DIETRO LA PORTA DEI SOGNI

Vai avanti. Cammina. Corri. Corri più che puoi. Impegnati. C’è chi corre più forte di te. Fermati. Respira e riparti. Non hai tempo per riposare. Corri più veloce finché non sei arrivato e poi continua ancora di più, sempre di più.” Questo era quello che pensavo quando mi trovavo in quel buio corridoio tra tutte quelle porte, tutte quelle scelte. La scuola, la società, i “grandi” spesso ti portano a pensare che se non sei il migliore in tutto sei un fallito, e un fallito quali porte può aprire?

Ero così confusa, e vagando nell’indecisione decisi aprire la prima porta che vidi ed entrare. Era una porta davvero piccina, un po’ trasandata e impolverata come se non fosse stata usata per anni. Aveva una decorazione caratterizzata da arcobaleni e fiori, e sembrava quasi fosse stata decorata da una bambina. Feci un po’ di fatica ad entrare, ma poi ci riuscii. Dentro vidi la me stessa del futuro che operava un bambino malato per una malattia letale. Aveva una precisione e una cura nei modi di fare che sentivo essermi familiare. La guardai durante tutto l’intervento e nei momenti successivi, scoprii che lei era il medico più rinomato del momento, che aveva salvato tante vite e che aveva ancora tanta voglia di continuare. Guardando in giro compresi che in quel momento circolava un’infezione ancora non molto conosciuta, e che quindi, ero un medico in prima linea. La guardai con ammirazione e rispetto, ma vedevo in lei qualcosa che non mi apparteneva più, che non sentivo più parte di me. Quindi decisi di riaprire la stessa porta da cui ero entrata per uscire.

Ritornai in quel buio corridoio con un po’ di sicurezza in più. Continuai a camminare quando mi imbattei in una nuova porta. Notai che questa era stata usata pochissimo, tanto da essere quasi nuova. Era grande, e dipinta da un solo strato di un colore tenue che faceva pensare che non vi fosse stato sprecato molto tempo per realizzarla o mantenerla. Dentro vidi me stessa con qualche ruga in più che curavo gli animali della mia clinica. Quello che mi colpì fu lo sguardo profondo e dolce pieno d’amore con cui guardavo  tutti quei cuccioli. Quella me si sentiva responsabile per quelle piccole vite che soffrivano a causa dell’operato dell’uomo che, incurante del mondo, rovinava la casa di tantissime creature. Purtroppo però sentivo che quella non era a pieno la versione di me che volevo essere, che non era il mio posto. Uscii lasciandomi la porta alle spalle. Iniziai a correre di nuovo. Mi sentivo in ritardo per non aver trovato ancora la porta giusta, quindi corsi, corsi fino a perdere il fiato.

Arrivai in una nuova porta. Questa era di medie dimensioni, colorata di nero. Aveva uno stile molto classico e sembrava quasi che fosse stata curata nei dettagli per poi essere abbandonare. Entrai e mi vidi vestita da quel verde militare che una volta indossato, si scorda con difficoltà. Mi vidi al fronte combattere una guerra che non era mia. Purtroppo questa versione di me la sentivo distante, forse troppo. Compresi presto che quella vita, per quanto potesse risultare degna di ammirazione, mi faceva troppa paura. E se non fossi stata all’altezza delle aspettative? E se il mio carattere talvolta troppo insicuro non mi avesse permesso di svolgere a pieno le mie funzioni? Mi voltai e chiusi quella porta con un po’ di amaro in bocca. Continuai a camminare finché vidi una nuova porta. Questa era più grande rispetto alla precedente, più imponente e di un rosso mattone perfettamente steso in ogni sua parte. Entrando vidi la me stessa del futuro che lottava in aula per difendere i diritti di chi non poteva farlo da solo. In particolare, mi vidi mentre difendevo una ragazza vittima di revenge porn.

Di una bambina che aveva subito qualcosa che non meritava. La vista di questa scena accese un fuoco dentro di me che era ardente grazie alle parole che sentivo. Appresi che questa poteva sicuramente essere una valida opzione per me, ma sentivo ancora come se mi mancasse una parte. Come se avessi smarrito quell’ultimo pezzo del puzzle che lo rende completo. Decisi quindi di non demordere e di continuare a cercare, cercando di tenere a mente le sensazioni che avevo vissuto. Uscii dalla porta e iniziai a camminare. Arrivai cosi d’innanzi ad un’altra porta. Questa era molto diversa dalle altre per diversi aspetti. Era molto più grande, più semplice e colorata di quei colori che ricordano la gioia, il sole e il mare. Notai inoltre che questa era ancora aperta. Anche questa sembrava un po’ malconcia, ma la sua usura derivava sicuramente dal fatto che era stata utilizzata troppe volte. La spinsi ed entrai. Vidi la me stessa del futuro in Africa mentre faceva la missionaria con il ruolo di psicologa. La osservai meticolosamente nel corso della sua giornata. Stavolta non provavo solo rispetto o ammirazione per lei, ma anche curiosità, impazienza. Capii che probabilmente mi trovavo nel luogo giusto, nel luogo in cui mi sentivo appagata, completa. Senza pensarci troppo uscii dalla porta saltando per la gioia.

Una volta uscita però la domanda nacque spontanea: e adesso? Come farò ad arrivare al mio obiettivo? Sarò in grado di farlo? Caddi a terra in lacrime finché alzai lo sguardo e la vidi da lontano. All’inizio pensai di averla immaginata quindi strizzai gli occhi un paio di volte, ma lei era ancora lì. Le corsi incontro per parlarle. Ero io. O meglio, la me stessa del passato. Indossavo ancora quei pantaloncini verdi che mia mamma mi faceva portare e quel cerchietto con il fiocco da cui non mi separavo per nulla al mondo. Fu grazie a lei che ricordai la cosa più importante di tutte: il futuro, i sogni, non sono tappe da conquistare, ma momenti da vivere. Tutti dovremmo fermarci a pensare al nostro futuro senza ansie e preoccupazioni, sognando come facevamo da bambini. Vivendolo come facevamo da bambini. E se neanche una pandemia, una guerra o la crisi climatica possono portarci via il diritto di sognare di avere un futuro che sia degno di essere vissuto, perché dovrebbero farlo le nostre paure? 

 Giulia Ranno 4BL