La Casa dello Studente: la verità che ignoriamo.

Visita al Sotterraneo dei tormenti di Corso Gastaldi, per non dimenticare.

Di Vittoria Gandolfo, 2B

Shoah, olocausto, campi di concentramento.

Partigiani, deportazioni, rastrellamenti.

Sembrano tutte parole così lontane dalla nostra realtà, dalla nostra  città, dalla nostra vita, sembrano parole da libri di scuola: ma se fossero più vicine a noi di quanto pensiamo?

Dedica a Stefanina Moro, staffetta partigiana morta a 16 anni per le torture subite nei sotterranei della Casa dello Studente.

Ogni Genovese conosce ed è passato davanti alla Casa dello Studente, che a tutti è nota come convitto per studenti fuori sede dell’Università di Genova: infatti era proprio questo lo scopo iniziale, quando l’edificio è stato costruito nel 1933.

Forse, però, non molti sanno del fine a cui è stata adibita durante la Seconda Guerra Mondiale.

L’edificio che tutti noi siamo abituati a vedere era, infatti, la sede delle prigioni di SS e Gestapo, comandata da Friedrich Engel, detto “Il boia di Genova”.

Ad oggi, infatti, la “Casa dello Studente” è situata in Corso Gastaldi, la strada intitolata al partigiano Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”, ma fino al dopoguerra il nome della via era “Corso Giulio Cesare”.

Alcuni dei nomi delle persone vittime delle atrocità di cui l’edificio è stato teatro sono Vannuccio Faralli (successivamente sarebbe diventato il primo sindaco di Genova nell’immediato dopoguerra) e Stefanina Moro, staffetta partigiana.

L’orrore di cui sono pregni i muri di quell’edificio è stato portato alla luce, però, solo negli anni ’70, da un gruppo di studenti internazionalisti, ventisette anni dopo la muratura e la “rimozione” di tutto ciò che riguardava le atrocità avvenute.

Targa dedicata a Rudolf Seiffert

Ma perché così tardi? Negli anni successivi alla Liberazione si è voluto dimenticare, rimuovere, pensare al presente e non al passato.

Certamente era scomodo ricordare le SS e la Gestapo che torturano persone innocenti: forse significava fare i conti con una pagina della storia della città, che bruciava ancora troppo. Genova si è distinta durante la Seconda Guerra Mondiale ed è stata insignita della Medaglia d’oro al valor militare per il suo impegno durante la Resistenza. Ma i reati orribili commessi tra quelle mura sono stati addirittura coperti con delle semplici piastrelle e le celle trasformate in magazzini.

Giovedì 20 aprile, in occasione dell’imminente Festa della Liberazione, le classi 2B e 2H del Liceo D’Oria si sono recate a visitare proprio questo lato poco conosciuto della Casa dello Studente, inaugurata nuovamente nel 2008 dopo tre anni di ristrutturazioni.

Come prima parte della visita, le due classi hanno avuto l’occasione di osservare e toccare con mano quattro “cellette”, proprio di fianco alla mensa del convitto: esse sono, quindi al livello del mare, motivo per cui le torture avvenute in questo luogo potevano essere percepite anche dall’esterno, a causa delle urla delle vittime.

All’interno di esse si notano ancora delle scritte o delle incisioni lasciate dai prigionieri, che sfortunatamente non sono completamente leggibili a causa del successivo rivestimento in piastrelle che, staccate dagli studenti, avevano inevitabilmente portato via un po’ di ciò che era scritto su quei muri.

Via dedicata al partigiano Walter Fillak

Successivamente la visita si è spostata nei sotterranei, teatro delle torture più barbare, che non potevano essere udite dall’esterno. Ma perché fare in modo che alcune torture fossero percepibili fin dalla strada e altre no? La risposta è molto semplice.

Era bene che i cittadini sapessero a cosa si andava incontro trasgredendo alle regole, ma di certo non si poteva far sapere che queste orribili torture venivano inflitte anche al vicino di casa, al panettiere del quartiere o all’amico d’infanzia. Era meglio che le persone non fossero completamente a conoscenza dell’entità delle sofferenze, e soprattutto del fatto che tutti, anche loro stessi e le loro famiglie, potessero essere potenziali “criminali”     

Lettera originale di Rudolf Seiffert, a destra la targa dedicata a Walter Fillak nel sotterraneo

Il sotterraneo, detto “sotterraneo dei tormenti” ad oggi si presenta come uno stretto e umido corridoio, che sfocia in una galleria dalle pareti adornate da pannelli riportanti lettere di condannati a morte. 

 Questo “museo permanente” è stato dedicato dagli studenti a Rudolf Seiffert,  operaio internazionalista della “Wemer Werke Siemens”, per rendere onore  “a un tedesco nella casa di tortura dei tedeschi”.

 Gli studenti, negli anni ’70 inoltre sono anche rimasti estremamente colpiti dalla lettera che   l’uomo aveva scritto alla moglie (riportata insieme alla lettere di un altro condannato, Walter Fillak), altro motivo per cui hanno scelto di dedicare questo museo proprio a lui.

Successivamente, le classi hanno assistito a una conferenza tenuta dal professor Francesco de Nicola, riguardante il tema della  resistenza partigiana in ambito letterario.

Il professore, partendo da Il Politecnico di Vittorini, di cui ha fatto vedere agli studenti uno dei primi numeri,   ha anche citato e letto alcuni passi di libri, molti dei quali davvero noti, tra cui “Primavera di Bellezza” e “Una questione privata” di Beppe Fenoglio e  “Il sentiero dei nidi di ragno”, di Italo Calvino, e ancora “L’Agnese va a morire”, “Il partigiano Johnny” e “Uomini e no”

De Nicola ha evidenziato in riferimento a quest’ultimo il richiamo a “Uomini e topi”, di Steinbeck, con cui Elio Vittorini, l’autore, vuole esplicitare quella che secondo lui è la differenza tra chi si comporta come un uomo e chi come un topo.

Ha poi citato un libro forse meno noto, ma non per questo meno bello e importante, Bandiera bianca a Cefalonia di Marcello Venturi, che  racconta il primo episodio di eroica resistenza italiana avvenuto nell’Isola di Cefalonia, all’indomani dell’armistizio.

 

Una persona normalissima che partecipa alla storia del suo presente

Questa la definizione che durante la conferenza Giacomo Lertora, la nostra guida nella visita, ha fornito a proposito dei partigiani, spiegando anche come non siano necessarie “le ragnatele ai polsi o il martello degli dei”. Quest’ultima è un’osservazione davvero interessante, in quanto spesso si pensa di non poter fare la differenza perché, magari, troppo giovani o troppo poco rilevanti. Tuttavia, tutti i partigiani che sono riusciti, davvero, a fare la differenza, erano solo ragazzi, probabilmente neanche abbienti: grazie a loro Genova ora è medaglia d’oro al valor militare. Nonostante tutto quello che è successo nei sotterranei di quell’edificio, se ci fosse stato anche solo un solo partigiano a opporsi a quel regime, sarebbe stato motivo di orgoglio.

Durante la spiegazione del professore De Nicola, si è anche parlato di alcune testimonianze di persona che all’epoca dei fatti erano bambini o ragazzi e ricordano che i loro  genitori  passavano velocemente davanti alla Casa dello Studente, o che li tenevano lontani dalle finestre quando sentivano le urla dei condannati. Anna Ponte, nata nel 1919 e catturata nel 1944  con l’accusa di aver portato un cestino di tagliatelle ai partigiani della cascina Menta, è stata imprigionata e torturata per 59 giorni. Anna Ponte ha dovuto trascorrere cinque giorni alla Casa dello Studente, costretta in piedi in una cella umida e fredda, per poi trovarsi ad affrontare altri 54 giorni di prigionia al carcere di Marassi. Sfortunatamente la signora si è spenta il 29 luglio 2020.  La sua storia è raccontata nel libro “Due storie partigiane” di Gianni Repetto.

Successivamente, ho anche avuto l’occasione di intervistare Giacomo Lertora, la nostra guida durante questa visita, storico e volontario per il Centro di Documentazione Logos, associazione impegnata sul fronte della divulgazione scientifica e culturale e nell’offerta di occasioni di confronto, approfondimento e dibattito, come le visite alla Casa dello studente o il Darwin Day.

Da quanto tempo si occupa di queste visite? Qual è stato il suo percorso di studi?

Ho fatto il classico anch’io, e sono un dottore in storia: ho iniziato quando ero in quarta o quinta superiore, quindi da circa quindici anni. Naturalmente all’inizio non mi occupavo di svolgere vere e proprie visite guidate, ma aiutavo, ascoltavo, studiavo e approfondivo. 

Ha mai incontrato delle difficoltà durante il suo percorso?

Più che difficoltà, in realtà, è sempre un piacere: guidare questo tipo di visite per me è importante. Non è solo un pezzo di storia, ma un momento di coinvolgimento e partecipazione in quello che riguarda noi, il nostro passato e il nostro futuro, per cui il partigiano ha compiuto una scelta. 

Non ho mai incontrato grandi difficoltà, a parte la quantità di studio: non incontro solitamente persone scontente di quello che vedono. C’è sempre un grande ritorno, dal momento che si riesce a rendere le persone partecipi di qualcosa di così grande.

Di cos’altro si occupa?

Questo è solo volontariato, il mio lavoro è quello del ricercatore storico, ma penso che sia molto importante fare anche qualcosa di questo tipo: non si parla solo di resistenza, per esempio abbiamo anche organizzato una mostra sulla guerra civile di Spagna. Il volontariato è importante perché non si dovrebbe vivere solo in qualità di singolo individuo, per due motivi principali: prima di tutto perché nessuno è da solo, nessuno ce la può fare da solo, inoltre perché vivendo solo in funzione della propria persona non si riuscirà mai a guardare più in là di se stessi.

Cosa consiglia a chi è interessato a impegnarsi in questa attività? Si può contattare qualcuno?

A chi vuole farlo, consiglio di farlo: consiglio di non pensare troppo, semplicemente di provare, leggere, studiare, approfondire.

Come contatto si può scrivere una mail (centrodocumentazionelogos@gmail.com), o comunque rivolgersi ad una delle molte associazioni impegnate in campo storico e culturale simili a Logos.