune essere umano, e Teti, una dea degli abissi marini.

Così però, l’eroe si trova escluso dalla comunità degli uomini. Dal genitore divino eredita bellezza, forza, maestosità. Però, a differenza sua, non è immortale né immune alla vecchiaia. L’eroe è perciò condannato, come il resto degli uomini, ad andare incontro al dolore e alla morte.

Amare e odiare, uccidere e possedere, costruire e distruggere: gli eroi posseggono tutte queste qualità al massimo grado. Infatti essi sono in grado di dissolvere le tenebre dell’orrore, ma anche di portare dentro di loro le mostruosità che vanno combattendo. Spesso, l’eroe è completamente folle. La follia diventa un segno di riconoscimento, che contribuisce anch’essa a renderlo diverso dagli uomini comuni. Altre volte invece era un dettaglio fisico a distinguerlo, come una ferita che non si rimargina. Insomma, di eroi ce ne erano tanti, di tutti i tipi: eroi guerrieri, la cui fama è legata all’arma; eroi come Dedalo, grande architetto che insegnò agli uomini come edificare i palazzi; come Orfeo, famoso per aver provato a riportare in vita l’amata solo grazie alla soavità della sua musica, oppure come Diocle, divenuto eroe perché morto in battaglia proteggendo altruisticamente con lo scudo il ragazzo amato. Eroi, dunque, si nasce ma lo si poteva anche diventare. Una comunità poteva decidere che la tua impresa ti aveva posto al di sopra della comune misura umana e decretare per te, dopo la morte, l’eroizzazione. Oggi gli eroi non ci sono più, ma in fondo non c’erano più neanche per gli antichi Greci. Il tempo degli eroi, nell’immaginazione greca, apparteneva ad un passato alquanto remoto. Lo racconta il poeta Esiodo (VII secolo a.C.) nel suo “Le opere e i giorni”, dove elenca le diverse età che hanno scandito la storia degli uomini. La prima età, la più gioiosa, era l’Età dell’Oro: una sorta di Eden in cui non si doveva lavorare e non si soffriva. Ma la vicenda degli uomini -sosteneva Esiodo- è la storia di una lunga decadenza. Però gli dei vollero introdurre una pausa in questo declino: così, tra l’Età del Bronzo e quella del Ferro, sorse l’Età degli Eroi. A quel tempo, gli dei dell’Olimpo si mescolavano ancora con facilità agli uomini: si poteva sentire la loro voce, addirittura vederli, come presenze vive nel paesaggio del nostro mondo; era un tempo in cui era possibile scorgere Ercole al fianco della dea Atena, mentre sul campo di battaglia della guerra di Troia innumerevoli lance venivano scagliate contro il dio Ares.

Emma Fortuna 4D