Intervista a Luana Ilardo e Paolo De Chiara

Due studentesse della classe quinta B, Giulia Di Paolo e Benedetta Santoro, hanno posto alcune domande a Luana Ilardo presente in collegamento all’incontro “Capaci…di non dimenticare”, tenutosi presso il Polo Liceale Mattioli sabato 18 dicembre. 

Con quali parole descriverebbe il rapporto che aveva con suo padre?
Con infinito amore. Io e i miei fratelli possiamo così descrivere il rapporto che ci legava a nostro padre. Provenendo lui da una situazione opinabile, a volte si fa fatica a comprendere l’umanità che, nel caso di mio padre, io posso sicuramente rappresentare per sempre.
Era un semplice ragazzo, un po’ più giovane di voi, che si è trovato in una situazione ”incastrata”, provenendo da un contesto sbagliato in cui è stato abbagliato da situazioni che non vanno assolutamente perseguite. Ringrazio il cielo che sia arrivato un momento della sua vita in cui lui stesso ha lasciato un messaggio importante soprattutto per i giovani, sottolineando che non c’è niente di buono né di vero dietro questi ideali sbagliati.

L’amore che provava per lui è cambiato quando ha scoperto le sue azioni malavitose?
Sarei poco onesta a dire che era cambiato. No. Io da figlia piccola, ho avuto un padre che ha sempre dispensato amore infinito e, per quanto possa sembrare assurdo, anche dei valori importanti per la crescita mia e dei miei fratelli. Da figlia l’ho sempre amato incondizionatamente. E’ certo che avrei preferito che lui avesse avuto un altro passato, però sono scelte che distruggono la vita di qualsiasi essere umano e di tutte quelle persone che lo circondano, anche a livello famigliare. C’è stato fino alla fine il peggiore degli epiloghi che potesse esserci, conclusosi con la sua brutale morte.

E’ riuscita ad accettare le cose negative che ha fatto?
Crescendo ti accorgi che siamo tutti sotto questo cielo. Questo non giustifica le sue azioni, però arriva un momento in cui comprendi che la scelta di redimersi fa la differenza, soprattutto quando la redenzione è reale, onesta, sincera, fatta di tante lacrime e delle tante testimonianze che ha lasciato, oltre che di suoi momenti intimi in cui ha confessato, attraverso delle lettere indirizzate a me e alla mia famiglia, che è stato il più grande pentimento della sua vita. Ha lasciato degli scritti che hanno fatto sì che tante persone, oltre la sua famiglia, gli abbiano concesso quel perdono che lui meritava e chiedeva con tanta umiltà. Inoltre la sua seconda vita, quella che ha deciso di sposare, è stata un’ulteriore conferma del fatto che non solo ha sbagliato e pagato ma ha anche cercato di recuperare tutti gli errori da lui fatti, mettendosi a disposizione dello Stato, a disposizione della legalità. E’ andato incontro alla morte, sapeva il prezzo che avrebbe pagato a causa delle rivelazioni importanti che questa Nazione cerca da anni e che nessuno era mai riuscito a scardinare così come stava facendo lui. Dunque, credo che sia doveroso da parte mia e forse un po’ da parte di tutti dargli quel perdono che lui si è guadagnato.


In quale occasione ha capito che era necessario intervenire per ristabilire la memoria di suo padre?
L’ho sempre pensato dal giorno in cui è morto. Ho avuto la possibilità di avere risposte in merito alla sua morte, grazie anche alla storia che è emersa e alla verità che delle brave persone, come il colonnello Riccio e il dottor Nino Di Matteo, mi hanno fatto ottenere.
Lui voleva andare oltre e se gli avessero permesso di continuare la collaborazione sarebbe stato un beneficio per me come figlia e per tutta l’Italia.

 


Luigi Molino, alunno della classe quinta B, ha posto delle domande a Paolo De Chiara, giornalista investigativo.

Dato che lei è un giornalista investigativo, si è mai trovato a stretto contatto con i membri della criminalità organizzata?
Sì, per questioni lavorative ho conosciuto dei collaboratori della criminalità, tra cui un rappresentante della ‘Ndrangheta. Non dobbiamo immaginarci queste persone come diverse da noi. Sono persone normalissime che nella loro vita hanno fatto una scelta, seppur per ragioni contestabili: è importante parlare con loro. Ad esempio, se grazie alle dichiarazioni di Luigi Ilardo, fosse stato arrestato Bernardo Provenzano in quel casolare in cui ”mangiava la ricotta”, come ci hanno voluto far capire, forse non staremmo qui a parlare di altre vittime come Attilo Manca. Lui, urologo siciliano, operò Bernardo Provenzano a Marsiglia e fu ammazzato proprio in questo paese perché non aveva riconosciuto quel soggetto latitante.
I collaboratori di giustizia in questo paese sono necessari, indipendentemente dal caso della scarcerazione di Brusca (colui che aveva premuto il tasto del telecomando nella strage di Capaci, lo stesso che scioglieva i ragazzini nell’acido), perché permettono agli inquirenti di entrare all’interno delle organizzazioni criminali.

Essendo a conoscenza dei rischi che corre con il suo lavoro, ha mai avuto paura di mettere a repentaglio la vita dei suoi cari e di chi la circonda?
Per quanto riguarda i rischi, può averli chiunque: dirigenti scolastici, professori, onorevoli, gli attivisti, i giornalisti. E’ un problema che riguarda tutti coloro che la pensano diversamente.
Quindi dobbiamo decidere noi stessi cosa vogliamo fare, sapendo che per ogni nostra attività ci sono dei rischi. Dobbiamo andare fino in fondo, costi quel che costi.

Di Maria Chiara Stefano