• Home
  • Blog
  • Articoli
  • Il mare non si vede. Voci da dentro, voci al di là del muro

Il mare non si vede. Voci da dentro, voci al di là del muro

*I nomi utilizzati nell’articolo per i riferimenti alle persone incontrate durante la visita alla Casa di Lavoro di Vasto sono di fantasia.

Dall’uscita autostradale è facile raggiungere la casa Circondariale, così come è facile sentire il profumo del mare che sta proprio lì, oltre il muro di cinta, il filo spinato, le telecamere di sorveglianza.

Gli agenti sono gentili con noi, come pure gli internati, quei pochi che partecipano al nostro laboratorio di scrittura creativa.

Dopo le incertezze iniziali, prendono la parola.

Alcuni sono riluttanti, altri hanno voglia di raccontarsi mettendo da parte le foto che proponiamo come stimolo per immaginare una storia. Tra quelle mura ciascuno può ripensare soltanto alla propria storia.

Inizia Angelo, secco come un chiodo, scattante come una lince, sguardo vivo, battuta pronta. Angelo ha una figlia di 19 anni, è in carcere da 15.

C’è Simone, una vita sfasciata dalla tossicodipendenza, articola suoni a fatica, lo si comprende a fatica, si raccomanda con gli studenti a che non provino “le sostanze”.

Kevin non vuole scrivere, si racconta a voce. È della zona, parla veloce, c’è un po’ di retorica e poca convinzione nelle sue parole. È lì da poco, non so per quanto ci rimarrà.

Poi Luca che esordisce dicendo “Io non so usare la penna” e alla fine ci regala un capolavoro di poesia. Scrive che dalle sbarre della sua cella vede il cielo dove volano i gabbiani; loro sì, lui no. Volare è sempre stato il grande sogno dell’uomo.

Parla Michele che in carcere ha conosciuto la sua metà e non vede l’ora di riabbracciarla. Ricorda quando le parlava da dietro le sbarre.

Prende coraggio anche Alessandro, rosario al collo, maniche corte e calzoni, taglio di capelli di tendenza, imponente tatuaggio sul braccio che gli dà un aspetto da duro. Gli piace la musica. Cita Califano che sembra aver scritto quei versi solo per lui.

Tony ci regala una poesia di suo pugno contro la violenza di genere. È datata 25 marzo 2024.

Parlano anche i miei studenti. Gabriele, Arianna, Nicole sono spigliati, dicono ciò che io non so dire. Anche altri vorrebbero intervenire, ma vince la timidezza e se ne tornano a casa con le loro domande.

Quando anche l’ultimo cancello si chiude alle nostre spalle, fanno capolino alcuni pensieri.

Che il carcere, anche se ha le cancellate verdi, una sartoria, una serra, un laboratorio di birra artigianale, non offre un soggiorno di piacere. Che gli agenti di polizia penitenziaria svolgono un lavoro difficile, forse ingrato: sorvegliare persone che si preferirebbe vedere come protagonisti di un poliziesco, ascoltare discorsi che si preferirebbe ignorare, nei corridoi o nel parlatorio, monitorare da un monitor o senza filtri, occhi negli occhi, fare rapporto. Che tutti hanno lo stesso sguardo perso, chi è rassegnato, chi speranzoso, chi vede la fine, chi solo il muro che lo separa dal fuori, mentre il dentro marcisce dietro serrature chiuse a tripla mandata. Che nel carcere puoi ritrovarti o perderti per sempre.

Che nell’ora d’aria è proprio l’aria a mancarti e diventi più assetato anche di terra e di mare e di cielo, perché qui, dal muro alto alto, al di qua del filo spinato e delle telecamere di sorveglianza, il mare non si vede.

Mariella Di Brigida