QUANDO LA MORTE DIVENTA VITA

Con parole semplici ma piene di sensibilità, Elisa Caramagno, alunna della classe IV QL del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale del Secondo Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta, ha toccato il cuore, in ogni senso, dei suoi lettori, aggiudicandosi anche la vittoria al concorso intitolato a Nicholas Green. 

Nella mia vita precedente ricordo di essere stato un organo in piena forma, attivo, sano, pieno di vita. Battevo ormai da una trentina d’anni, vivevo nella pacifica e stabile vita di Marco, un uomo vivace, nel fiore dei suoi anni. Amavo essere il suo cuore, la sua forza motrice. Ricordo le passeggiate per il parco il pomeriggio, quando non faceva troppo caldo, l’adrenalina delle corse in moto, il nuoto tre volte a settimana, le serate con gli amici e i weekend in famiglia.  Poi tutto finì. Fu una casualità, il solito incidente stradale, sempre quando meno te lo aspetti. Una piccola distrazione bastò per scaraventarci a terra. La morte contava i minuti, io e Marco la aspettavamo stesi sul cemento di un’autostrada, accecati da mille luci di macchine e ambulanze. Eppure io continuavo a battere, doveva esserci un modo per salvarci.

Mi ritrovai in una sala operatoria, avevo salutato Marco da un po’, non c’era stato tempo per salvarlo. Mi dispiaceva se ne fosse andato così, mentre io ero lì, inerme, ad aspettare paziente la mia fine. Mi sentivo così inutile, non servivo più a niente, ero il residuo inutilizzato di una vita persa, finita. Non avrei mai più corso per kilometri la domenica mattina, o raggiunto le profondità del mare per poi tornare a galla, euforico e senza fiato. Che dire degli amici, delle feste, dell’amore? Ripensai a tutte le avventure, tutte le emozioni che non avrei più sperimentato. È così difficile staccarsi dalla vita, rinunciare alle sue infinite possibilità. Ben presto mi rassegnai alla prospettiva di deteriorarmi in una semplice bara.

Ad un certo punto però, cominciai a sentire delle voci, erano i medici attorno a me, parlavano di speranza, di seconda occasione, seconda vita, proprio quello che cercavo io! Venni a sapere che il mio caro Marco aveva acconsentito proprio qualche mese prima alla donazione dei suoi organi, un gesto spontaneo, solidale. Mi piace credere che quel giorno ci fosse stato anche lui, accanto al suo corpo senza vita, ad ascoltare i medici, testimone della sua morte ma anche della sua rinascita, consapevole che una parte di lui avrebbe continuato a vivere. Credo non esista modo migliore per allontanarsi in pace. 

Donazione, speranza, rinascita, parole che si ripetevano intorno a me, che mi davano vita. I medici parlavano di me come l’ultima risorsa per una certa Giulia, una ragazza in fin di vita, aveva bisogno di un cuore al più presto. Io ero pronto, non aspettavo altro. Ero grato, grato a Marco, grato ai medici e a chiunque avesse divulgato la possibilità di questo magnifico gesto. Erano loro quelli pronti a dare una seconda vita a me e a quella ragazza, una doppia occasione di rinascita.

Mi asportarono, venni colpito dall’intensa luce della lampada della sala e mi ritrovai per la prima volta lontano dal mio posto sicuro, allo scoperto.  Quell’operazione sembrava impossibile, ma in men che non si dica stavo già battendo in un nuovo corpo, quello di Giulia, un corpo giovane, nuovo e sconosciuto. Ricordo la sua gioia al risveglio, alla consapevolezza di avere un cuore nuovo, sano, un cuore che batteva al ritmo giusto, un cuore, ai suoi occhi, perfetto. Le settimane in ospedale passavano veloci, scandite dal continuo andirivieni di parenti e amici. Le prime grandi emozioni scoppiarono tutte lì: l’abbraccio della mamma, intenso e vitale, il bacio sulla fronte del papà e le prime risate con le amiche. Percepivo la felicità, la leggerezza dell’ambiente, la consapevolezza dei presenti di non doversi più preoccupare per il battito di un cuore, ma di poter finalmente godere di esso.

All’inizio fu strano adattarsi a tutte quelle novità, più complicato del previsto. I medici parlavano di pericoli e difficoltà, complicazioni e imprevisti erano sempre dietro l’angolo, ma io e Giulia sapevamo di potercela fare, eravamo entrambi determinati a sfruttare quell’occasione, a non renderla vana. Giulia non si preoccupò più di sopravvivere, tornò invece a vivere. Insieme iniziammo a correre di nuovo, un passo alla volta, a viaggiare, sempre con prudenza, a ridere, a sognare, a piangere, semplicemente a godere della vita. Provai nuovamente emozioni che sembravano ormai lontane il giorno dell’incidente e ne conobbi delle nuove. Ero presente al primo bacio di Giulia, quando il mio battito accelerò frenetico. Ero presente alla sua prima grande delusione, uno di quegli eventi che sembrano davvero poterti “spezzare il cuore”. Ero presente anche il giorno della sua laurea, un’esplosione di gioia per entrambi. Ripenso spesso a quello che è successo e mi stupisco del fatto che senza di me, Giulia non avrebbe mai potuto sperimentare tutto ciò. Se Marco non avesse deciso di donare i suoi organi, io sarei diventato polvere inutile in una cassa di legno e Giulia avrebbe finito il resto dei suoi giorni in ospedale. Invece eccoci qui, entrambi vivi. Chissà quanti sono i meno fortunati di noi, quelli che aspettano anni arrampicandosi in infinite liste d’attesta, quelli che hanno perso la speranza, quelli che non ci sono più. 

Eppure basta così poco, tutti potrebbero lasciare questa vita un po’ più leggeri e allo stesso tempo donarne un’altra a chi ne ha bisogno. Gioisco ogni giorno nel vedere la persona che Giulia è diventata, grazie alla speranza che le è stata donata. Siamo la prova che la morte non deve coincidere per forza con la fine. Dalla morte può sempre rinascere la vita.

ELISA CARAMAGNO III QL