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Anacronismi della pena di morte. il punto di vista di Giulia Niceforo

Il tema della pena di morte suscita ancora oggi numerosi ed irrisolti interrogativi, in considerazione degli innumerevoli aspetti di natura etica, sociale e filosofica che la problematica coinvolge.
Nonostante nel tempo moltissimi paesi abbiano abolito l’istituto, al giorno d’oggi non presente nei paesi dell’Europa occidentale, la pena di morte è ancora vigente in numerose e popolosissime nazioni, non solo in sistemi ancora non pienamente liberali (si pensi, solo a titolo esemplificativo alla Cina o a diversi paesi arabi) ma anche in nazioni considerate esempi di democrazia, come nel caso più evidente e controverso, gli Stati Uniti, dove tale istituto è ancora presente in diversi degli Stati che compongono la federazione.
Il calo significativo riscontrato nell’applicazione di questa pratica giudiziaria è dovuto principalmente, secondo un rapporto dell’associazione Amnesty International, ad una considerevole diminuzione di esecuzioni attuate in Iraq e in Arabia Saudita (circa il 26%).
In altri paesi, come l’Egitto ed anche gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, si è, invece, però verificato un progressivo aumento del numero di condannati a morte, pratica diventata, se possibile, ancora più crudele data la proibizione al detenuto di poter incontrare i propri cari prima dell’inevitabile sedia elettrica, metodo tutt’oggi in vigore che provoca l’immediato arresto cardiaco e paralisi respiratoria.
Se, naturalmente, nei regimi totalitari la discussione non trova modo di emergere pubblicamente, negli Stati Uniti molti giuristi si sono schierati contro la pena capitale, ancorché la pratica sia stata approvata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. A sostegno di questo movimento vi è in anche il giudice associato della corte suprema degli Stati Uniti, Stephen Breyer, il quale ha recentemente affermato che un sistema moderno deve essere ragionevolmente accurato, giusto, umano e tempestivo. La nostra recente esperienza con la scelta del governo federale di riprendere le esecuzioni conferma che la pena di morte non può essere conciliata con questi valori.
Molteplici e di svariata natura (religiosi, etici, sociali, ecc.) sono gli argomenti a sfavore dell’istituto, in primo luogo la considerazione che nessuno, neanche lo stato, ha il potere di disporre legittimamente della vita dell’individuo cui si aggiungono una serie di ulteriori rilievi quali, solo per citarne alcuni, quelli secondo cui la pena deve tendenzialmente svolgere anche una funzione rieducativa e di reinserimento sociale del condannato, nonché la possibilità sempre esistente dell’errore giudiziario.

A superare tali argomenti non è sufficiente neanche la funzione deterrente dell’istituto, da sempre utilizzata dai suoi sostenitori, viceversa confutata dalle statistiche criminali, le quali smentiscono l’opinione secondo cui l’esistenza della pena di morte costituirebbe un freno ed un valido limite al proliferare dei reati in relazione ai quali la stessa è prevista. Da qui, l’auspicio che tale istituto, inutile e crudele, trovi universale abolizione, restando solo ricordo di ordinamenti appartenenti al passato non più compatibili con i valori delle moderne società.

Giulia Niceforo, III A