Lavoro minorile: una delle piaghe del nostro Paese

 

 

Secondo gli ultimi dati di Save The Children, ci sono circa 260.000 lavoratori con un’età inferiore ai 16 anni, limite di età imposto dallo stato italiano per svolgere alcuni lavori. L’età in cui maggiormente i minori vengono  a contatto con esperienze lavorative è quella compresa tra 13 e i 16 anni.

L’età dei ragazzi che vengono a contatto con il lavoro coincide perfettamente con l’età in cui c’è più dispersione scolastica, cioè l’abbandono delle attività scolastiche. I dati più preoccupanti sono quelli dei paesi del Sud Italia, tra tutti Campania, Puglia, Calabria Sardegna e Sicilia. È circa il 20% dei ragazzi che abbandona la scuola. Circa l’80% lavora saltuariamente con un guadagno minimo. Il fenomeno del lavoro minorile è strettamente legato a quello dello sfruttamento.

Come dimostra un articolo di Roberto Saviano pubblicato su  “La Repubblica” tutt’oggi i minori sono sfruttati dalle grandi aziende per produrre capi sartoriali di prima qualità. “Lo sfruttamento è la regola dentro garage e laboratori. Ancora oggi l’eccellenza italiana viene prodotta qui” è così che apre il suo articolo lo scrittore napoletano.

I lavoratori, spesso in nero, sono costretti a lavoro in scantinati o in sottoscala per nemmeno €3 l’ora. In questo grande business, com’è ovvio che sia, ci sono le mani delle organizzazioni criminali che sfruttano la necessità e le debolezze delle persone a loro favore. I lavoratori spesso sono anche immigrati, soprattutto dai paesi dell’Est Europa e Pakistan. Queste sono definite “Fabbriche invisibili” dalla sociologa Sandra Toffanin, anche se tanto invisibili non sono. Sono molteplici i sequestri e le retate a discapito di queste “aziende”, tutti sanno, nessuno parla.

“Il lavoro italiano schiavizzato è stato totalmente rimosso dal dibattito pubblico sovranista perché andrebbe a smontare il suo principale cavallo di battaglia ideologico, svelando che non sono gli immigrati clandestini che arrivano in Italia a far abbassare il prezzo del lavoro e quindi a reintrodurre la schiavitù. Da più di cinquant’anni in molte zone del Meridione d’Italia (ma anche in Veneto) esiste un sistematico sfruttamento della manodopera di qualità da parte di tutto il sistema della moda, ma nonostante articoli, reportage, denunce e impegno dei sindacati, non si riesce in alcun modo a mutare la situazione.” Queste sono le parole di Saviano in merito a questa situazione. Quando vengono alla luce storie del genere, emerge solo il nome dell’azienda produttrice, ma restano segreti i nomi dei marchi per cui lavorava. Perché l’alta moda non viene coinvolta nei processi fatti ai laboratori?

Il populismo tace per convenienza, i riformisti temono di far scappare le aziende, quindi i salari, quindi i voti.

Gennaro Arcella, III C