La dignità delle vittime della strada

Ed ecco l’altro scritto risultato vincitore, insieme a quello di Simone Arrigo, al concorso “Salviamoci la vita” 2022-23 che ha visto protagonisti gli alunni delle classi quarte del Secondo Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta. Questa volta è stata la penna di Samuele Callari della classe IV BL ad averci conquistati ed emozionati.

Forse se la ferita fosse già rimarginata sarebbe più facile affrontare questo argomento. Forse se Claudia non avesse due stelle al posto degli occhi, se Peppe non fosse l’amico di tante serate, se Piero non avesse un volto o Martina non la incontrassi tutti i giorni per andare a scuola lì, fissa eternamente nei suoi pochi anni, sarebbe più semplice. Forse se non avessi visto le loro madri piangere o non avessi sentito le parole di un padre sull’altare di una chiesa che è diventato un pulpito da cui predicare amore, da cui mostrare cosa resta. Nulla, non resta niente se non la sensazione di qualcosa che si spezza, che rimane muta senza poter gridare tutto il dolore di tutte le madri del mondo. Augusta conosce troppo bene questo dolore e troppo spesso lo vedi inciso sui volti di chi ha conosciuto, di chi ha cresciuto, di chi ha amato le vite che la strada ha inghiottito. Fermandoci a pensare alla strada come ad un mostro dalle fauci aperte, però, facciamo un gioco facile, ma facile da perderci la vita. La strada è un elemento che per sua definizione comporta pericolo, ha il pericolo come caratteristica intrinseca, ma è come la percorriamo che determina il rischio. Sono due concetti diversi dei quali è difficile tracciare i confini, ma sono distinti. Mentre il pericolo appartiene alla natura e alla funzione di un oggetto o di un elemento che ha il potenziale di causare un danno, il rischio è la probabilità con cui è possibile che accada qualcosa in grado di provocare un danno. Il rischio quindi, anche se non possiamo mai completamente azzerarlo, possiamo attenuarne la percentuale attraverso i nostri comportamenti. Ci sono molti dispositivi che possiamo far rientrare nell’ambito della protezione: mezzi e reti stradali sempre più sicure e tecnologicamente avanzate ci possono aiutare a limitare i danni possibili, ma solo la prevenzione può aiutarci a ridurre i rischi. Indossare una cintura di sicurezza o un casco  non ci aiuta a prevenire, serve a limitare l’entità del danno in caso di incidente. Ciò che davvero serve a diminuire la frequenza o la gravità di un incidente è l’adozione di comportamenti corretti, il rispetto del codice della strada, della regola, delle normative concepite per la tutela collettiva. Educare, fin da bambini, alla prevenzione ci aiuta anche ad avere una più corretta percezione del rischio, che com’è noto spesso dipende da fattori socio-economici. Molti studi, infatti, sulla percezione del rischio arrivano a considerare variabili socioeconomiche e persino il sesso e l’età come elementi determinanti. Per questi motivi una educazione stradale può essere utile fin dalla giovinezza, a riflettere sui nostri comportamenti alla guida. Nel nostro paese, poco più che bambini, si è autorizzati a guidare dei ciclomotori e non è necessario ricordare che è proprio in quel periodo che ogni individuo sperimenta i rischi della strada, mentre la sua mente si culla in una forma di onnipotenza che  fa credere di essere immuni. Persino alla morte. A dire il vero non aiuta nemmeno l’esempio di molti adulti, che sull’onda di un pensiero ottusamente positivo guidano anche se hanno fatto uso di alcool o stupefacenti. I notiziari sono pieni di storie del genere, quindi non è corretto confinare questo problema ad una fascia d’età ma è opportuno lavorare su una maggiore consapevolezza. La legislazione italiana ha cercato di dare risposte concrete introducendo il reato di omicidio stradale. Questa espressione fu usata per la prima volta da Lorenzo Borselli padre di un ragazzo ucciso in un incidente stradale. L’articolo 589 bis del Codice penale è molto chiaro: chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con la violazione di una norma sulla disciplina stradale o perché guida sotto effetto di alcol o droga è punibile con una pena detentiva che può arrivare fino ai 18 anni. In Europa le pene sono anche amministrative e in alcuni paesi sono previste anche prove psicoattitudinali durante la carriera da guidatore, ciò testimonia come un mezzo di locomozione sia in un certo senso un’arma da maneggiare con cura e di cui regolamentare l’utilizzo. La legge sull’omicidio stradale non nasce dall’esigenza di una vendetta dei familiari delle vittime, non ha come presupposto nemmeno un risarcimento, perché tutti sappiamo che nulla può risarcire un’assenza, niente ricuce lo strappo di una voce che non sentirai mai più, ma restituisce lo status di vittime a chi non può più parlare. Mentre prima una persona morta per un incidente era solo lo sfortunato protagonista uscito di scena troppo in fretta, adesso chi ne cagiona la morte, le circostanze, sono oggetto di indagini che se non restituiscono, quantomeno stabiliscono le responsabilità. Vengono richiesti un cambiamento di mentalità, pene severe, patenti a cui decurtare il rischio, quindi, in modo da tenere sempre alta l’attenzione, non abbassare l’asticella perché in ballo c’è la vita. Anche il lessico fa la sua parte: “vittima di un omicidio stradale” ha un significato ben diverso da “vittima di incidente stradale” perché al netto del carattere improvviso e inevitabile di un incidente ci sono le colpe di chi lo provoca. Non c’è giustizialismo in questo, c’è giustizia, è un richiamo forte, imperativo, alla responsabilità di ognuno. Perché se uccido una persona a causa di un’inversione di marcia, se passo con il rosso, se dopo una serata bevo e mi metto al volante, se mi lascio distrarre da un messaggio, sconterò la mia pena nella stessa cella di chi ha premuto un grilletto o ha trafitto con una lama. Controllo e monitoraggio sono chiamati a fare la loro parte e le pattuglie in strada diventano amiche di quel genitore che aspetta a casa e di quel figlio che ha il diritto di tornarci a casa. Il luogo di un incidente è potenzialmente il luogo di un crimine. Forse se tutto questo, fra qualche anno, comporterà una riduzione degli eventi drammatici, potremo dire tutti di aver fatto un passo in più verso la civiltà. Sappiamo tutti che il sorriso di Claudia non tornerà,  che non potrò incontrare Peppe fuori dal Ruiz, però è possibile che domani non sia io il padre che sul pulpito di una chiesa debba piangere mio figlio davanti a una platea di giovani ammutoliti ma pronti a tornare a scorrazzare per le strade. Perché si sa, la giovinezza è bella, ma solo se puoi ricordarla e non sei caduto nelle fauci della strada che tu stesso delle volte hai tenuto aperte.  

A discapito dei miei tanti errori un giorno ci rivedremo. Anche se in cielo.

Samuele Callari IV BL