La Grande Guerra 3: l’incognito lavoro delle donne

Nell’immaginario comune, quando si cita la Prima Guerra Mondiale, vengono subito in mente la prima linea del fronte, le trincee, il filo spinato, moltitudini di cadaveri e la disfatta di Caporetto, ormai proverbiale. Pochi però pensano al fronte interno, alle donne che si sono rimboccate le maniche e hanno affiancato gli uomini esonerati dal servizio attivo. Lo sforzo bellico ha effettivamente coinvolto moltissime donne. Le famiglie i cui uomini erano partiti avevano bisogno del salario che era venuto a mancare. Le donne, dunque, avevano bisogno di lavorare e i proprietari delle industrie avevano bisogno di operai. L’industria bellica per le armi e l’industria tessile, in cui già molte donne lavoravano, per le divise sono esempi di ambiti che subirono un incremento considerevole sulla mole di produzione.

Nell’ambito della produzione delle armi erano necessari operai specializzati che furono esonerati dal servizio al fronte proprio per l’importanza della produzione, ma si vide necessario assumere anche altri lavoratori: donne e ragazzi, in particolare. A questo cambiamento qualcuno si oppose, ma tutti finirono per accettarlo, soprattutto la classe industriale, che vide le donne, anche se non erano meno affidabili degli uomini, in gran parte meno specializzate, visto che mancava il tempo per istruirle sulle lavorazioni più elaborate e complesse, quindi con un salario più basso. Non tutte però erano totalmente inesperte: coloro che erano già inserite in un ambito di produzione riuscivano a spuntare una retribuzione più alta delle colleghe se non addirittura degna di quella dei colleghi, grazie alla loro esperienza.

Vista la singolarità della nuova guerra, che tutt’altro fu anziché lampo, ma di strenuo logoramento delle due parti avverse, il Governo italiano, fin dal primo anno di scontri, si attribuì poteri straordinari in caso di guerra. Vennero creati un Comitato per il rifornimento di armi e munizioni e un Sottosegretariato delle Armi e Munizioni. Di tutto questo fu affidata la direzione al generale Alfredo Dallolio. Da questo si può intuire l’intenzione di controllare tutta la produzione industriale. Si arrivò fino a dichiarare “ausiliarie” le industrie private di “interesse bellico” e militarizzare sia queste che il personale operaio, uomini e donne. Tutto ciò continuando ad assicurare ai proprietari che non era una statalizzazione dell’industria, ma soltanto che per la durata della guerra avrebbero dovuto sottostare alle direttive governative. A causa di queste necessità impellenti e imprescindibili il lavoro si protraeva anche la notte, con uomini e donne affiancati, anche in situazioni comunemente considerate sconvenienti. Per superare questi limiti morali furono nazionalmente accantonate queste rigide convenzioni per ragioni patriottiche di supporto alla stessa nazione. 

Diverso invece fu per chi lavorava in campagna. Infatti molte donne risposero alla necessità di personale nelle industrie, ma l’Italia all’epoca era ancora fondamentalmente un paese agricolo. Perciò molte famiglie si trovarono a dover sopperire alle assenze di più di 2.5 milioni di contadini. Rimanevano ad occuparsi delle terre e della produzione agricola soltanto uomini troppo avanti con gli anni per essere mobilitati, donne e bambini. La necessità di arruolare il maggior numero possibile di soldati, così, andò a scapito proprio dell’agricoltura, imponendo alle donne di sobbarcarsi molli di lavoro fino ad allora inimmaginate. Infatti, è pur vero che per i momenti più importanti come la semina e il raccolto venivano concesse licenze ai soldati, ma tutto il resto del lavoro gravava sulle spalle proprio delle donne, che si trovarono a sostituire quasi completamente gli uomini nei campi. Le necessità delle famiglie, e anche del paese, esigevano questa soluzione. Nei casi in cui la terra era in affitto o di mezzadria non solo il lavoro direttamente legato alla terra finì a gravare sulle spalle di queste donne, ma anche l’amministrazione e l’organizzazione per i pagamenti e i rapporti con amministratori e proprietari. Così come ogni piccola attività di vario genere fu mandata avanti dalle donne: le trattative, le vendite, ogni aspetto amministrativo, si aggiunsero ai tradizionali compiti di governo della casa e di gestione dei figli.

Testimonianze su questo furono raccolte fra gli anni Sessanta e Settanta da donne contadine: “Tutti i lavori che dovevano fare gli uomini li facevo anch’io. Andavo persino a sporgere i covoni, a scaricare il grano, ad aiutare a trebbiare quando veniva la macchina. Poi attorno alle bestie, sempre dietro alle bestie; prendevamo anche la zappa per andare a sarchiare il granturco, i fagioli e tutto.”

 

Di Marika Cavrini

Traduzione di Marika Cavrini

 

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The First World War: the hidden work done by women

Usually, when we talk about the First World War we think about the front first line, the foxhole, barbered wire, many dead bodies and the proverbial defeat in Caporetto. But few people think about the home front, about the women who started to work with the men who did not joined the Army. War effort actually involved many women. The families whose men were left needed missing money. So, women needed to work. But even factory owners needed something: workers. The textile industry, where many women already worked, and war industry hugely increased their production. In particular in weapons production many women were taken on, but they did not have enough time to learn difficult techniques. Specialised workers still worked in factory in particular part of production, inexperienced women were assigned to simple ones and their salaries were lower, but there were also experienced women, who was able to get a better salary. Because of the singularity of the new war, not a lightning war but a war of attrition, the Italian Government attribute itself extraordinary powers. A Committee and a State Secretary of Weapons and Ammunitions, which was under the command of General Alfredo Dallolio. This shows the intention of controlling all the production. This organisation also declared “auxiliary” private factories where weapon and ammunitions were produced and militarised all the workers, male and female. All these things were done guaranteeing that what was happening was not the State control of the industries, but they just had to respect national instructions during the war. Because of the huge needing of products workers had to work all the time, at night too. Common conventions would not have accepted that women worked  close to men, so government’s propaganda excepted factory workers from these traditions in order to not to create diseases. They were helping all the nation; it was not unseemly but patriotic spirit. 

Quite different was the situation in countryside. Many women became factory workers, but Italy was an agricultural nation jet. From countryside left more than 2,5 millions of men. Just women, the men were not allowed to join the army, and young people, remained, and this was at the expense of agricultural production, forcing women to carry out many other duties, besides the organisation of the house and children, even if licences were given in most important periods. In case of sharecropped or rented fields women had also to organise and administrate them, they had to be related to administrators or owners. It happened also in small activities, where women had to sell, to deal, to buy and carry out every duty.

Many evidences about this period and what happened during the war were given in Sixties and Seventies: “I also had to carry out every men’s duty. I had to make the ricks, to unload the wheat, to help threshing. I looked after the beast. We went weeding corns and beans by hoe.”

 

 

 

 

 

Fonti: La mobilitazione femminile nella Grande Guerra: nelle fabbriche, nelle città e nelle campagne

Fonte immagine: https://fondazioneleonardo-cdm.com/en/civilita-delle-macchine/nuove-edizioni/settembre-2020/donne-e-lavoro-cosa-ci-insegna-fondazione-ansaldo/