Un nuovo mondo

Un abbagliante grigiore cattura il nostro sguardo che immediatamente si focalizza sulla molteplicità indistinta, inquietante nella propria omogeneità.

Vediamo la perfezione schierata davanti ai nostri stessi occhi, vediamo ordine e artificio ripetuti quasi da non poter distinguere l’inizio dalla fine.

A capo di questo imponente esercito progressista vi è l’uomo, essere dalla mente perversa, dalla smisurata e pericolosa ambizione. A renderlo cosi diverso da tutto ciò che sta alle sue spalle è il rossore delle sue gote, il calore delle sue mani, l’espressività degli occhi e la capacità di interagire con gli altri, altri esseri umani s’intende, che proprio come lui hanno bisogni diversi nella loro vita, nascono e crescono in condizioni e con possibilità differenti.

E allora ci domandiamo che cosa l’abbia portato a tanto, cosa si celi dietro questa apparente ricerca di una perfezione irraggiungibile al limite, alla finitezza umana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La creazione dei primi automi viene ancora ad oggi attribuita all’epoca ellenistica e specialmente dobbiamo l’invenzione di queste macchine autonome a Erone d’Alessandria, che fu il primo a comporre un trattato proprio denominato “Automata”.

Anticamente utilizzati nel mondo greco come vere e proprie marionette dotate di un’indipendente mobilità a scopo prevalentemente ludico e persino per intrattenimento sociale, assunsero via via nel corso dei secoli ruoli sempre più definiti e meno distaccati dalla realtà umana, arrivando persino ad essere essi stessi parte integrante della società.

 

 

Fu poi nell’epoca rinascimentale che si riaccese il forte interesse per questo mondo meccanico parallelo al nostro, interesse che caratterizzò e contraddistinse persino il pensiero dello stesso Cartesio, che decise di accostare l’automa al mondo animale e naturale, sostenendo l’uguaglianza strutturale e la possibilità di quest’ultimi di essere completamente sostituiti.

La rapida diffusione di un pensiero meccanicistico portò poi al consolidamento, nel corso del Settecento, di una società improntata proprio sull’automazione, sulla realizzazione, appunto, di congegni meccanici in grado di svolgere alcune delle funzionalità tipiche dell’essere umano, andando a determinare anche nell’ambito economico e lavorativo notevoli cambiamenti, che rappresenteranno poi i primi presupposti dai quali deriverà il processo della Rivoluzione Industriale.

 

 

 

Il periodo tra il 1860 e il 1910 vide ancora una volta la Francia come principale centro della costruzione di magnifici ed impressionanti automi per opera di svariati artisti e collezionisti, tuttora presenti in molte proiezioni cinematografiche dei registi Scorsese e Tornatore, che si servirono di un automa come vero e proprio espediente narrativo.

 

 

Questa introduzione, che si può anche definire graduale, degli automi all’interno della nostra società portò inevitabilmente da una parte ad una valorizzazione del progresso tecnico-industriale e dall’altra, come ho già riportato precedentemente, a considerevoli mutamenti nel sistema lavorativo e soprattutto ad una consistente perdita di valore del singolo lavoratore.

Il lavoro ha sempre costituito per l’individuo il mezzo attraverso il quale sopperire ai propri bisogni si considerino essi particolari, accidentali o sostanziali e quindi universalmente condivisi dall’intera comunità sociale.

Alla base dell’istituzione del lavoro vi è quindi una questione di necessità, la necessità di un individuo di poter garantire a se stesso ed eventualmente un domani alla propria famiglia di avere una condizione economica stabile, la necessità di un uomo di potersi realizzare non soltanto dal punto di vista economico ma anche in ambito etico e morale, ritrovando quindi nel proprio lavoro non soltanto l’idea di uno strumento, di un tramite economico, ma persino una dimensione, un nuovo contesto professionale e sociale nel quale poter autodeterminarsi ed emergere per le proprie potenzialità.

 

 

 

 

 

Da questa considerazione inerente al lavoro, deriva una nuova concezione che lo pone al centro della vita dell’essere umano, motivo della sua stessa considerazione all’interno della comunità, primo fra i criteri che determinano quell’antico concetto puramente greco, definito ancora ad oggi come il “prestigio sociale”.

E allora, vista non solo l’esigenza per vivere ma anche l’importanza stessa del lavoro come mezzo che nobilita l’uomo, come un trampolino metaforico verso una migliore prospettiva futura, com’è possibile che proprio colui che ne ha sempre riconosciuto il valore, improvvisamente abbia preferito inventare un robot che svolgesse le medesime funzioni e potesse sostituirlo in quello che è il proprio ruolo lavorativo?

Gli economisti attribuiscono tale innovazione al sistema capitalistico, che punta al guadagno e all’incremento economico.

Fornire una risposta adeguata a questa domanda però, appare molto complicato, soprattutto in una società meccanizzata come la nostra, che vede all’ordine del giorno nuove ideazioni tecnologiche sconvolgenti che spesso portano ognuno di noi a domandarsi per quale ragione faccia ancora parte di questo mondo, considerata la nostra assai angosciante sostituibilità.

 

 

Nonostante quest’incertezza di fondo, coloro che tentano di dare un’interpretazione inerente a questo fenomeno inquietante sono molteplici: nell’articolo che risale al 27 Gennaio 2018, la giornalista Gloria Riva descrive il declino lavorativo della nostra società, incentrando però la propria argomentazione sul fattore umano, sociale, spesso sottovalutato e considerato quasi come uno sfondo di contorno e quindi secondario al lato pratico.

 

Tra le innumerevoli professioni che possono ad oggi essere svolte persino dalle macchine, scrive l’autrice, ve ne sono comunque alcune che non possono degenerare nell’automazione totale e quindi al contempo evolversi al passo con l’intero sistema tecnologico.

Quali sono? Si tratta di un’eccezione?

 

Ebbene sì, probabilmente questi impieghi costituiscono proprio una piccola eccezione, ma risultano fondamentali all’interno di quella che è la nostra comunità sociale.

In questo caso, come viene sempre riportato nell’articolo, la parola chiave è “Empatia”, ovvero la capacità di immedesimazione immediata e al contempo comprensione dello stato d’animo di un’altra persona.

Il fattore empatico è uno dei tanti dati psicologici che caratterizzano la natura umana e si trova anche alla base di molti impieghi che possono essere classificati all’interno della sfera sociale ed umanistica.

Secondo alcune statistiche internazionali, il mestiere di cura, più ampiamente determinato con il termine “caregiver” è uno delle dieci professioni destinate ad essere maggiormente richieste nei prossimi dieci anni e in quanto tale, basandosi essenzialmente sul contatto umano e sulle relazioni interpersonali, non può in alcun modo essere sostituito dalla volontà autonoma di una macchina.

Ad essere insostituibile è, ancora una volta, tutto ciò che implica un contatto diretto tra lavoratore e chi usufruisce del servizio offerto e quindi qualsiasi tipo di lavoro che comporta la relazione tra soggetti in campo sociale.

In contrapposizione a questa realtà lavorativa, che vede alla base della propria importanza sentimenti come la comprensione, la compassione e l’intelligenza vi è il mondo lavorativo descritto nell’intervista di Fabio Chiusi riportata da “La Repubblica.it”, che consente di avere un’interpretazione differente e più improntata sul piano economico.

Vengono affrontate tematiche come la disoccupazione come conseguenza inevitabile di questa automazione della società, una società che secondo lo stesso Martin Ford dovrebbe rimettere in discussione le proprie fondamenta economiche per essere consapevolmente preparata ad un tale sviluppo tecnologico.

Come sono state inventate auto in grado di funzionare autonomamente senza alcun intervento umano, allo stesso modo potrebbe verificarsi una vera e propria rivoluzione sistematica anche nell’ambito educativo e questo, secondo l’opinione del futurologo, non è detto che significhi esclusivamente una perdita di valore o una degenerazione del sistema scolastico-educativo.

Il tutto potrebbe infatti condurre ad una presa di coscienza verso un cambiamento necessario per far ripartire l’impianto economico della nostra società.

 

Di Claudia Pancaldi

 

Immagine tratta dal film “Io, robot” diretto da Alex Proyas(2004)