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Archivio di Stato di Genova, scrigno di memorie del nostro passato di dominatori

Il racconto dei fatti grandi e piccoli che la storia ricordi dell’egemonia genovese sul Mediterraneo, sulla tratta degli schiavi e i connessi contrasti con l’Impero Turco-Ottomano, narrato dalla storica dell’Archivio di Stato, Giustina Olgiati, attraverso un’attenta analisi dei documenti scritti che ci sono pervenuti a partire dal Medioevo fino all’Età Moderna.

di Matteo Fiorucci e Gabriele Pecchi, 2d.

Oggi l’informazione è incredibilmente rapida a viaggiare e a raggiungere chi ne abbia bisogno: attraverso una rete di trame invisibili, le conoscenze che l’umanità ha acquisito nel corso della sua storia scorrono senza sosta da un dispositivo all’altro e si può avere accesso ad esse in qualunque momento. Spesso la rete è così rapida da farci dimenticare da dove provengano quelle informazioni, che non sono soltanto fredde scritte su uno schermo, aliene dalla realtà, ma hanno invece origine da fatti concreti.

Seppur la storia si riservi non di rado di offrire allo studioso quanti più ostacoli le riesce d’inventarsi, al fine della sua comprensione, le uniche prove tangibili di cui si possa disporre sono le fonti scritte e materiali che abbiano avuto la fortuna di far sopravvivere fino a noi, dalle quali hanno origine   conoscenze certe in nostro possesso.

Grandi raccoglitori di queste conoscenze sono gli Archivi di Stato italiani, che conservano documenti di qualsivoglia genere, e persino che non si voglia: diari, lettere, editti reali, ce n’è tanti da non poterne più di non leggere. Pensare che chiunque può accedervi per esaminare quanto gli interessi, e l’accesso è gratuito. Si vede che alla fine addirittura gli archivisti si sono stufati, e hanno deciso di fare una bella svendita.

La verità,  purtroppo, è che chi lavora in archivio il suo lavoro deve amarlo per forza, tanto che per il suo servizio non percepirà buona paga, e dovrà sforzarsi di governare il suo regno di carta senza fondi per il restauro dei documenti antichi e per organizzare attività o mostre per risvegliare l’interesse pubblico verso la storia del nostro Paese. 

Una delle fatiche che l’Archivio di Genova sta portando avanti è la mostra “Tutti i Genovesi del Mondo”, che è visitabile, dal 18 gennaio al 30 aprile 2024. Un’ occasione per constatare che nonostante la stretta territorialità degli archivi, legati a realtà ristrette, i loro documenti permettano approfondimenti interessanti e inaspettati.

Storie di schiavi

Intento della stessa nostra è raccontare la grande espansione territoriale e commerciale che portò Genova a divenire una delle maggiori potenze mediterranee e anche oltre. In essa vengono presentati testi di leggi ed atti notarili dal XII secolo in poi, per fornire un’immagine delle interazioni con le altre culture europee e di come esse abbiano costituito un’importante ragione di cambiamento del sistema legislativo e del sistema di vivere. Al centro di tutto il tema della schiavitù, fenomeno che ha caratterizzato ogni società e che ancora si protrae, senza ricevere grande risalto da parte dei media, e tra questi nemmeno dagli articoli sul web sull’argomento, che non sembrano volersi mostrare volentieri. Invece, l’argomento presenterebbe numerosi sviluppi anche dal punto di vista storico. Infatti lo scopo di un archivio è solo indirettamente legato alla comprensione dei fenomeni d’oggi, in quanto essa passa prima attraverso l’analisi storica dei fatti passati.

Come centro della schiavitù europea dal punto di vista economico, e cioè dell’importazione degli schiavi, la città di Genova merita un’attenzione particolare, e così le leggi che adottò in merito, e le innumerevoli storie di vite di schiavi ivi venduti, pervenuteci grazie a quanto detto nelle lettere scambiate tra mercanti e compratori. Una di queste è un documento firmato da un rivenditore di uomini genovese, vissuto nel XV secolo, al momento d’apice della cultura e della pratica schiavistica in Europa, quando, trascorsi ormai oltre due secoli dal tempo in cui si era iniziato ad importare schiavi dall’area del Mar Nero, era divenuto d’uso comune possedere qualche schiavo che aiutasse coi lavori domestici, anche per i meno abbienti. Insomma, il nostro mercante genovese dovette essere davvero uno di quei bravi volponi che riescono ad arricchirsi senza far altro che il proprio non esattamente onesto mestiere, ma dall’altro lato della trattativa chi c’è? Possiamo dedurre che si trattasse d’una donna maritata e probabilmente non ricca quanto ci immagineremmo per una compratrice di uomini. Si tratta di una popolana, sarta per la precisione, moglie d’un uomo indaffarato che pretende di trovare la casa in ordine quando torna dal lavoro. Lei è riuscita a racimolare qualche spicciolo per acquistare una donna che l’aiuti con i mestieri. Nella sua condizione, necessitava di trovare una merce adatta al lavoro che non costasse troppo e la schiava Lucia costa poco a causa della camminata claudicante, anzi l’astuto mercante è subito disposto a dimezzare ulteriormente il prezzo pur di “piazzare” una merce così poco appetibile. Inoltre Lucia non è troppo bella, non di etnia circassa, per cui non potrà costituire una concorrente in amore con la padrona. Al tempo era infatti socialmente accettato che i padroni di schiave se ne servissero come oggetti sessuali, che, al fianco della moglie ufficiale, prendono il nome di concubine, cioè coloro che condividono il cubiculo col padrone.

Le difficoltà degli archivi

La carta che attesta la vendita di Lucia è stata restaurata presso i laboratori dell’Archivio di Stato di Genova, tramite reidratazione della pergamena ormai secca e rinforzandola con la resistenti fibre della carta giapponese derivata dal bambù, grazie a cui si sono potuti richiudere i molti fori della pelle, e rifinire i bordi seghettati, quando non era troppo lontana dallo sbriciolarsi.

Purtroppo, in questo periodo vari archivi sul territorio si sono trovati a dover chiudere alcuni dei loro laboratori di restauro per mancanza di fondi; essendo un servizio gratuito per la cittadinanza accade che si abbia difficoltà a trovare restauratori per i documenti e a procurarsi il materiale necessario. Questo è un problema, poiché il materiale scrittorio, più d’ogni altro la carta, è estremamente deperibile, e se non sottoposto a continue cure, rischia di andare perduto e con esso le prove fisiche dei fatti della storia, grandi e minori, destinati a venir dimenticati o ad essere affidati a una memoria distorta e noncurante. 

Perchè ricordare

Eppure quanti uomini furono sottratti alla loro terra e alla famiglia per servire, quanti denari spesi, quante miglia per terra e per mare, e quanto sangue versato; quanti di noi devono la propria esistenza a un’unione tra schiavi o tra padrone e schiava.

Si pensi che la famiglia Durazzo, di cui a Genova è visitabile la grandiosa villa, prende il proprio nome dall’omonima città albanese, da cui proveniva Giorgio, fatto schiavo e diviso dai familiari e chiamato così dai suoi padroni, che, riuscito a riscattarsi, ebbe figli, e dai figli di questi furono avviate le prime attività commerciali che portarono la famiglia ad arricchirsi e aumentare il proprio potere fino a fornire otto Dogi alla Repubblica di Genova.

 

 

Lo schiavismo fu poi all’origine di nuovi sistemi di leggi, come quella sulla cosiddetta legittima difesa putativa, da applicarsi nel caso d’un incontro con uno schiavo in ora tarda e nei pressi della propria abitazione, per cui era possibile assumere comportamenti violenti nei suoi confronti, se si sospettassero cattive intenzioni da parte sua. Ciò senza essere perseguiti penalmente, e col solo obbligo di versare al padrone la cifra corrispondente al valore dello schiavo se lo si fosse ucciso.

A ciò si aggiungono strettissimi rapporti d’interscambio di schiavi, che non sempre vedeva entrambe le parti convenirne, tra impero ottomano e stati europei, all’origine di guerre e razzie per tutto il Mediterraneo, capaci di influenzare il sistema politico e sociale di quel crogiolo di vita che è questa zona, da sempre forgia incontenibile di ideologie politiche e filosofiche, religioni e culture, terra madre di innumerevoli imperatori, poeti, grandi uomini di chiesa, che loro malgrado, vittime ignare o profittatori delle idee del loro tempo, si servirono in gran copia di quel popolo senza nome e senza patria, che, nato senza volerlo, per secoli batté senza orgoglio la propria sgualcita bandiera sulle stesse acque un tempo sue, di quel mare che non grazie ad esso raccolse la propria fama, ma soltanto vuote divizie.