La psichiatria oggi

Abbiamo scelto di trattare la psichiatria per soddisfare tutte le domande e tutte le curiosità che ci siamo sempre posti nel corso della vita e a cui non abbiamo potuto rispondere perché è un argomento di cui non si parla spesso, nemmeno su internet. I due operatori che si occupano della salute mentale all’ospedale di Belluno sono Samantha, che ha lavorato per più di 15 anni al SPDC (Servizio Psichiatrico, Diagnosi, cura o reparto) ed è da tre anni al centro di salute mentale e il Dottor Forti.

 

Cos’è la malattia mentale?

Dottor Forti: Tutte le malattie mentali vengono chiamate disturbi perché non abbiamo, a differenza di tutte le altre patologie in medicina e in chirurgia, un sostrato organico. Ad esempio: se uno ha un tumore cerebrale lo vedi, se una persona ha il Parkinson, tu riesci a vedere che c’è una carenza di dopamina nei nuclei della base, se una persona diabetica ha dei sintomi tu vedi che ha carenza di insulina nei recettori; essi hanno un’alterazione organica più o meno fine. Allo stato attuale in psichiatria, nonostante i notevoli progressi che sono stati fatti, non si ha un riscontro chiaro e netto.

L’autismo è considerato una malattia mentale?

Dottor Forti: È un disturbo che colpisce in età infantile, è una problematica molto grave del contatto fra madre e bambino, può portare a un ritardo dello sviluppo intellettivo. I disturbi sono un certo modo di fare, di reagire che può essere adattativo, funzionale, disfunzionale e portare a problemi per la persona e per gli altri.

Quali sono le malattie più frequenti in campo psichiatrico?

Dottor Forti: I disturbi della sfera dell’umore, come la depressione, ma anche la sfera dei disturbi d’ansia (nevrosi, compulsioni, ossessioni).

Quali sono le relative cure?

Dottor Forti: Sono sia farmacologiche che psicoterapiche.

I parenti possono fare visita ai ricoverati in reparto?

Samantha: Hanno libertà d’accesso, è importante il loro sostegno e viene condiviso tutto il progetto psicoterapeutico della persona. Sono parte attivante della fase di miglioramento della persona, anche se a volte è difficile capire questa patologia e accettarla. Nella psicosi e nella schizofrenia la persona non si rende conto di essere malata, questo avviene solo lavorando con le varie terapie nel lungo andare. Magari all’inizio pensano che il problema non siano loro ma gli altri.

Le persone possono decidere di loro spontanea volontà di curarsi?

Dottor Forti: Si, ma l’intento di star bene è difficile che venga di propria spontanea volontà.

Quanto tempo restano in ricovero nella psichiatria?

Dottor Forti: In Italia poco, da una settima a due, avendo tante richieste non possono fare cure molto prolungate.

Cosa pensa della legge Basaglia riguardo all’abolizione dei manicomi?

Dottor Forti: È una legge che ha riconosciuto i diritti delle persone, di essere curati, di avere la propria dignità e di essere come gli altri.

Qual è la giornata tipo di un paziente?

Samantha: Si sveglia vero le sette, fa colazione, e poi all’interno della mattinata c’è la terapia. Possono fare attività di vita quotidiana come sistemarsi il comodino, poi parlano con il medico di come si sentono e nel corso della giornata i fumatori devono sapersi gestire 5 sigarette in sei uscite in giardino disponibili. Il pomeriggio è dedicato alle visite, poi possono guardare la tv, giocare a carte, parlare con gli operatori. Adesso è in corso un progetto di arti espressive all’interno del servizio con degli infermieri e degli educatori che fanno parte del centro diurno e si dividono in arte terapia e musicoterapia, in base alle caratteristiche degli utenti. Verso le nove e mezza/dieci vanno a dormire.

Quindi fanno colloqui?

Dottor Forti: Con i medici tutti i giorni.

E di cosa trattano?

Dottor Forti: E’ una visita sostanzialmente, dove parlano dei loro sintomi.

Tipo dallo psicologo?

Dottor Forti: Facsimile, diciamo che certe volte visitiamo anche il paziente perché può avere qualcosa, magari abbiamo anche una consulenza, ad esempio un problema dermatologico o altro. E’ un solito colloquio con la persona che riferisce dei suoi sintomi, uno è depresso e può dire “stamattina non volevo alzarmi, non ho voluto lavarmi, l’infermiera ha un po’ insistito, mi sono alzato con molta fatica, vorrei tornare a letto, per favore mi dia qualcosa per dormire, che voglio dormire”, più o meno queste cose. Dicono come stanno riguardo alle modificazioni terapeutiche che ci sono state e a cosa sperano di ottenere. Come stanno anche rispetto ai loro sintomi; una persona depressa, si può sentire triste, vuota, non riesce a dormire, si sente in colpa e così via. Poi si tratta anche di capire quanto questo può essere condizionato da eventi esterni. Se sei così perché ti è successo qualcosa, un evento negativo ecc. ecc. Questo è sicuramente molto importante. Ecco, ad esempio, anche in reparto si fanno i colloqui anche con i familiari per capire meglio la situazione. Questo chiaramente è il reparto in situazioni di acuzia, poi qui c’è un altro ambulatorio in cui gli psicologi fanno altre cose, ma prevalentemente in ambulatorio colloqui con altre persone che vengono al di fuori dall’ospedale. Allora un paziente viene a farsi vedere ogni settimana, ogni mese, ogni quanto può servire. Noi facciamo inizialmente terapia “gtrp” che è una terapia iniettiva che viene fatta ogni 14/21/28 giorni e gli assegniamo i farmaci direttamente noi, nel senso che loro vengono, prendono le scatole e questo serve più o meno per avere un controllo se il paziente assume regolarmente la terapia oppure no. Abbiamo questo resoconto della terapia che gli diamo, queste cose le facciamo sia a livello ambulatoriale, che a livello territoriale. Usciamo tre volte a settimana per coprire varie zone dell’ULSS, dove facciamo i colloqui con i pazienti. Magari qualche paziente arriva un po’ agitato e non vuole parlare con il medico allora cerchiamo di tamponare e di riuscire a capire qual è il fatto scatenante, cos’è successo e poi eventualmente lo invitiamo ad andare dal medico e ad essere visto. Poi ascoltiamo i familiari, se hanno qualche necessità, qualche problema o così.

Ma i pazienti hanno mai creato problemi sull’assumere farmaci? O li prendono volentieri?

Dottor Forti: Accade spesso, nel senso che durante l’assunzione della terapia loro sono convinti di stare bene e non si rendono conto che il beneficio sia realmente creato dalla terapia farmacologica, quindi tendono a fare a meno di assumerla e il malessere non è e che loro lo vedono in due minuti. Prima di star male magari ci vuole un mese, un mese e mezzo, quindi la cosa è sempre più lunga. Ma nell’arco del tempo si cerca comunque di accompagnare il paziente in questo percorso e fare in modo che comunque non lasci la terapia e quindi aiutarlo alla comprensione della sua utilità e cercare di attivare degli incontri più ravvicinati, di farlo venire un po’ più spesso, di andare a trovarlo un po’ più spesso e magari prendere in considerazione anche le sue passioni, cercare di stimolarlo da questo punto di vista.

Ma dopo un certo periodo si rimane dipendente da questi farmaci?

Dottor Forti: Non è una dipendenza, nel senso che il farmaco è una cura, quella cosa che ti fare stare bene. Può essere che nella fase acuta tu debba assumere una elevata quantità di farmaco, poi nella fase di normalità assumi una terapia a dosaggio equilibrato e giusto. Come una persona che ha il diabete, magari prenderà 20 unità di insulina nella prima fase e nella fase normale di standby magari ne prende 5. Quindi quella non è una dipendenza di insulina. Dipendenti dal farmaco per stare bene, se intendete dipendenza nel senso di altre sostanze, alcol, eccetera, no.

Tu prendi qualcosa, un farmaco, una droga che sia, perché ti fa stare bene alla fine.

Dottor Forti: Dipendenza vuol dire, che non puoi fare a meno di quella sostanza, giusto? Se la interrompi vuol dir che stai male, come se uno prendesse cocaina o cose del genere, spesso devi prendere sempre dosi maggiori per ottenere lo stesso effetto. Gli unici farmaci che possono dare questo problema sono quelli più banali che noi diamo. Farmaci che prende anche la popolazione normale, insomma sono farmaci molto comuni, ma se sono dati sotto prescrizione medica non ci sono quasi mai problemi.

Il centro di salute mentale (csm) è l’ambulatorio e poi si lavora nel territorio, sulla rete anche con altri servizi, spesso ci sono persone che hanno bisogno di supporto sociale, eccetera eccetera. Nel csm c’è poi l’aspetto riabilitativo che fa parte del centro diurno dove le persone stanno dal mattino fino al primo pomeriggio, dove fanno attività riabilitativa, oppure abbiamo delle strutture riabilitative residenziali. Qui ne abbiamo due, anzi tre perché c’è anche un appartamento protetto dove le persone risiedono. Protetto perché ha degli operatori che stanno in misura proporzionale al livello di bisogno, cioè in questo appartamento protetto ci sono operatori per 4 ore al giorno dal lunedì al venerdì, quindi per poco. Poi ci sono strutture come “gtrp” in cui sono operatori sia di giorno che di notte.

Il territorio bellunese ha qualche specialità rispetto a servizi psichiatrici magari nazionali?

Dottor Forti: Diciamo che purtroppo abbiamo qualche specialità in negativo, nel senso che abbiamo un tasso di suicidio abbastanza elevato. Più della media italiana, quasi il doppio di quella della regione del Veneto, per capirci. C’è un tasso di suicidi che sono circa 15 su 100 mila abitanti e poi le popolazioni in zone montane più isolate possono avere magari una maggiore concentrazione di un certo tipo di problematiche. Questo non è detto che non avvenga anche in città.

Qual è la persona più piccola diciamo che è venuta qui?

Dottor Forti: Noi vediamo i maggiorenni, la psichiatria è un servizio dai 18 anni in su, cioè per gli adulti. Prima risponde la psichiatria infantile fino ai 18 anni, e la psichiatria si trova a Cusighe. Esiste una divisione, anche perché chiaramente la fascia problematica ha un po’ di confine con quella adolescenziale, in cui ci possono già essere diversi esordi di diverse patologie. E abbiamo anche bambini di 2 anni che possono avere problemi di epilessia, autismo, di disagio scolastico. Ci sono tantissimi tipi di problemi. Diciamo che sono separate anche se poi dobbiamo interfacciarci. Poi ci sono anche i problemi dei disturbi mentali.

La fascia d’età più comune qui in questa psichiatria?

Dottor Forti: Penso che abbiamo un po’ tutte le fasce, da esordi giovanili, le depressioni e i disturbi d’ansia di mezza età. Adesso, per esempio, abbiamo avuto un sacco di anziani, perché l’aspettativa di vita è maggiore. Anche di persone di una certa età che una volta non venivano nemmeno, sopra i sessant’anni era difficile. Adesso vedi anche il signore, la signora di ottant’anni che arriva per il disturbo d’ansia o anche problemi per demenza.

Com’è nata questa passione per questo lavoro?

Dottor Forti: Non so, io mi sono sempre interessato a questo, già quando mi sono iscritto a medicina, anzi io mi ero scritto a psicologia, poi dopo due mesi ho subito cambiato.

Ma lo consiglierebbe anche a un giovane?

Dottor Forti: Ma perché no, insomma è sicuramente un lavoro stimolante.

Ma bisogna avere qualche caratteristica particolare, in termini di carattere?

Samantha: Beh, di solito le infermiere professionali generali, quando vengono assunte, sono collocate dove hanno più bisogno, quindi o cerchi di adattarti al contesto lavorativo, e quello deve essere un fatto stimolante, oppure chiedi un trasferimento. Quindi la possibilità di cambiare noi ce l’abbiamo in ogni momento da questo punto di vista. Della mia esperienza devo dire che, appena arrivata volevo scappare di corsa…nel senso che ero un po’ impaurita, più per l’idea che gli altri ti danno di questa cosa della psichiatria: pazienti pericolosi, è tutto chiuso, non va bene niente. Ecco questa è l’idea che ti fanno al di fuori. Poi, lavorando all’interno del reparto, io ho capito che non è così. Io comunque ritengo che il paziente psichiatrico abbia sempre una marcia in più rispetto alla nostra. Loro sono molto empatici, sanno fin dove possono arrivare con l’operatore, sanno quello che devono chiedere, sanno come devono chiedere e soprattutto devi essere in grado tu di dimostrare al paziente che comunque tieni al suo benessere, alla sua persona e devi avere rispetto di lui prima di tutto. Sia come persona, che come malato. Poi tutto ti torna indietro, voglio dire.

Un’esperienza che le ha dato soddisfazione e una invece negativa?

Dottor Forti: Soddisfazione c’è quando esci dal reparto e, trovi il paziente che ti chiede di andare a bere un caffè. Questa è la soddisfazione perché loro di solito tendono ad evitarti. E invece le cose negative, magari quando ritieni di non aver fatto abbastanza per quella persona, di non esserti accorto di quanto effettivamente stava male e poi quando va a casa, magari dopo una settimana, un mese, 10 giorni, compie un gesto eclatante. Ecco questo io l’ho visto come un mio insuccesso personale, però alla fine non è una cosa mia, è una cosa che probabilmente doveva andare così, nel senso: potevamo fare di tutto e di più, ma il risultato alla fine non sarebbe cambiato, perché delle volte non puoi cambiare delle cose, puoi metterci tutto l’impegno che vuoi, tutte le conoscenze che hai, però le cose rimangono così, punto. Comunque, tornando a prima, loro in parte non scelgono il reparto come infermieri, ma in parte ci sono anche delle richieste per la psichiatria, poi dipende anche dalla sensibilità che una persona ha. Io conoscevo una psicologa che ha lavorato in un centro, che ha questi pazienti che guardano il muro e diceva “mi angosciano non riuscivo a sopportare”. Poi alla fine è andata a lavorare in pediatria con i bambini che avevano delle malattie neoplastiche terminali. Cose che avrebbero angosciato me personalmente, quindi è molto individuale, è chiaro che poi bisogna avere un equilibrio, una pazienza, saper ascoltare soprattutto, metterti anche nei panni dell’altro. Perché poi ci si confronta continuamente, bisogna essere molto elastici. Quello che è sicuramente interessante e difficile è la complessità di questo lavoro, perché vai dal farmaco, alla componente relazionale farmacologica a quella della famiglia, a quella della società. Se una volta c’erano gli approcci farmacologici, meccanico, psicodinamico, psicoanalitico, sistemi che riguardavano la famiglia, sociali, adesso praticamente si capisce e si cerca di vedere tutte queste cose, sennò riesci a fare ben poco. Quindi bisogna avere una visione molto ampia, appunto, e complessa delle cose. La difficoltà poi, tutti ci dicono “Ma come fai con questi pazienti?”, tante volte è difficile gestire i pazienti. La psichiatria rimane anche un po’ stigmatizzata come disciplina, rispetto alle altre. Come se venisse messa in un secondo ordine.

Per essere ricoverati bisogna per forza essere malati gravi oppure, magari c’è una depressione leggera o un’ansia non proprio gravissima?

Dottor Forti: Le richieste sono più di controllo del comportamento, o ti chiamano perché la persona è aggressiva o violenta, o perché la persona anziana che è depressa non se ne rende conto che soffre. Permane nella società una richiesta al controllo sociale rivolta alla psichiatria e alle cure che potrebbero insomma aiutare.

Si può essere ricoverati se si ha una depressione leggera?

Dottor Forti: Le depressioni leggere quasi mai vengono ricoverate, vengono ricoverate se ad esempio c’è un rischio suicidario per cui devi anche un attimo tutelare la persona, l’80/90% delle persone viene curata naturalmente con farmaci prima di tutto e poi con la relazione che è terapeutica.

Mettiamo caso che conosca una persona e che la consideri malata, ma lei non vuole farsi visitare, come vi comportate?

Dottor Forti: Questo è uno dei problemi più grossi… bisogna cominciare a lavorare spesso prima coi familiari, gli amici e il medico di base che può conoscere la persona e avere un rapporto fiduciario; poi si cerca di avere un punto in comune: magari la persona non crede di avere delle idee strane, ma ammette di non dormire la notte, e quindi si fa aiutare per un sintomo e invece vengono curati entrambi, anche perché spesso si ha l’insonnia. Ma l’insonnia, che ha tante patologie secondarie infatti, viene curata con antidepressivi e non con sedativi o benzodiazepine e nel momento in cui il paziente starà meglio dormirà anche la notte. Comunque questo di avere un’alleanza terapeutica con la persona e far sì che ci sia una sempre maggiore consapevolezza della malattia è uno dei punti centrali di questo lavoro.

Quando una persona, dopo esser stata ricoverata, esce, risulta scritto da qualche parte?

Dottor Forti: No, assolutamente no, solo nei nostri archivi. Anche il certificato di ricovero, se uno lavora, è anonimo, nel senso che c’è scritto che la persona viene ricoverata presso l’ospedale di Belluno dal giorno tot al giorno tot, non c’è scritto reparto di psichiatria. Anche quando si viene a fare una visita ambulatoriale e si ha bisogno del certificato giustificativo c’è scritto che ha eseguito una visita presso l’ospedale di Belluno, e punto, non c’è scritto nient’altro. Fino al 1968 una persona che veniva ricoverata in un ospedale psichiatrico era scritta nel casellario giudiziario, quindi era “segnato”, questo non esiste più, vuol dire assimilare, cercare di assimilare la psichiatria a qualsiasi altra disciplina medica. Una persona che ha problemi psichiatrici è una persona che ha problemi medici, fisici come tutti gli altri, questo è uno dei nostri lavori, molto faticoso perché spesso non viene riconosciuto. Può capitare che il paziente si fidi molto dello psichiatra e quindi solo quello che dice quello psichiatra, quando si è fortunati, all’inizio non si fiderà, dopo lo farà anche troppo e inizierà a cercare proprio il tuo aiuto.

C’è un costo per farsi ricoverare?

Dottor Forti: No è tutto nel servizio sanitario nazionale, non esiste un costo per i ricoveri, per le visite ambulatoriali i costi sono quelli del ticket.

Nemmeno per i farmaci?

Dottor Forti: Quasi tutti sono mutuabili, noi addirittura gli antipsicotici li distribuiamo direttamente. L’unico costo che c’è, e che adesso è stato anche oggetto di controversie, è per le famose strutture residenziali psichiatriche dove si abita praticamente.. Ci sono quelle che sono solo sanitarie e sono completamente gratuite tipo la CTRP che sta qui (Comunità Terapeutica Riabilitativa Protetta) mentre ce ne sono altre che sono sociosanitarie e quindi c’è una quota di compartecipazione. Quello è l’unico costo per persone che di fatto abitano lì e non è un costo fisso, ma viene calcolato tramite l’ISEE per utente, come una persona che va in casa di riposo.

Quanti pazienti ci sono momentaneamente qui?

Samantha: Il reparto ha quindici posti letto, perché per legge non possono essere più di quindici, mentre la struttura residenziale, che dovrebbe essere fuori dal territorio, può avere un massimo di quattordici posti letto.

Ci sono più maschi o più femmine?

Dottor Forti: Un pochettino più femmine perché sono più longeve, perché le donne hanno una maggiore capacità di chiedere aiuto mentre gli uomini si confidano di meno. Cercano di risolvere da soli i problemi e non chiedono aiuto tanto che, se guardiamo il tasso di suicidi, è quattro volte nel maschio rispetto alla femmina, cioè si suicidano quattro maschi ogni singola donna, uno dei motivi può essere questo: la difficoltà di chiedere aiuto.

Ringraziamo il Dottor Forti e la sua collega Samantha per la loro disponibilità nel parlarci della salute mentale e nel rispondere ad alcune nostre curiosità.