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L’intervista. Il criminologo Vincenzo Musacchio: «La mafia c’è ma non si vede ed è più forte e pericolosa di quella del passato».

Il professor Musacchio agli studenti di Aosta: dopo Totò Riina e Messina Denaro la mafia ha avuto molte metamorfosi. Tutti uniti se solo volessimo potremmo ancora contrastare le loro condotte criminali.

di Lucia De Sanctis – Blogger

 

Professor Musacchio com’è cambiata la mafia negli ultimi trent’anni?

Come dico sempre ai tanti giovani che incontro nelle scuole da oltre trent’anni, le nuove mafie hanno cambiato obiettivi, metodo e struttura. Una volta avevamo la mafia feroce e violenta di Riina, poi abbiamo avuto quella silente e corruttiva di Messina Denaro, a breve avremo probabilmente quella informatica e tecnologica. Oggi non s’infiltrano più nei gangli vitali delle istituzioni ma s’integrano perfettamente diventando in alcuni casi persino punto di riferimento per la cd. area grigia.

Come si finanziano oggi le nuove mafie?

Con il traffico e la distribuzione di sostanze stupefacenti in primis la cocaina. Poi con il traffico di armi, di esseri e organi umani e con quello dei rifiuti normali e pericolosi. Dove c’è denaro li ci sono le mafie. Giovanni Falcone docet.

Il consenso sul territorio è ancora importante?

Certamente sì. È la linfa vitale di qualsiasi mafia. Sebbene siano più potenti e ricche di quelle del passato, le nuove mafie hanno la medesima necessità: radicarsi nel territorio. Devono poter creare consenso sociale nei luoghi in cui operano. Senza essere inseriti nel tessuto politico, economico e sociale sarebbero semplici rubagalline. Le moderne organizzazioni mafiose sostituiscono lo Stato laddove latita o è meno presente. Sono talmente integrate nel tessuto collettivo che in tanti traggono benefici. Tutti guadagnano nel reciproco scambio di favori. Con la mafia, ormai ci si confronta quotidianamente.

Perché nessuno reagisce a questo stato di cose che lei ci sta raccontando?

Perché c’è tanto assopimento sociale, indifferenza, far finta di non vedere. Poi ci sono le collusioni, le connivenze, le complicità che nel loro insieme rendono la mafia silente e a noi sembra quasi che non esista. Non c’è stato quel movimento culturale voluto tanto in vita da Paolo Borsellino. Mancano poi le riforme e le politiche sociali ed economiche nelle zone dove le mafie la fanno da padrone. A livello transnazionale invece siamo ancora all’epoca della pietra. L’unica reazione che ricordo io e che ho vissuto in prima persona è stata il maxiprocesso di Palermo, un fatto che ha segnato la fine dell’impunità della mafia e la storia di questo Paese, ma che è costato la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Come colpire questa nuova mafia di cui lei parla?

Con gli stessi strumenti del passato ma aggiornandoli alle evoluzioni continue delle mafie moderne. Essenziale è colpire non solo i mafiosi e i loro patrimoni. Va punita in maniera esemplare la cd. borghesia mafiosa che rende sempre più forti le moderne organizzazioni criminali. La lotta che si deve iniziare ovviamente non è più soltanto nazionale ma deve diventare inevitabilmente transfrontaliera. Per combattere contro un nemico molto più forte che in passato, tutto deve funzionare come un orologio svizzero. Scontiamo invece un immobilismo che concede un grande vantaggio alle nuove mafie.

Le recenti riforme dell’attuale Governo le sembrano andare nella direzione giusta per combattere queste nuove mafie?

Non voglio entrare nelle dinamiche politiche che non mi riguardano, ma da studioso mi è sembrato che da un inizio promettente poi si stia passando a una fase d’immobilismo che ha caratterizzato i tanti governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni. Credo che si debba tenere alta la guardia. Ci sono strumenti di lotta alle mafie che restano indispensabili. Mi riferisco alle misure patrimoniali antimafia, alle intercettazioni, ai collaboratori di giustizia, alla lotta alla corruzione sempre più connessa alla criminalità organizzata.  Il 41 bis è ancora uno strumento irrinunciabile per impedire che i capimafia continuino a comunicare con l’esterno. Bisogna colpire in maniera inesorabile l’area grigia poiché le mafie moderne hanno tutto l’interesse a entrare nei gangli economici e finanziari dello Stato e noi dovremo vigilare, in particolare su appalti e subappalti connessi ai tantissimi aiuti economici che arriveranno nei prossimi anni dall’Unione europea.

In questi giorni è riemersa l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la modifica del delitto di traffico d’influenze e il ridimensionamento dei controlli da parte della Corte dei Conti proprio sul Pnrr , lei che ne pensa?

Abrogare l’abuso d’ufficio, modificare il traffico d’influenze illecite e ridimensionare i poteri di controllo della Corte dei Conti vuol dire favorire, di fatto, le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione. Concordo in toto con l’allarme lanciato dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo sulle connessioni tra abrogazione dell’abuso d’ufficio e attività criminali dei clan mafiosi. Nel loro insieme queste modificazioni possono avere un effetto domino nell’agevolazione di molte condotte criminali di stampo mafioso.

Noi giovani cosa possiamo fare per combattere queste mafie che lei ci ha descritto?

Studiare, studiare, studiare. Rispondo con la frase del mio maestro Antonino Caponnetto. Vorrei una scuola che consentisse di conoscere e criticare la realtà che ci circonda. Formativa e critica: i due elementi fondamentali necessari per essere cittadini responsabili e rispettosi delle regole democratiche. Abbiamo la nostra fonte inesauribile da cui attingere: La Costituzione Italiana.

 

Vincenzo Musacchio, criminologo forense e investigativo. associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.