Il muro della vergogna

Un muro separa Israele dai territori palestinesi della Cisgiordania. La sua altezza, in alcuni punti, supera gli 8 metri ed è lungo 570 chilometri, ma il tracciato previsto arriva a 730 chilometri; al cemento armato si alternano sofisticati strumenti elettronici per il controllo del territorio circostante. Da un lato, quello israeliano, viene chiamato “barriera di separazione” o “muro salva vita”; dall’altro, quello palestinese, “muro della vergogna”, “muro dell’apartheid” e anche “muro di separazione razzista”. Israele comincia a costruire questa barriera nel 2002 per proteggersi dagli attentati terroristici, il cui numero in quegli anni aumenta drasticamente: sono 40 nel 2001 e 47 nel 2002. La decisione viene presa dopo l’attentato suicida del 9 agosto alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme, che provoca la morte di 15 persone. Secondo i palestinesi, l’ondata di violenza è una conseguenza del moltiplicarsi degli insediamenti israeliani in Cisgiordania: anche se sono stati dichiarati legittimi dalla Comunità internazionale ce ne sono più di 130 e ci vivono quasi quattrocentomila coloni. Sulla costruzione del muro Israele si appella alla legittima difesa, ma nel 2004 la Corte internazionale di giustizia ha definito illegale la barriera poiché ammette, di fatto, territori palestinesi all’interno di Israele. Il muro, infatti, si spinge per lunghi tratti oltre la linea verde che segna il confine di Israele con conseguenze drammatiche sulla vita dei palestinesi: in più punti taglia a metà paesi e proprietà, inglobando le terre più fertili e i pozzi d’acqua.

La barriera israeliana è diventata un simbolo dei tanti muri sorti nel mondo; sono comparsi i graffiti di molti, i quali hanno voluto lasciare un segno di protesta. Ha attirato anche il misterioso artista britannico Bansky: i suoi graffiti sono perfino diventati meta di turismo internazionale (per alcuni palestinesi un segnale di normalizzazione su un muro che è una dura realtà e non un passatempo per viaggiatori).

Esiste un momento nella storia in cui gli israeliani si sono trasformati, secondo molti storici, da vittime accerchiate dalle aggressioni arabe in occupanti: questo è un punto di svolta che si può identificare nella guerra del 1967, ovvero la guerra dei sei giorni. Nella cosiddetta guerra lampo Israele registra un trionfo militare clamoroso contro Egitto, Siria e Giordania; si parla di un conflitto iniziato per scopi difensivi, che si è trasformato in guerra di conquiste con l’occupazione dei territori palestinesi e centinaia di migliaia di profughi costretti a lasciare le loro case.

Carlotta Simei 5E